Coronavirus: considerazioni etiche e giuridiche sulla obbligatorieta' dei vaccini anti Covid

Coronavirus: considerazioni etiche e giuridiche sulla obbligatorieta' dei vaccini anti Covid

L'obbligatorietà della vaccinazione anti COVID-19, introdotto dall'articolo 4 del decreto legge 44/ 2021 per tutto le professioni e gli operatori del comparto sanitario, fa discutere non soltanto per l'aspetto sanitario, ma soprattutto per le implicazioni di tipo etico e giuridico che comporta. L'Italia è la prima nazione e per ora l’unica ad aver imposto l’obbligo di vaccinazione anti COVID-19.

Mercoledi 28 Aprile 2021

La norma determina importanti riflessi sul rapporto di lavoro per coloro che non intendono accettare l'obbligo di vaccinazione. Per la Corte Costituzionale i principi costituzionali subordinano la legittimità dell’obbligo vaccinale all’imprescindibilità di un “corretto bilanciamento tra la tutela della salute del singolo e la concorrente tutela della salute collettiva, entrambe costituzionalmente garantite”. In questa situazione di incertezza scientifica e di sperimentalità, caratteristica dell'attuale situazione emergenziale è non solo eticamente doveroso che i vaccini restino una libera scelta del singolo individuo, ma è anche giuridicamente dovuto nel rispetto dei massimi principi posti a tutela della persona ed espressi nelle Convenzioni e nei Trattati internazionali

La norma seppur temporanea, poiché limitata attualmente nella sua operatività alla data limite del 31/12/2021, e circoscritta ad uno specifico settore lavorativo, la sanità, determina importanti riflessi sul rapporto di lavoro per coloro che non intendono accettare l'obbligo di vaccinazione.

Il comma 6 dell'art. 4 sancisce che l'inosservanza dell'obbligo vaccinale da parte di coloro che “svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie o parafarmacie e negli studi professionali” determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Al comma 8 è disposto che “il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse [...], con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione [...], non è dovuta la retribuzione, emolumento, comunque denominato”.

Il precetto normativo, oltre, alle questioni di legittimità e costituzionalità, che affronterò in seguito, crea una macroscopica disparità di conseguenze tra gli operatori del settore sanitario, poiché i soggetti inseriti in strutture organizzate potenzialmente hanno la possibilità di essere destinati a funzioni non a contatto con il pubblico, cosa che evidentemente non è praticabile al singolo professionista che non lavora in strutture organizzate.

L'obbligatorietà dei vaccini in Italia non è tema nuovo in quanto era già stato affrontato nel 2017 con il D.L. 73 che aveva reintrodotto l’obbligo di vaccinazione, soppresso alla fine degli anni ‘90, per determinate malattie. La norma è stata un parziale compromesso tra i fautori del vaccino e i “No Vax”. Il D.L. 73/2017, infatti, prevede una sanzione amministrativa per i genitori che non sottopongono i figli a vaccinazione obbligatoria, la quale inoltre è “requisito di accesso” limitatamente “i servizi educativi per l'infanzia e le scuole dell'infanzia”.

L’impianto giuridico e il contesto sociale su cui si poggia ora il nuovo obbligo introdotto dal D.L. 44/2021 è peraltro profondamente differente da quello a cui fa riferimento sia il citato decreto del 2017, sia le pronunce della Corte Costituzionale in materia di obblighi vaccinali.

La legittimità dell’art. 4 del D.L. 44/2021 non può che essere valutata in applicazione dei principi costituzionali e in particolare dell’art. 32 della Costituzione in cui è sancito che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività … Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

La norma costituzionale ha una duplice chiave di lettura, da un lato tutela il cittadino nel suo diritto alla salute e nella sua libertà di scegliere le cure, dall’altro riconosce un interesse pubblico alla salute, che può comportare l’obbligo per i singoli a sottostare a trattamenti disposti solo in forza di legge e nei limiti imposti dal rispetto della persona umana.

La Corte Costituzionale si è pronunciata più volte sulla materia, a partire dalla sentenza n. 258/1994 per giungere alla più recente sentenza n. 5/2018, delineando i presupposti, affinché l’obbligo vaccinale possa ritenersi compatibile con i principi dell’art. 32 della Costituzione. In particolare la Corte Costituzionale ha statuito che ”la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 della Costituzione:

a) "se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale (cfr. sentenza 1990 n. 307);

b) se vi sia "la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili" (ivi);

c) se nell'ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica - sia prevista comunque la corresponsione di una "equa indennità" in favore del danneggiato (cfr. sentenza 307 cit. e v. ora legge n. 210/1992). E ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria, la quale "trova applicazione tutte le volte che le concrete forme di attuazione della legge impositiva del trattamento o di esecuzione materiale di esso non siano accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l'arte prescrivono in relazione alla sua natura" (sulla base dei titoli soggettivi di imputazione e con gli effetti risarcitori pieni previsti dall'art. 2043 c.c.: sentenza n. 307/1990 cit.).”

