Il Ministero di Giustizia e quello dell'Economia hanno emanato il decreto in data 20 dicembre 2021 con il quale sono stati definiti i criteri e le modalità dell'erogazione del rim borso delle spese legali agli imputati assolti a seguito di un procedimento penale a carico.
Giovedi 18 Aprile 2024 |
Possono accedere al rimborso i destinatari di una sentenza di assoluzione definitiva:
“perché il fatto non sussiste”,
“perché non ha commesso il fatto”,
“perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato”, escluso il caso in cui quest’ultima pronuncia sia intervenuta a seguito della depenalizzazione dei fatti oggetto dell’imputazione.
Il rimborso è riconosciuto nel limite massimo di 10.500,00 euro ed è liquidato in unica soluzione entro l’anno successivo a quello in cui la sentenza è divenuta irrevocabile.
Il richiedente, ossia l’imputato stesso, può presentare istanza di accesso al fondo tramite apposita piattaforma telematica accessibile dal sito giustizia.it mediante le credenziali SPID di livello due.
Nel caso di imputati minorenni o incapaci, l’istanza potrà essere presentata dal titolare della responsabilità genitoriale o da chi ne ha la rappresentanza legale.
Nel caso di decesso dell’imputato, l’istanza potrà essere presentata dall’erede e, in caso di pluralità di eredi,da uno degli eredi nell’interesse di tutti.
Tra gli elementi che dovranno essere indicati e documentati nella richiesta ci sono, tra gli altri:
- la durata del processo definito con la sentenza di assoluzione divenuta irrevocabile, calcolata dalla data di emissione del provvedimento con il quale è stata esercitata l’azione penale alla data in cui sentenza di assoluzione è diventata definitiva;
- l’importo di cui si chiede il rimborso, che dovrà essere stato versato al professionista legale tramite bonifico, a seguito di emissione della parcella vidimata dal Consiglio dell’ordine.
Verrà data precedenza alle istanze relative ad imputato irrevocabilmente assolto con sentenza resa dalla Corte di Cassazione, ovvero dal giudice del rinvio, o comunque all’esito di un processo complessivamente durato oltre otto anni; a quelle rese dal giudice di appello o comunque all’esito di un processo durato più di cinque e fino a otto anni; a quelle rese dal giudice di primo grado o comunque all’esito di un processo durato in tutto fino a cinque anni.
Nell’ambito di ciascun gruppo verrà data preferenza alle istanze per processi più lunghi e a parità di durata a quelle con imputati con reddito inferiore.
Ma vi è un altro caso da evidenziare: quello dell’archiviazione del procedimento a carico del preteso imputato.
Rimborso delle spese legali a seguito della archiviazione del procedimento
ll rimborso delle spese legali concerne anche un procedimento penale conclusosi con l’archiviazione.
Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali della Cassazione e del Consiglio di Stato,si ritiene che le spese legali possano essere rimborsate solo qualora vi sia una sentenza definitiva che abbia escluso la responsabilità del dipendente pubblico con una pronuncia di assoluzione nel merito dalle imputazioni contestate.
In merito al rimborso delle spese legali sostenute da un ex amministratore dell'ente, in un procedimento penale conclusosi con l'archiviazione non esiste una disposizione che obblighi l’Amministrazione a tenere indenni gli amministratori delle spese processuali sostenute in giudizi penali concernenti imputazioni oggettivamente connesse all'espletamento dell'incarico, espressamente prevista, invece, per i dipendenti comunali.
In via generale si rappresenta che la disposizione di cui all'art.28 del CCNL dei dipendenti degli Enti locali del 14.09.2000 è stata considerata dalla giurisprudenza 'applicabile in via retroattiva ed anche in via estensiva agli amministratori e non solo ai dipendenti pubblici, ma si è ritenuta limitata ai procedimenti giurisdizionali, senza che ciò escluda tuttavia la rimborsabilità delle spese sopportate in sede di indagine penale, potendosi fare ricorso alla azione di ingiustificato arricchimento'(cfr Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 5367/ 2004 ).
In forza di tale norma “hanno titolo al rimborso delle spese legali il dipendente e quindi l'amministratore locale, sottoposti a giudizio penale per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio, sempreché il giudizio non si sia concluso con una sentenza di condanna e non vi sia conflitto di interessi con l'amministrazione di appartenenza ..' (cfr. Cons. di Stato , sez. V, sent. n. 3946/2001).
