Con l’entrata in vigore della Riforma della giustizia penale (decreto legislativo 150/2022), il nuovo articolo 64-ter del Codice di procedura penale prevede che una persona assolta, ovvero nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di archiviazione del procedimento a suo carico, possa richiedere un’annotazione nella sentenza che disponga espressamente la deindicizzazione dei propri dati personali dalle pagine WEB.
In pratica, sarà la Cancelleria del Giudice che emette la sentenza a inserire e firmare l’annotazione che avrà valore vincolante sia per i motori di ricerca sia per i titolari del trattamento dei dati,senza necessità di ricorrere nuovamente al Tribunale o all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
In conseguenza,chi detiene i dati pubblicati sui siti web è obbligato a rimuovere le informazioni che non rivestono più un interesse pubblico, storico o socio-economico. Ancor più se la persona coinvolta è stata poi giudicata estranea alla vicenda per la quale era stata accusata.
Il c.d. diritto all’oblio è previsto dall’art. 17 del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) e si configura come un vero e proprio diritto alla cancellazione dei propri dati personali.
Consiste,infatti,nella possibilità di ottenere la rimozione delle proprie informazioni personali da siti web, motori di ricerca o altre piattaforme pubbliche o private ogni qual volta sussistano determinati presupposti,con l’ulteriore garanzia che tali informazioni non vengano nuovamente trattate in danno dell’interessato.
Il diritto all’oblio per tutti coloro che sono coinvolti in procedimenti penali o sono sottoposti a indagini di giustizia è correlato a diverse variabili, che spaziano dalla gravità dell’evento,alla notorietà della persona:con la conseguenza che maggiore è la rilevanza pubblica dell’informazione, più esteso sarà il periodo per la sua c.d.deindicizzazione dai Siti web..
Il motore di ricerca, che non può tecnicamente cancellare il dato, è obbligato a deindicizzarlo se il titolare non lo rimuove o se è irraggiungibile.
Tuttavia,in precedenza,la decisione rimaneva in parte discrezionale,come aveva recentemente precisato su questo punto l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali
- Diritto all’oblio e Giustizia Mediatica
Con l’introduzione del diritto all’oblio e dell’obbligo di deindicizzazione delle informazioni personali per l’assolto o il prosciolto da un procedimento penale è,quindi, sancita dalla Riforma una novità positiva non solo per la tutela della privacy ma anche per il sistema giustizia in generale, spesso afflitto da errori giudiziari su cui non ci soffermiamo ma che sono spesso oggetto di critiche oltre che di risarcimento dei danni subiti dagli interessati soecie nel caso di ingiusta detenzione. .
È stato più volte ribadito,da varie parti,quanto il protrarsi del peso delle vicende giudiziarie possa essere gravoso per un soggetto sottoposto a procedimento penale ma ancor più se da tale procedimento esso possa conseguire un esito favorevole del giudizio. . Questo principio vale anche per colui che, risultato colpevole e scontata la condanna, cerca di reinserirsi nella società con la speranza di poter godere degli effetti della funzione rieducativa della pena.
Tuttavia,nel caso dell’assoluzione, la questione assume una valenza in parte diversa, ma soprattutto una portata incalcolabile sul piano personale e morale.
Se è vero che chiunque può essere oggetto di indagine o di procedimento penale è sufficiente un’accusa particolarmente grave, come la commissione di un reato procedibile d’ufficio che tocca valori cari all’opinione pubblica, che assume importanza quando il soggetto si trovi coinvolto in una spirale mediatica accusatoria quotidiana sui mass media con effetti devastanti anche sulla vita familiare..
Se è pur vero che le Autorità competenti hanno il diritto di indagare ed accertare i fatti posti a base di un’accusa, allo stesso tempo occorre ribadire, ancora una volta, principi costituzionali come la presunzione di innocenza ed il rispetto della dignità umana.
Quando poi la non colpevolezza viene accertata, diventa del tutto indispensabile predisporre tutte le condizioni affinché il soggetto possa proseguire la propria vita, al di là di qualunque valutazione personale sulla vicenda,e recuperare la propria onorabilità.
Si tratta di regole di civile convivenza e di civiltà giuridica che riguardano tutti, anche chi pensa che non si troverà mai in quella determinata situazione.
Negli anni non sono mancate altre sentenze volte a risolvere, in diversi casi concreti, il dibattito tra i due diritti.
Si tratta perlopiù di provvedimenti dove la Cassazione ha riconosciuto il diritto allo oblio rispetto al trascorrere del tempo, chiarendo che quest’ultimo può mutare il rapporto tra i diritti contrapposti in quanto determina il venir meno dell’interesse pubblico della notizia.,
Sulla stessa linea la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso Google Spain SL, Google Inc. vs Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González (causa C−131/12).
Nonostante tale sentenza e le numerose pronunce della Corte di Cassazione sul’argomento, la situazione non era mai mutata.
Su questo punto va ricordata l'Ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione del 20 marzo 2018, n. 6919 che aveva definito alcuni criteri per il bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca.
