Vittime di violenza domestica ed economica: le nuove tutele

Vittime di violenza domestica ed economica: le nuove tutele
Martedi 2 Settembre 2025

Non esiste solo la violenza domestica perché, spesso si dimentica che esiste una violenza più subdola che deriva dal fare mancare i mezzi di sussistenza quotidiana al proprio coniuge o convivente e, quel che è peggio, ai propri figli sia o meno nati in costanza di matrimonio o di convivenza.

  • Una sentenza innovativa

La Corte di Cassazione, VI Sezione Penale, con la sentenza n. 519 del 4 aprile 2025 (v.in calce), che deve ritenersi, invero, innovativa sul piano sanzionatorio, ha stabilito che la condotta dell’ex coniuge, separato o divorziato, che ometta il pagamento delle spese straordinarie in favore dei figli di coniugi separati o divorziati, integra il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art.570-bis del Codice Penale.

Il ricorrente, imputato per il reato di cui all’art.570-bis C.P. aveva proposto un ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello che confermava la severa condanna subita per tale reato per essersi lo stesso sottratto, per quattro anni di seguito, all’obbligo di corrispondere all’ex moglie l’assegno di mantenimento dei figli, l’assegno divorzile, nonché il 50% delle spese straordinarie sostenute dall’ex coniuge.

Il ricorrente, per tali spese, lamentava una violazione del principio di irretroattività della legge penale, in quanto la sua condotta illecita, realizzata tra il 2013 ed il 2017,avrebbe dovuto essere assoggettata alla disciplina degli artt. 12-sexies della Legge n. 898 del 1970 e dell’art 3 della legge n. 54 del 2006, in seguito abrogati dal D.Lgs.n.21 del 2018 che ha inserito nel codice penale l’art. 570-bis C.P., ma che non avrebbe previsto una responsabilità penale in caso di mancato pagamento di spese diverse dall’assegno divorzile e di mantenimento.

La Cassazione ha rigettato su tale punto il ricorso, in forza della già riconosciuta continuità normativa tra le disposizioni citate, in quanto l’introduzione dell’art.570-bis costituiva una traslazione nel codice penale di norme già presenti nell’Ordinamento.

In effetti, la Suprema Corte con la decisione ha delineato l’applicabilità dell’art. 570-bis C.P. al caso di specie introducendo una distinzione innovativa dalle precedenti pronunce in materia che riconducevano il mancato pagamento delle spese straordinarie da parte dell' ex-coniuge alla violazione degli obblighi generici di assistenza familiare, come sancito dall’art.570, co.2 C.P. che punisce la condotta di chi privi il familiare di mezzi necessari alla sussistenza, cagionando così un grave stato di bisogno dei beneficiari.

In precedenza, la mancata corresponsione delle spese straordinarie risultava avere rilevanza penale solo in determinate circostanze, ove tali spese riguardassero bisogni elementari della vita (quali, ad es., le spese mediche non assicurate nella forma diretta e gratuita dagli Enti di previdenza) ai quali, per effetto del mancato pagamento, il beneficiario non potesse far fronte.

Sta di fatto che la limitazione della rilevanza penale del mancato pagamento delle spese straordinarie, entro i confini dell’art. 570,co.2 C.P., ha sempre avuto importanti conseguenze sul piano pratico e processuale, poiché poneva a carico della persona offesa l’onere di dimostrare la sussistenza di un vero e proprio stato di bisogno ossia di un’impossibilità, anche sopravvenuta, di far fronte alle spese basilari del vivere quotidiano.

Alla luce di tale requisito, lo sforzo difensivo degli imputati di tali condotte era focalizzato solo a dimostrare la sussistenza di redditi sufficienti in capo alla persona offesa in ogni aspetto della sua vita, compresa l’eventuale presenza di un nuovo partner e la sua eventuale capacità economica.

Come si evince da tale assunto, tali aspetti tendevano a spostare indebitamente il focus del processo sulla persona offesa che, invece di essere messa nella condizione di poter legittimamente reclamare quanto dovuto dall’ex coniuge, si vedeva costretta a difendersi da attacchi e intrusioni nella sua vita privata specie in relazione alle spese straordinarie effettuate per il mantenimento dei figli a carico.