Altra parte della giurisprudenza (cfr.Cons. di Stato, Sez. V n. 2242/00), non condividendo il suddetto indirizzo, ha applicato l'analogia iuris tramite il richiamo all'art. 1720, comma 2, del Codice Civile, in base al quale “Il mandante deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell'incarico”.
Nella medesima decisione, il Consiglio di Stato ha comunque evidenziato la sostanziale eccezionalità del rimborso delle spese legali ed ha ribadito,con richiamo alla giurisprudenza ordinaria che, ai fini del rimborso, è necessario accertare che le spese siano state sostenute a causa e non semplicemente in occasione dell'incarico e sempre entro il limite costituito dal positivo e definitivo accertamento della mancanza di responsabilità penale degli amministratori che hanno sostenuto le spese legali.
Il Giudice ordinario ha, peraltro, chiarito ulteriormente tale concetto precisando che il rimborso previsto dalla citata norma del codice civile concerne solo lo spese sostenute dal mandatario in stretta dipendenza dall'adempimento dei propri obblighi.
Più esattamente esso si riferisce alle sole spese effettuate per espletamento di attività che il mandante ha il potere di esigere.
L'ipotesi, si è chiarito, non si verifica quando l'attività di esecuzione dell'incarico abbia in qualsiasi modo dato luogo ad un'azione penale contro il mandatario, e questi abbia dovuto effettuare spese di difesa delle quali intenda chiedere il rimborso ex art.1720 cit..
Ciò è evidente nel caso in cui l'azione si riveli, ad esito del procedimento penale, fondata, ed il mandatario-reo venga condannato,g iacché la commissione di un reato non può rientrare nei limiti di un mandato validamente conferito (art.1343 e 1418 cod. civ.).
Ma la verificazione dell'ipotesi non è possibile neppure quando il mandatario- imputato, venga prosciolto, giacché in tal caso la necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l'esecuzione del mandato,ma tra l'uno e l'altro fatto si pone un elemento intermedio,dovuto all'attività di una terza persona,pubblica o privata, e dato dall'accusa poi rivelatasi infondata.
Anche in questa eventualità non è dunque ravvisabile il nesso di causalità necessaria tra l'adempimento del mandato e la perdita pecuniaria,di cui perciò il mandatario non può pretendere il rimborso (cfr, Corte Suprema di Cassazione- sez. I civ., del 20 dicembre 2007, depositata il 16 aprile 2008, n.10052).
Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali della Cassazione e del Consiglio di Stato, si ritiene,quindi,che le spese legali possano essere rimborsate solo qualora vi sia una sentenza definitiva che abbia escluso la responsabilità del dipendente con una pronuncia di assoluzione nel merito dalle imputazioni contestate.
Alcune considerazioni in sede di applicazione del provvedimento
Sta di fatto che il Fondo per rimborsare le persone assolte nei processi viene ancora usato pochissimo,come rilevano fonti autorevoli di Stampa (v. Il POST e Il Dubbio).
Dopo l’approvazione del provvedimento venne costituito un Fondo specifico.
Il Fondo assegnava al Ministero della Giustizia 8 milioni di euro, che fin da subito furono giudicati insufficienti perché si stimava che le persone che avrebbero potuto richiedere il rimborso fossero circa 125mila: con un fondo da 8 milioni, avrebbero ricevuto poco più di 60 euro ciascuna.
L’istituzione del Fondo arrivò dopo anni di richieste insistenti soprattutto del Consiglio nazionale forense, l’organismo che rappresenta gli avvocati iscritti all’albo: gli avvocati hanno comprensibilmente un certo interesse a fare in modo che gli imputati possano affrontare con maggiori garanzie e tranquillità anche i processi più lunghi, perché le spese legali sono spesso molto onerose e chi non può sostenerle può decidere di rinunciare a proseguire nei ricorsi di un processo, per limitare i soldi spesi in avvocati.Tuttavia,dopo due anni dall’attivazione del Fondo (come segnalato da Il Dubbio) le Istanze presentate al Ministero sono state pochissime, e non si è mai andati nemmeno vicini a usare tutti i soldi a disposizione.
A tanto aggiungasi che,nel frattempo,il Governo l’ha anche reso più consistente, da 8 a 15 milioni di euro.