Per la Corte i principi costituzionali subordinano la legittimità dell’obbligo vaccinale all’imprescindibilità di un “corretto bilanciamento tra la tutela della salute del singolo e la concorrente tutela della salute collettiva, entrambe costituzionalmente garantite

La scelta del Governo italiano non sembra trovare alcun riscontro nello scenario mondiale, ove, prescindendo dalle contrastanti analisi e posizioni medico-scientifiche, nessuno stato o istituzione di diritto internazionale si è avventurato sul terreno minato dell’obbligatorietà del vaccino anti COVID-19.

Il Consiglio d’Europa ha affrontato recentemente il tema dei vaccini anti COVID-19 e i relativi riflessi etici e legali, approvando il 27/01/2021 la Risoluzione 2361, nella quale tra l'altro ha espressamente escluso che gli stati possano rendere obbligatoria la vaccinazione anti COVID (punto 7.3.1) e ha inoltre vietato di usarla per discriminare lavoratori o chiunque decida di non avvalersene (punto 7.3.2).

L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali italiana ha dichiarato che non è pensabile di poter effettuale un passaporto vaccinale sanitario stante la delicatezza dei dati che vi sarebbe contenuti, la variabilità e temporaneità della certificazione stessa in assenza di presupposti scientifici accertati e certi.

Il recentissimo Rapporto pubblicato il 13/03/2021 dall'I.S.S. e redatto insieme a Ministero, A.I.FA. e I.N.A.I.L. mette in chiara evidenza la totale sperimentalità dei vaccini e le conseguenti incertezze che li accompagnano, rendendo in tale quadro non applicabile la compressione del diritto costituzionale alla scelta sanitaria individuale rispetto al limite del supremo bene della tutela della salute pubblica.

Si legge nel rapporto che “Una persona vaccinata con una o due dosi deve continuare a osservare tutte le misure di prevenzione quali il distanziamento fisico, l’uso delle mascherine e l’igiene delle mani, poiché, come sopra riportato, non è ancora noto se la vaccinazione sia efficace anche nella prevenzione dell’acquisizione dell’infezione e/o della sua trasmissione ad altre persone. … non è ancora noto se le persone vaccinate possano comunque acquisire l’infezione da SARS-CoV-2 ed eventualmente trasmetterla ad altri soggetti. … Infine, è verosimile che alcune varianti possano eludere la risposta immunitaria evocata dalla vaccinazione, e, quindi, infettare i soggetti vaccinati. Segnalazioni preliminari suggeriscono una ridotta attività neutralizzante degli anticorpi di campioni biologici ottenuti da soggetti vaccinati con i vaccini a mRNA nei confronti di alcune VOC, come quella Sudafricana, e un livello di efficacia basso del vaccino di AstraZeneca nel prevenire la malattia di grado lieve o moderato nel contesto epidemico sud-africano. … a persona vaccinata considerata “contatto stretto” deve osservare, purché sempre asintomatica, un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato in decima giornata ”

E’ di queste ore la notizia di fonte israeliana che il vaccino Pfizer, l'unico somministrato in tale nazione, non dia copertura alla variante sudafricana; così come recentissimo lo studio tedesco secondo il quale il DNA libero nel vaccino AstraZeneca scatena anticorpi insoliti all'origine delle complicanze spesso fatali di tipo trombotico; e poi ancora nel valzer delle incertezze l'alternanza delle indicazioni medico-scientifiche sulla somministrazione del vaccino AstraZeneca da prima riservato solo agli under 55 e ora, invece riservato solo agli over 60.

L’art. 4 del D.L. 44/2021 non sembra aver tenuto in conto l’insegnamento delle pronunce della Corte Costituzionale in materia, né dei principi etici e giuridici espressi nelle Convenzioni e nei Trattati internazionali.

Allo stato attuale mancano tutti i presupposti di certezza scientifica per imporre l'obbligatorietà del vaccino, il quale dovrebbe rispondere al duplice obiettivo di tutela della salute pubblica, impedendo il contagio dei pazienti da parte del personale sanitario vaccinato, e di tutela immunitaria del personale sanitario dal virus, nonché dalla complicanze vaccinali.. La situazione di sperimentalità dei vaccini anti COVID-19 non garantisce nessuno di questi due obiettivi: nessuna certezza di non trasmissibilità del virus da parte delle persone vaccinate, nessuna certezza di immunità dal virus; evidenze invece - seppur statisticamente poco rilevanti - di complicanze vaccinali talvolta anche fatali.