In tale direzione, la Cassazione è, pertanto, intervenuta con la decisione ricordando che, alla epoca della commissione dei fatti oggetto del giudizio, già costituivano reato sia il mancato pagamento dello assegno divorzile che la violazione degli obblighi economici stabiliti con la separazione in favore dei figli, in virtù degli artt. 12 sexies della legge 898/1970 e 3 della L. 54/2006.

Il riferimento all’art. 570 C.P. cui dette norme rimandavano, infatti, era da considerarsi esclusivamente quod poenam e non alla struttura del reato, con la conseguente irrilevanza di ogni accertamento riguardo allo stato di bisogno dell’avente diritto.

La Corte, dopo aver richiamato il tenore letterale dell’art. 570-bis C.P., che punisce non solo chi si sottrae alla corresponsione "di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ma anche chi viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”, ha fatto riferimento alla giurisprudenza civile di legittimità per delineare la natura dell’obbligo del versamento delle spese straordinarie in favore dei figli, mutuando la nozione offerta dalla giurisprudenza delle spese straordinarie che, a differenza di quelle relative agli esborsi ordinari, sono da ritenersi imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare e, come tali, richiedono per la loro azionabilità la esistenza di un titolo autonomo di accertamento.

In merito, le spese straordinarie sono state definite dalla Giurisprudenza come spese caratterizzate da “rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità” e che, proprio alla luce di tali caratteristiche, le stesse non risultano quantificabili in via anticipata nell’assegno di mantenimento stabilito dal Giudice, che, invece, ricomprende gli esborsi destinati ai bisogni ordinari del figlio, che, invece, sono “certi nel loro costante e prevedibile ripetersi”.

Francesca Garisto, nel commentare ampiamente la sentenza sulle pagine della Riv.Sistema Penale, ha affermatoche “la forza innovativa della nuova sentenza emanata sulla delicata materia dei rapporti economici tra i coniugi, si riscontra sia in relazione al riferimento alla giurisprudenza civile che, più che in altre, è complementare e imprescindibile da quella penale, sia per lo sguardo verso altre forme di violenza domestica che possano riguardare le vicende di un rapporto coniugale conclusosi con la separazione o il divorzio”.

Il superamento della precedente impostazione deve quindi ritenersi positivo, in quanto utile a correggere derive processuali spesso produttive di una vittimizzazione secondaria della persona offesa ed a riportare la condotta dell' imputato al centro dell’accertamento processuale.

Inoltre, l’Autrice citata sottolinea nel suo commento che la sentenza in esame stabilisce che l’inadempimento di tale obbligo, per avere rilievo penale, dovrà essere serio e sufficientemente protratto o destinato a protrarsi, per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla entità dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire”.

Si tratta, indubbiamente, di una netta presa di posizione della Suprema Corte in merito alla rilevanza penale della mancata corresponsione delle spese straordinarie che costituisce un importante passo avanti nel contrasto alla violenza di genere che, come è noto, si esprime anche attraverso la violenza economica che, con la decisione, diviene oggetto di tutela anche penale.

Nondimeno, la sentenza si pone, peraltro, in continuità con quella della stessa sezione della Cassazione che, di recente, dopo aver richiamato le norme sovra nazionali vincolanti, ha riconosciuto la configurabilità del delitto di maltrattamenti ex art. 572 C.P. anche in presenza unicamente di violenza economica in ambito familiare e come tale sanzionabile in sede penale.

In particolare, la Cassazione, con la sentenza n.40698 del 22 Giugno 2023, aveva annullato senza rinvio la sentenza oggetto del ricorso esaminato poiché il Tribunale avrebbe dovuto prosciogliere l’imputato ex art 129 CPP perché il fatto non sussisteva essendo mancato l’accertamento di patermità.