Per il 2021, il primo anno in cui è stato disponibile il fondo, erano state presentate 362 domande, ne erano state accolte 182 e degli 8 milioni di euro del fondo erano stati spesi solo poco più di 950mila euro.
Per il 2022 le domande erano state 703, ne erano state accolte 505 ed erano stati distribuiti tra chi ne aveva diritto circa 2 milioni e 850mila euro ossia meno di un quinto dei 15 milioni di euro disponibili in totale dopo l’aumento dei fondi.
Nel 2023 è andata un po’ meglio, ma la domanda è ancora incredibilmente bassa: sono state presentate in tutto 703 istanze di rimborso delle spese legali, ne è stata scartata una percentuale decisamente inferiore all’anno prima (198, con 505 domande accolte), ma la cifra erogata resta lontanissima dal pieno utilizzo del fondo: 2 milioni e 844.525 euro a fronte di una disponibilità arrivata a ben 15 milioni.
L’attuale Ministro ha creduto fortemente nel risarcimento delle spese legali per chi sia stato prosciolto con una delle formule “ampiamente liberatorie” previste dalla legge. Tanto è vero che il ministro della Giustizia, appena insediato (e prima ancora che gli uffici elaborassero i dati sull’impatto iniziale del beneficio), ottenne che la prima “finanziaria” del suo Esecutivo incrementasse da 8 a 15 milioni lo stanziamento.
Ogni persona che chiede il rimborso può ricevere al massimo 10.500 euro, un limite che era stato pensato proprio per equilibrare la distribuzione dei finanziamenti, temendo che fossero pochi.
La domanda si presenta dal sito del Ministero della Giustizia ma si ritiene che,per favorire le domande,servirebbe pubblicizzare meglio il fondo e favorire una modalità di accesso più semplice. Spesso le persone assolte vengono a sapere del fondo dai loro avvocati,che presentano la domanda per loro conto.
Va, comunque, sottolineato che al Fondo non può accedere chiunque sia stato assolto dopo un procedimento, ma solo chi è stato assolto in via definitiva dal Giudice con una delle formule che vengono definite “ampiamente liberatorie”: cioè «perché il fatto non sussiste», «perché non ha commesso il fatto», o «perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato» (tranne nei casi in cui sia stata decisa dopo la depenalizzazione di un reato).
Ci sono poi diversi casi in cui non si può accedere al Fondo anche se si ha una sentenza di assoluzione: tra le altre, se nello stesso processo si è stati assolti per un reato e condannati per altri capi d’imputazione, se l’imputato ha ottenuto un risarcimento delle spese legali da chi lo aveva denunciato o se è stato patrocinato dallo Stato (cioè se lo Stato ha pagato al posto suo).
Resta il rammarico,tuttavia, per le tante vittime di processi ingiusti rimaste prive di un ristoro sacrosanto, come sottolinea il Dubbio in maniera condiivisibile....
E’ un segnale per i penalisti, che alla luce delle statistiche, saranno certamente motivati a prospettare ai loro assistiti la possibilità di recuperare, se assolti, almeno una parte delle spese sostenute.
L’accesso al Fondo costituisce un beneficio prezioso, per il quale l’avvocatura, e il Consiglio nazionale forense in testa, si è battuta per anni anche perché si tratta di una legge dall’alto valore simbolico: obbligare lo Stato a risarcire chi è stato sottoposto ingiustamente al calvario di un processo serve anche a ricordare che la potestà pubblica non è illimitata,che inciamparvi non è una sorta di incidente a cui il malcapitato deve piegarsi con rassegnazione (!!).
Occorre,infine,soffermarsi anche sul nuovo diritto per l’imputo assolto o prosciolto.
Il diritto all’oblio
Con l’entrata in vigore della Riforma della giustizia penale (decreto legislativo 150/2022), il nuovo articolo 64-ter del Codice di procedura penale prevede che una persona assolta, ovvero nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di archiviazione del procedimento a suo carico , possa richiedere un’annotazione nella sentenza che disponga espressa mente la deindicizzazione dei propri dati personali dalle pagine WEB.
In pratica, sarà la Cancelleria del Giudice che emette la sentenza a inserire e firmare l’annotazione che avrà valore vincolante sia per i motori di ricerca sia per i titolari del trattamento dei dati,senza necessità di ricorrere nuovamente al Tribunale o all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
In conseguenza,chi detiene i dati pubblicati sui siti web è obbligato a rimuovere le informazioni che non rivestono più un interesse pubblico, storico o socio-economico. Ancor più se la persona coinvolta è stata poi giudicata estranea alla vicenda per la quale era stata accusata.
