Rito del lavoro; mancato rispetto del termine di comparizione: conseguenze

Rito del lavoro; mancato rispetto del termine di comparizione: conseguenze

Nel rito lavoro, il termine non minore di venticinque giorni che deve intercorrere tra la data di notifica del ricorso in appello e quella dell’udienza di discussione, previsto per il giudizio di appello dal terzo comma dell’art. 435 c.p.c., è un termine ordinatorio e non perentorio. Pertanto, il suo mancato rispetto da parte dell’appellante non comporta l’improcedibilità dell’appello.

Giovedi 29 Aprile 2021

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza 10900/2021, pubblicata il 23 aprile 2021.

IL CASO: La vicenda riguarda il ricorso proposto dall’appellante avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello, nell’ambito di un giudizio in materia di lavoro, che aveva dichiarato l’improcedibilità del gravame in quanto la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza per la discussione era stata eseguita tardivamente.

La Corte territoriale ha dichiarato l’improcedibilità dell’appello, richiamando quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20604 del 2008 ed osservando che il disposto dall'art. 435 del codice di procedura civile il quale prevede l'obbligo di rispettare il termine cd. a difesa, deve essere interpretato in base al principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost. e "non possono ritenersi giustificati comportamenti processuali inutilmente dilatori e non possono, quindi, essere concessi termini per il rinnovo di atti che ben potevano essere compiuti tempestivamente".

Inoltre, i giudici di merito, hanno osservato che il termine per il rinnovo della notifica può essere concesso solo nel caso in cui l'appellante dimostri che l'inosservanza del termine sia dipesa da causa a lui non imputabile.

Pertanto, l’originaria appellante impugnava la sentenza della Corte di Appello, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell'art. 435, comma 2, cod. proc. civ.

LA DECISIONE: La Cassazione ha ritenuto errata la sentenza impugnata e nell’accogliere il ricorso, con rinvio alla Corte di Appello, in diversa composizione, ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il termine di dieci giorni previsto per la notifica del ricorso dal secondo comma dell'art. 435, è un termine ordinatorio , pertanto dalla sua inosservanza non può discendere la decadenza dall'impugnazione (Cass. 29 febbraio 2016, n. 3959; Cass. ord. 16 ottobre 2013, n. 23426; Cass. 31 maggio 2012 n. 8685; Cass. 30 dicembre 2010 n. 26489; Cass. 15 ottobre 2010 n. 21358);

I giudici di legittimità hanno osservato che:

1. nel rito del lavoro, non comporta l’improcedibilità dell’impugnazione, la violazione del termine non minore di venticinque giorni che, a norma del terzo comma dell'art. 435, comma, deve intercorrere tra la data di notifica del ricorso in appello e quella dell'udienza di discussione, come nel caso di omessa o inesistente notifica, bensì la nullità di quest'ultima, sanabile per effetto di spontanea costituzione dell'appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c. (Cass. del 17/04/2018, n. 9404);

2. l'omessa o giuridicamente inesistente notificazione degli atti introduttivi è motivo di improcedibilità dell'appello se l'appellante sia venuto a conoscenza del decreto di fissazione dell'udienza ed a condizione che la predetta inesistenza non derivi da causa non imputabile al ricorrente, nel qual caso opera la regola generale della possibile rimessione in termini ai sensi dell'art. 184-bis, c.p.c.;

3. nel caso di una mera nullità della vocatio in ius, il vizio è sanabile nelle varie forme a tal fine regolate dalla legge.

Nel caso esaminato, la notifica non era stata omessa né era inesistente, ma era stata solo effettuata senza il rispetto del termine a comparire. Pertanto, in questi casi, hanno concluso gli Ermellini, il giudice è tenuto a disporne la rinnovazione.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza  n.10900 2021

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