All’imputato veniva contestato di avere fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore nonché di essersi sottratto al riconoscimento di patermità della stessa nell’ambito del procedimento civile, omettendo le obbligazioni a suo carico anche alla luce della sentenza del Tribunale Civile che ne aveva riconosciuto in un primo momento la paternità.

Tuttavia, la Corte Suprema, richiamando le decisioni assunte in precedenza, aveva accolto il ricorso, nonostante l’avvenuto annullamento della sentenza da parte della stessa Cassazione Civile, non avendo il minore prestato consenso a tale riconoscimento ex art 273 Codice Civile.

La Corte Penale aveva affermato, per contro, che l’obbligo del genitore naturale di provvedere al sostentamento del minore conseguiva dall’accertamento effettuato della paternità da parte del Tribunale adito ex art 254 del Codice Civile ed imponeva per il genitore convenuto i doveri derivanti dalla filiazione legittima tra cui rientra quello del mantenimento ex artt.147-148 del Codice Civile.

Secondo la Corte si trattava di un obbligo derivante dal fatto di avere generato i figli sussistente sin dalla nascita degli stessi anche per il periodo anteriore aò riconoscimento di paternità.

Pertanto, secondo la decisione innanzi richiamata, è configurabile in tali casi la violazione dell’art 570 C.P. del tutto indipendente dall’avvenuto accertamento di paternità.

  • La casistica giudiziaria

L’esperienza maturata nelle Aule di Giustizia nonché i dati statistici insegnano che il momento più pericoloso per chi ha vissuto una condizione di violenza domestica è proprio quello della separazione e delle conseguenze che ne derivano non solo nei rapporti affettivi ma anche e soprattutto sul piano economico con riguardo al precedente tenore di vita familiare. .

Merita pure di esssere sottolineato, in proposito che, a volte, un comportamento omissivo ed ingiustificabile del mantenimento da parte dell’obbligato dà luogo a quel “sistema di potere asimmetrico”che è proprio derivante dai maltrattamenti familiari.

Spesso coloro che si sottraggono agli obblighi economici, di qualsiasi natura essi siano, dopo la cessazione della relazione coniugale erano già uomini maltrattanti durante la convivenza, anche quando il maltrattamento non è mai stato denunciato (!!).

I procedimenti per la separazione e regolamentazione dei rapporti tra gli ex-coniugi o conviventi, qualora la coppia abbia avuto dei figli, sono spesso uno strumento utilizzato dagli uomini maltrattanti per dare continuità agli abusi e al controllo sulla vittima, come pure possono costituire uno strumento di vera e propria vendetta verso la donna che ha deciso d’interrompere la relazione, con conseguenze spesso anche letali, come dimostra la cronaca più recente.

La donna viene messa nella condizione di chiedere, a volte addirittura di supplicare il padre dei suoi figli di adempiere agli obblighi di natura economica e, in tal modo, viene messa nella condizione di continuare a dipendere dall’ex coniuge o convivente da cui si è separata, che riacquista il controllo su di lei e, talvolta, “soddisfa” anche la volontà di “punirla”.

Pertanto, la sentenza in commento risulta emanata in continuità con la precedente pronuncia e costituisce un ulteriore approdo nel contrasto della violenza economica, che non si esaurisce con la separazione, il divorzio o la cessazione della convivenza, che, comunque, divengono momenti cruciali nella vita delle donne e dei figli.

Invero, privare una donna di mezzi economici di sostentamento, quando non lavori, specie al Sud del Paese, significa spesso privarla della sua libertà, limitarla nelle sue scelte, vuol dire umiliarla e costringerla alla dipendenza dall’ex coniuge e ferirla nella sua dignità.

Tuttavia, molte donne raccontano che hanno cercato di liberarsi dall’assoggettamento e dalla violenza attraverso la separazione e che, ancora una volta, si trovano a fare i conti con il potere che le ha schiacciate e che le ha tenute legate.

Vi sono ex mariti o ex conviventi che nascondono i loro beni, che li intestano a terze persone, che trasferiscono i loro fondi e che, in alcuni casi, si licenziano persino al solo scopo di privare la madre dei propri figli di un reddito da fare scomparire, per mostrarsi indigenti ed è questo a cui assistiamo quotidianamente nelle Aule di Giustizia.