Il c.d. diritto all’oblio è previsto dall’art. 17 del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) e si configura come un vero e proprio diritto alla cancellazione dei propri dati personali.
Consiste,infatti,nella possibilità di ottenere la rimozione delle proprie informazioni personali da siti web, motori di ricerca o altre piattaforme pubbliche o private ogni qual volta sussistano determinati presupposti,con l’ulteriore garanzia che tali informazioni non vengano nuovamente trattate in danno dell’interessato.
Il diritto all’oblio per tutti coloro che sono coinvolti in procedimenti penali o sono sottoposti a indagini di giustizia è correlato a diverse variabili, che spaziano dalla gravità dell’evento,alla notorietà della persona:con la conseguenza che maggiore è la rilevanza pubblica dell’informazione, più esteso sarà il periodo per la sua c.d.deindicizzazione dai Siti web..
Il motore di ricerca, che non può tecnicamente cancellare il dato, è obbligato a deindicizzarlo se il titolare non lo rimuove o se è irraggiungibile.
Tuttavia,in precedenza,la decisione rimaneva in parte discrezionale,come aveva recentemente precisato su questo punto l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
Con l’introduzione del diritto all’oblio e dell’obbligo di deindicizzazione delle informazioni personali per l’assolto o il prosciolto da un procedimento penale è,quindi, sancita dalla Riforma una novità positiva non solo per la tutela della privacy ma anche per il sistema giustizia in generale, spesso afflitto da errori giudiziari su cui non ci soffermiamo ma che sono spesso oggetto di critiche oltre che di risarcimento dei danni subiti dagli interessati soecie nel caso di ingiusta detenzione.
È stato più volte ribadito,da varie parti,quanto il protrarsi del peso delle vicende giudiziarie possa essere gravoso per un soggetto sottoposto a procedimento penale ma ancor più se da tale procedimento esso possa conseguire un esito favorevole del giudizio.
Questo principio vale anche per colui che, risultato colpevole e scontata la condanna, cerca di reinserirsi nella società con la speranza di poter godere degli effetti della funzione rieducativa della pena.
Tuttavia,nel caso dell’assoluzione, la questione assume una valenza in parte diversa, ma soprattutto una portata incalcolabile sul piano personale e morale.
Se è vero che chiunque può essere oggetto di indagine o di procedimento penale è sufficiente un’accusa particolarmente grave, come la commissione di un reato procedibile d’ufficio che tocca valori cari all’opinione pubblica, che assume importanza quando il soggetto si trovi coinvolto in una spirale mediatica accusatoria quotidiana sui mass media con effetti devastanti anche sulla vita familiare..
Se è pur vero che le Autorità competenti hanno il diritto di indagare ed accertare i fatti posti a base di un’accusa,allo stesso tempo,occorre ribadire,ancora una volta, principi costituzionali come la presunzione di innocenza ed il rispetto della dignità umana. Quando poi la non colpevolezza viene accertata, diventa del tutto indispensabile predisporre tutte le condizioni affinché il soggetto possa proseguire la propria vita, al di là di qualunque valutazione personale sulla vicenda,e recuperare la propria onorabilità.
Si tratta di regole di civile convivenza e di civiltà giuridica che riguardano tutti, anche chi pensa che non si troverà mai in quella determinata situazione.
Conclusioni
Alla luce delle suesposte considerazioni e dei recenti provvedimenti governativi si evince un nuovo orientamento del Legislatore sul tema della risarcibilità dei danni materiali e morali patiti dalle Vittime di Errori giudiziari da parte dei Magistrati.
E’,quindi,auspicabile che il Legislatore, in sede di Riforma della Giustizia, come annun ciato dall’attuale Guardasigilli, abbia a valutare la posizione delle malcapitate Vittime in senso più estensivo e non solo per il rimborso delle spese processuali o la cancellazione dei dati sensibili,ma nel senso più generale per tutti i casi in cui un soggetto esca totalmente indenne da un procedimento penale a suo carico.
Magari non cambierà il modo di approcciare la cronaca giudiziaria di una parte dell’opinio ne pubblica, ma può permettere ad una persona di riappropriarsi della propria identità al di fuori delle Aule,mediatiche e non.