La contrazione economica derivata dalla pandemia dovuta alla diffusione del virus Covid-19 e le conseguenti misure di contenimento (tra le quali il c.d. lockdown) adottate dal Governo e dalle Regioni hanno immediatamente attirato l’attenzione sulla sorte dei contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo che costituiscono una componente aziendale fondamentale per l’esercizio di diverse imprese.
Per quanto riguarda le attività economiche, il divieto temporaneo generalizzato di svolgimento, fissato dalle suddette misure, imponendo un vero e proprio obbligo di chiusura per quelle non rientranti tra le categorie previste dal D.P.C.M. 11 marzo 2020, allegati 1 e 2, e quelle funzionalmente collegate, ha, infatti, portato a dubitare molti imprenditori dell’utilità aziendale del godimento oneroso degli immobili condotti in locazione a causa della paralisi delle loro attività e della grave crisi finanziaria che ne è derivata.
Nella ricerca di soluzioni soddisfacenti, l’analisi degli interpreti è stata attirata da un elemento normativo di novità rappresentato dal comma 6 bis aggiunto (e ora unico rimasto vigente) all’art. 3 del decreto legge 23 febbraio 2020 n. 6 (convertito nella L. 5 marzo 2020 n. 20) dall’art. 91 decreto legge 17 marzo 2020 n. 18 (c.d. Decreto Cura Italia ancora in corso di conversione al momento in cui si scrivono queste note).
Esso prevede che:
« Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti»
e, per la sua generalità e per i riferimenti alle norme codicistiche in tema di obbligazioni in generale, pare riferirsi alle obbligazioni anche non ex contractu.
Sennonché, in diversi hanno ritenuto d’individuare il debitore nel conduttore quando invece l’obbligazione caratterizzante il contratto di locazione non è quella di pagare il canone per il godimento dell’immobile bensì quella, che grava sul locatore, di consentire il pacifico godimento del bene.
Spostando, quindi, forse più correttamente, la prospettiva sul locatore vien da chiedersi se tale recente norma abbia un’effettiva utilità o se debba, invece, ritenersi superflua poiché le ipotesi in essa ricadenti potrebbero essere comunque (già) disciplinate, in via ancor più generale, dalle norme codicistiche in tema:
a) d’impossibilità sopravvenuta dell’obbligazione per causa non imputabile al debitore (artt. 1218, 1256 e 1258 c.c.);
b) di modifica, scioglimento o risoluzione dei contratti per impossibilità sopravvenuta (artt. 1463, 1464 c.c.);
c) di caratteristiche essenziali delle obbligazioni e tra esse, in particolare, dell’interesse patrimoniale che deve soddisfare la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione (art. 1174 c.c.) il che porta ad estendere il discorso fino all’effettiva realizzazione di quella che la teoria soggettivistica definisce come la causa concreta del contratto;
d) di tutela del creditore della prestazione inadempiuta (art. 1460 c.c.).
La risposta pare dover essere positiva.
In effetti il conduttore, concludendo un contratto di locazione ad uso commerciale manifesta il suo interesse ad ottenere non un generico godimento dell’immobile ma quello, specifico, atto a consentirgli lo svolgimento effettivo della sua attività d’impresa.
L’interesse del conduttore consiste, dunque, nell’effettiva possibilità d’utilizzo della prestazione cui si è obbligata la controparte contrattuale, e quindi in quel particolare e concreto utilizzo dell’immobile locato che gli consenta di svolgervi lecitamente la sua attività d’impresa.
Si vuole dire che non corrisponde all’interesse reale del conduttore/imprenditore mantenere il godimento dell’immobile senza avere la possibilità di svolgervi la sua attività d’impresa.
Tale interesse, obiettivandosi, finisce per connotare la stessa causa del contratto di locazione cui va quindi riconosciuta non più una funzione economico sociale, ma una funzione economico individuale (c.d. causa concreta).
Le più recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità in tema di definizione della causa del contratto hanno, del resto, confermato un progressivo abbandono (inaugurato da Cassazione Civile, sez. III, 8 maggio 2006 n. 10490) della tradizionale “teorica della funzione economico sociale del contratto” verso un’interpretazione maggiormente soggettiva della causa, intesa come “funzione economico individuale” del negozio.
“La causa in concreto intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell'economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall'altra”. (Cassazione civile, sez. III, 10 luglio 2018, n. 18047; Cassazione civile, sez. III, 3 aprile 2013, n. 8100; Cassazione civile, sez. I, 16 maggio 2017, n. 12069).