Anche limitarsi, da parte dell’obbligato, al versamento del solo contributo al mantenimento, sebbene stabilito dal Giudice in misura certa e determinata, omettendo quello relativo alle spese straordinarie, corrisponde a una strategia destinata a ‘piegare’la beneficiaria, contando sulle sue difficoltà, soprattutto economica, persino di agire in giudizio per ottenere l’accertamento della misura delle spese straordinarie esigibili e sostenute comunque nell’interesse dei minori affidati alle sue cure.

Si tratta in realtà di una azione legittima a cui raramente le donne fanno ricorso, così divenendo Vittime di un tale contesto da affrontare con coraggio e con i mezzi necessari una sempre dolorosa battaglia giudiziaria.

Ed é in questo amaro contesto che la sentenza in commento dispiega la sua rilevanza ed efficacia poiché introduce un cambiamento culturale radicale al trattamento processuale di tali casi con il riconoscimento della esistenza di una violenza economica e delle innumerevoli forme nelle quali si realizza così offrendo uno strumento per reagire al maltrattamento economico protratto nel tempo, anche dopo la cessazione della relazione coniugale.

  • Conclusioni

Come corollario va, tuttavia, ricordato che, in questi casi, la Vittima di reato ha acquisito nel procedimento penale alcune garanzie processuali che ne favoriscono le attività difensive.

Sono passati più di quarant’anni da quando è iniziato quel percorso di riscoperta della Vittima del reato che ha interessato l’intero Occidente» a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.

Ed è innegabile che in tale contesto hanno avuto un peso fondamentale gli interventi emanati prima nell’ambito del Consiglio d’Europa e poi in seno all' Unione europea, con l’adozione della Direttiva 2012/29/UE, che costituisce l’atto europeo fondamentale a tutela di tutte le Vittime del reato, che, a sua volta, è affiancato da «provvedimenti “satellite” a salvaguardia di particolari tipologie di vittime.(come ricorda Ida Angela Nicotra sulla Riv Interris.it).

A distanza di un decennio dall’emanazione della Victims’ Rights Directive e dalle conquiste ivi raggiunte, una nuova stagione a protezione delle vittime sembra stia prendendo forma, con alcune prerogative che stanno assumendo peso e attenzione crescenti nelle dinamiche sovranazionali grazie a una reciproca influenza tra Consiglio d’Europa e Unione europea.

Sul primo fronte si collocano gli innovativi sviluppi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e la recente raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa on rights, services and support for victims of crime.

Sul secondo fronte vengono in rilievo gli interventi che si inseriscono nella prima EU Strategy on victims’ rights (2020-2025), tra cui spicca per importanza la proposta di modifica della direttiva 2012/29/UE.

Per quanto concerne la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non si può certo affermare che la giurisprudenza di Strasburgo sia carente di una casistica giurisprudenziale in favore della vittima di reato, nonostante il totale silenzio della Cedu al riguardo.

Da una parte, si staglia la cospicua evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi sul piano del civil limb dell’art. 6 par. 1 Cedu, il quale viene in gioco nelle sole ipotesi in cui la vittima vanti pretese di tipo civilistico.

Dall’altra parte, acquistano rilievo le molteplici decisioni intervenute in relazione alle cosiddette positive obligations nell’ambito di alcune garanzie tutelate dalla Convenzione, quali gli artt. 2,3,4 e 8 Cedu.

Il riferimento va non solo agli obblighi da parte degli Stati di rendere penalmente rilevanti quelle condotte lesive dei più rilevanti tra i beni fondamentali, ma anche, e soprattutto, ai doveri di carattere procedurale, che prescrivono ai Paesi contraenti indagini effettive e complete .

Rileva infine una prospettiva inversa, dove la tutela della vittima avviene di riflesso, configurandosi quale limite alle garanzie connesse al fair trial dello imputato, come il diritto a confrontarsi con l’accusatore ex art. 6 par. 3 lett. d Cedu, o la garanzia della pubblica udienza ai sensi dell’art. 6 par. 1 Cedu.