La consapevolezza dei dubbi e delle incertezze che ruotano intorno i vaccini è peraltro manifestata apertamente nel medesimo decreto, che all'art. 3 D.L. 44/2021 introduce un'esimente penale a favore dei sanitari per i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose conseguenti a reazioni fatali in sventurati sottoposti a vaccinazione.

In questa situazione di incertezza scientifica e di sperimentalità, caratteristica dell'attuale situazione emergenziale è non solo eticamente doveroso che i vaccini restino una libera scelta del singolo individuo, ma è anche giuridicamente dovuto nel rispetto dei massimi principi posti a tutela della persona.

In proposito vanno citati gli artt. 1 e 3 della “Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea” - proclamata a Nizza nel dicembre 2000 e diventata giuridicamente vincolante nella UE con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, a dicembre 2009 - i quali garantiscono la dignità umana e l’integrità fisica e psichica di ciascun individuo, nonché il rispetto del consenso libero e informato della persona in ambito medico e biologico; l’art. 8, comma 1, della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti e delle libertà fondamentali” - firmata a Roma il 4/11/1950 - che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare; l'art. 5 della “Convenzione sui Diritti dell'Uomo e la biomedicina”, approvata dal Consiglio d'Europa il 4/4/1997 ad Oviedo, in cui è sancito il principio del consenso personale libero e informato ai trattamenti sanitari.

E' giuridicamente infondato, per l'erroneità del contesto, il tentativo di giustificare l'obbligatorietà della vaccinazione anti COVID-19 richiamando l’art. 2087 cod. civ. e il D.Lgs. 81/2008. Entrambe le norme chiamano il datore di lavoro alla responsabilità per omessa adozione delle tutele necessarie a garantire l'integrità fisica dei lavoratori. Tali disposizioni peraltro vanno interpretate in base all'obiettivo che si prefiggono, ossia di tutelare il lavoratore dai rischi inerenti la lavorazione a cui sono addetti, con particolare attenzione all'adeguatezza e sicurezza del processo produttivo e degli stessi ambienti di lavoro. E' di tutta evidenza pertanto che l'attenzione richiesta al datore di lavoro è in relazione unicamente ai processi produttivi e alle condizioni di lavoro da lui dipendenti. Una pandemia non è sicuramente riconducibile tali principi, in quanto è di tutta evidenza che il datore di lavoro non ha né gli strumenti e le conoscenze per potervi far fronte. A dimostrazione di ciò sono i Protocolli di Sicurezza anti COVID-19 recepiti nella legislazione emergenziale, i quali sono ritenuti necessari e sufficienti per espressa previsione di legge a sgravare il datore di lavoro da ogni responsabilità nel caso di contagio dei propri dipendenti.

Da un punto di vista giuridico, prescindendo da ogni considerazione in materia sanitaria e scientifica, l'incostituzionalità dell'obbligo vaccinale introdotto dall'art. 4 del DL 44/2021 è più che fondata per l'attuale contesto.

Ai professionisti e agli operatori sanitari dissenzienti dall'obbligo di vaccinazione o più semplicemente rivendicanti il diritto di scegliere la tipologia di vaccino non sarà né facile, né veloce tutelare il loro diritto di scelta. Gli Ordini professionali e i datori di lavoro applicheranno, infatti, il disposto dell'art. 4 del D.L. 44/2021 e ai lavoratori così penalizzati non resterà che la via del contenzioso giudiziale innanzi al Giudice del lavoro, che potrà essere loro favorevole sole in presenza del verificarsi di due condizioni. Il Giudice dovrà, infatti, ritenere non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalità della norma, sospendendo il giudizio di merito in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, che dovrà accertare l'incostituzionalità della norma impositrice dell'obbligo vaccinale.

A conclusione di questa disamina non può non essere ricordato che la Costituzione ha anche funzione di limite al potere di maggioranza governativo ed è presidio posto a tutela della democrazia nella sua accezione più pura e nobile; prevaricarla sistematicamente in nome dell’emergenza sanitaria - si pensi ai tanti dinieghi di valori e diritti costituzionali da un anno a questa parte calpestati, quali la libertà di movimento (confinati a casa), diritto al lavoro (attività chiuse), diritto all’istruzione (scuole e università chiuse), libertà religiosa (funzioni e riti sospesi) - non è sicuramente risolutivo della pandemia, ma foriero di un futuro senza certezze e garanzie per i cittadini. La Costituzione e il suo rispetto, non sono solo concetti giuridici astratti per addetti ai lavori, ma sono soprattutto gli elementi distintivi di una democrazia.

I principi costituzionali e i diritti ivi affermati sono più importanti che mai in tempi di crisi. Il CORONAVIRUS si è portato via molte vite e ci ha sottratto molto del nostro quotidiano, la legislazione emergenziale però ci sta sottraendo i valori fondamentali di una società libera: la certezza del diritto.



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