La Suprema Corte aveva ritenuto che quest’ultimo potesse prevalere soltanto in presenza di determinate condizioni:
il contributo della diffusione della notizia ad un dibattito di interesse pubblico,
l'interesse effettivo ed attuale alla diffusione,
la notorietà del soggetto rappresentato, le modalità della notizia, e
la preventiva informazione dell'interessato per permettergli di replicare prima della divulgazione.
Senza dover citare fatti e volti noti alle cronache giudiziarie, è sufficiente digitare alcuni nomi di questi su un qualsiasi motore di ricerca internet per reperire articoli che, anche a distanza di anni,ripercorrono l’intera vicenda,talvolta senza alcuna limitazione sui dettagli più scabrosi o che,addirittura, continuano ancora a mettere in dubbio sentenze di assoluzione con formula piena passate in giudicato, così suscitando,a posteriori,un dibattito ulteriore su una vicenda chiusa e divenuta ormai definitiva..
I c.d.”processi mediatici” che danno vita a dibattiti pubblici sulla colpevolezza o meno dell’indagato(come,ad es.,nel caso Cogne), andando il più delle volte ad anticipare l’esito di un processo svolto nelle competenti sedi, conducono spesso alla pronuncia di sentenze non definitive che, per questo, lasciano segni indelebili sul soggetto salvo a pervenire ad una sentenza di segno opposto ed assolutoria nei gradi successivi di giudizio. .
Per contro, va sottolineato che la tutela della privacy è uno dei diritti in materia di protezione dei dati personali che maggiormente incide sulla quotidianità di un soggetto nell’era della digitalizzazione, soprattutto se si pensa ai risvolti sociali e psicologici che può avere il fatto di reperire online informazioni su sé stessi che non vorremmo più vedere.
In ambito penale, le conseguenze della giustizia mediatica assumono risvolti particolarmente gravi sul soggetto e il coinvolgimento in un procedimento ha un impatto immediato sulla dimensione intima della persona e sulla sua immagine sociale, ossia la sua reputazione.
Con l’avvento dei social network, le “aule" pubbliche sono poi diventate pressoché sconfinate stante la possibilità di diffondere opinioni spesso falsate ad una collettività di soggetti pronti ad un approccio, a volte morboso, ad una vicenda giudiziaria che è oggetto di giudizio,così danneggiando gravemente l’esito dello stesso.
Quella che maggiormente attiene alla cronaca giudiziaria è tendenzialmente la condizione per l’applicazione del par.1, lett. a), dell’art. 17 del Regolamento del GDPR, ossia quando “i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati”.
In altri termini, quando il trascorrere del tempo fa sì che non vi sia più alcun interesse al trattamento di quelle informazioni.
Ebbene, la Riforma Cartabia facendo prorio uno degli emendamenti approvati in sede di discussione della normativa - il c.d. emendamento Costa – è intervenuto su questo aspetto delicato con una norma di grande importanza che determinerà un notevole rafforzamento della tutela della privacy di qualsiasi soggetto sottoposo a procedimento dinanzi all’A.G.e che merita tutela a seguito del proscioglimento successivo.
L’emendamento,recepito nel testo finale approvato dal Parlamento,prevede una integrazione delle disposizioni attuative del codice di procedura penale affinchè i decreti di archiviazione, le sentenze di non luogo a procedere e le sentenze di assoluzione vengano trasmessi al Garante per la protezione dei dati personali e «costituiscano titolo per l'emissione senza indugio di un provvedimento di deindicizzazione dalla rete internet dei contenuti relativi al procedimento penale contenenti i dati personali degli indagati o imputati».
In altri termini, ogni persona che uscirà indenne da una vicenda giudiziaria potrà richiedere un provvedimento del Giudice affinché i propri dati non compaiano più sui motori di ricerca del Web.
Merita, ancora, di essere sottolineato che fino alla modifica normativa il diritto all’oblio poteva essere ottenuto soltanto tramite una procedura piuttosto farraginosa, che iniziava con una domanda di deindicizzazione a Google - spesso respinta - e proseguiva poi con il ricorso al Garante o e all’Autorità giudiziaria.
Inoltre, l’istanza dell’interessato veniva decisa caso per caso e sulla base di un bilanciamento continuo tra diritto all’oblio e diritto di cronaca con tutti i limiti innanzi menzionati.
Con la Riforma, invece, il diritto alla cancellazione dei dati personali è stato sancito in generale per tutti i casi in cui un soggetto esca totalmente indenne da un procedimento penale a suo carico.
In definitiva,il riconoscimento del diritto alla deindicizzazione è quindi previsto come obbligo espresso, sottraendo agli altri Organi competenti qualsiasi margine di discrezionalità
Magari non cambierà il modo di approcciare la cronaca giudiziaria di una parte dell’opinione pubblica, ma può permettere ad una persona di riappropriarsi della propria identità al di fuori delle Aule, mediatiche e non.