Ebbene, in questo panorama giurisprudenziale, nel momento in cui la direttiva 2012/29/UE ha fatto il suo ingresso nel circuito normativo europeo, non sono mancate sentenze della Corte di Strasburgo che ne hanno tenuto conto.

In tale cornice si inserisce la violenza morale economica e psicologica di cui le donne sono le Vittime.

Una donna su due ammette di aver subito violenza economica, tra le donne separate o divorziate la percentuale aumenta sino al 67%.

La sopraffazione economica rappresenta una forma di prevaricazione prevista dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne.

Essa si manifesta quando una donna non ha autonomia nella gestione del proprio denaro e non possiede alcuna indipendenza economica perché le si impedisce di svolgere una occupazione o di iniziare un percorso formativo.

La violenza economica nasce all’interno della famiglia o della coppia e.del resto, la discriminazione economica rappresenta lo strumento per esercitare un controllo sulla donna.

Le modalità per mettere in atto questo tipo di prevaricazioni sono molteplici: limitando l’uso delle risorse finanziarie della moglie o della compagna, ovvero pretendendo i beni della vittima o rifiutando di prendersi cura dei figli

Avere una occupazione è fondamentale per essere autonome ed emancipate, eppure, in Italia il 44% delle donne non ha un lavoro stabile e non cerca lavoro.

La situazione finanziaria è alla base dell’autostima e aumenta la consapevolezza sull’importanza dell’affrancamento economicocome antidoto alla violenza di gene re.

La discriminazione economica avviene spesso anche nel mondo del lavoro in cui si registra una differenza retributiva, alle volte anche molto significativa, tra i generi.

A livello sopranazionale, da qualche tempo, l’attenzione si è concentrata sul tema dell’equilibrio tra tempi di vita e tempi di lavoro.

L’offerta “di servizi accessibili e a prezzi contenuti per la custodia dei bambini e l’assistenza a lungo termine” costituisce uno snodo cruciale “per consentire ai genitori e alle altre persone con responsabilità di assistenza di entrare, rimanere o ritornare nel mercato del lavoro”.

La Direttiva n.1158/2019 UE si prefigge il perseguimento di un approccio che persegua la parità dei ruoli nel lavoro e nella famiglia, attraverso una rivisitazione dell’istituto del congedo capace di garantire il diritto alla cura sia ai genitori sia alla prole.

Nella complessa relazione tra vita professionale e famiglia il fattore tempo riveste una importanza fondamentale.

Le modalità di lavoro flessibile, basate su una modulazione dell’orario di lavoro, presuppongono una innovativa regolazione del rapporto di lavoro che possa meglio rispondere alle molteplici esigenze della persona nella difficile conciliazione tra vita privata e vita professionale.

La conciliazione vita – lavoro si inserisce nel solco della progressiva espansione dei tempi da dedicare alla cura e alla famiglia.

D qui deriva la crescente presa di coscienza della necessaria condivisione delle responsabilità familiari e al contempo dell’incremento della presenza femminile nel mercato del lavoro.

Il superamento delle divisioni inique tra uomo e donne nelle faccende domestiche è collegato alle misure di congedo paritario.

La Direttiva UE del 2019 ha stabilito che alla nascita di un figlio i padri hanno diritto a dieci giorni lavorativi di congedo, una misura che aiuta pure le mamme a ritrovare una dimensione lavorativa dopo la gravidanza, senza rinunciare alla carriera per accudire il neonato.

È certamente un primo passo, ma non può bastare.

Infatti, nel 2023,secondo i dati dell’Ispettorato del lavoro, più di 61 mila donne hanno rinunciato al posto di lavoro dopo il primo figlio.

Il cammino spedito verso la parità richiede di ampliare il principio di genitorialità condivisa per consentire ai papà di stare vicini ai loro piccoli e offrire effettive chances di emancipazione alle mamme lavoratrici.

Allegato:

Cassazione penale sentenza 519 2025

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