Il danno da perdita parentale e la presunzione in favore dei fratelli della vittima

Il danno da perdita parentale e la presunzione in favore dei fratelli della vittima

La morte di una persona causata da un illecito fa presumere da sola, ex art. 2727 cod. civ., una conseguente sofferenza morale in capo, oltre che ai membri della famiglia nucleare “successiva” (coniuge e figli della vittima), anche ai membri della famiglia “originaria” (genitori e fratelli), a prescindere da una situazione di convivenza.

Lunedi 24 Marzo 2025

Tale principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 6500 dell'11 marzo 2025

Il caso: La Corte d'appello, quale giudice del rinvio, rigettava la domanda proposta in primo grado dai fratelli e sorelle di Caio, deceduto sul lavoro alle dipendenze della società Alfa S.n.c.

I congiunti di Caio, soccombenti in appello, ricorrono in Cassazione, rilevando che:

a) la Corte d’appello ha errato laddove ha omesso di considerare la prevalente giurisprudenza di legittimità, assecondando soltanto la statuizione dell’ordinanza di cassazione con rinvio, che aveva a sua volta omesso di considerare che nel giudizio risarcitorio instaurato dai fratelli del lavoratore deceduto a seguito di infortunio sul lavoro la prova del danno non patrimoniale da sofferenza interiore per la perdita del familiare può essere fornita mediante presunzione fondata sull'esistenza dello stretto legame di parentela, secondo un criterio di normalità sociale ossia che essi soffrano per le lesioni mortali patite dal loro prossimo congiunto ovvero per la drammatica e prematura dipartita di quest’ultimo;

b) grava, pertanto, sul convenuto fornire la prova contraria che dovrà essere imperniata non già sulla mera mancanza di convivenza (che, in tali casi, può rilevare al solo fine di ridurre il risarcimento rispetto a quello spettante secondo gli ordinari criteri di liquidazione), bensì sull'assenza di legame affettivo tra i germani superstiti e la vittima nonostante il rapporto di parentela.

Per la Cassazione la censura è fondata: sul punto vengono ribaditi i seguenti principi:

1) la presunzione iuris tantum (che onera il convenuto della prova contraria dell’indifferenza affettiva o, persino, dell’odio) concerne l’aspetto interiore del danno risarcibile (c.d. sofferenza morale) derivante dalla perdita del rapporto parentale, mentre non si estende all’aspetto esteriore (c.d. danno dinamico-relazionale), sulla cui liquidazione incide la dimostrazione dell’effettività, della consistenza e dell’intensità della relazione affettiva (desumibili, oltre che dall’eventuale convivenza – o, all’opposto, dalla distanza – da qualsiasi allegazione, comunque provata, del danneggiato), delle quali il giudice del merito deve tenere conto, ai fini della quantificazione complessiva delle conseguenze risarcibili derivanti dalla lesione estrema del vincolo familiare;

2) la giurisprudenza di questa Corte ha, in un recente passato, ritenuto applicabile la presunzione semplice, ai sensi dell’art. 2727 c.c., anche ai fratelli (o sorelle) unilaterali della persona deceduta (Cass. n. 24689 del 5/11/2020), rimarcando che compete al responsabile provare che tra la vittima e il superstite none esisteva alcun vincolo affettivo.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 6500 2025

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