Funzione economico individuale (alias causa concreta) della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato, che determina quindi, quanto alla locazione c.d. commerciale, l’essenzialità delle modalità concrete di utilizzo dell’immobile in quanto strumentali alla realizzazione dello scopo imprenditoriale prefissosi dal conduttore.
E ben si comprende come, nel momento in cui si ritenga di entrare nella prospettiva della causa concreta del contratto, essa assuma decisiva rilevanza in ordine alla sorte di quest’ultimo in ragione di eventi sopravvenuti che si ripercuotano sullo svolgimento del rapporto quale ad es. proprio l’impossibilità della prestazione. Sorge, anzi, il dubbio che lo scioglimento negoziale conseguente alla sopravvenuta caducazione della causa in concreto costituisca, pur condividendo il medesimo esito giuridico con la sopraggiunta impossibilità d’adempiere, un’autonoma causa di cessazione degli effetti del contratto.
Nell’ambito dell’oggetto delle presenti riflessioni l’impossibilità sopravvenuta della prestazione deve essere riguardata sotto il profilo dell’impossibilità per il conduttore di utilizzare e quindi di avvantaggiarsi della prestazione del locatore a causa del lockdown imposto dalle Autorità allo svolgimento della sua attività imprenditoriale.
Non paiono esservi dubbi che la sopravvenuta impossibilità d’utilizzazione (non imputabile al creditore) possa assumere rilievo al pari di ogni altro evento sopravvenuto che incida negativamente sull’interesse creditorio che risulti anche tacitamente obiettivato nel contratto e ne connoti la causa concreta e sia tale da farlo venire del tutto meno ove si accerti l’impossibilità della relativa realizzazione (Cassazione Civile, sez. III, 24 luglio 2007 n. 16315; Cassazione Civile, sez. III, 20 dicembre 2007 n. 26958).
Sopravvenuta impossibilità d’utilizzazione (pur a fronte dell’assenza di una reale impossibilità giuridica, ovvero fisica della prestazione) da intendersi quale ipotesi di mancata attuazione del sinallagma contrattuale e in quanto tale quindi inidonea a garantire la realizzazione degli interessi che le parti intendevano soddisfare (Cassazione Civile, sez. III, 24 luglio 2007 n. 16315; Cassazione Civile, sez. III, 20 dicembre 2007 n. 26958; Tribunale di Torino, 2 ottobre 2014; Cassazione Civile, sez. III, 10 luglio 2018 n. 18047). Sinallagma contrattuale che è sempre presupposto indispensabile ai fini dell’applicabilità della disciplina generale della risoluzione del contratto che può, infatti, essere richiesta da entrambe le parti del rapporto.
La prestazione del locatore (consentire il pacifico godimento dell’immobile) rimane, infatti, astrattamente eseguibile e quindi possibile, ma diviene concretamente impossibile la sua utilizzazione da parte del conduttore. Utilizzazione che, come detto, corrisponde all’interesse patrimoniale, obiettivatosi nella causa concreta del contratto, che s’intendeva soddisfare concludendo il contratto di locazione.
Se così è, la sopravvenuta impossibilità d’utilizzazione della prestazione finisce per estinguere il rapporto obbligatorio ove venga meno l’interesse creditorio (i.e. del conduttore) travolgendo, per la definitiva irrealizzabilità della sua causa concreta, lo stesso contratto (nel caso in esame di locazione) che della predetta obbligazione costituisce la fonte negoziale.
Più che di sopravvenuta impossibilità d’utilizzare la prestazione si dovrebbe quindi, forse, più propriamente parlare di caducazione dell’interesse creditorio a ricevere la prestazione.
In definitiva l'impossibilità d’utilizzazione della prestazione da parte del creditore, pur se normativamente non specificamente prevista (la valorizzazione dell’interesse del creditore la si scorge forse solo nell’art. 1464 c.c. quando riserva al creditore la facoltà di richiedere la risoluzione, ove non abbia più interesse a riceverla), finisce per poter costituire, analogamente all'impossibilità d’esecuzione della prestazione, una causa d’estinzione dell'obbligazione.
Il debitore (locatore) non è pertanto più tenuto ad eseguirla e soprattutto, il creditore (conduttore) non ha l’onere di accettarla e di corrispondere il canone dovuto.
Auspicabilmente, il periodo di lockdown non durerà ancora a lungo.
Il contratto di locazione, come noto, è un contratto a prestazioni corrispettive ad esecuzione continuata.
Non paiono, quindi, esservi dubbi che l’impossibilità parziale possa essere riscontrata quando la prestazione del debitore sia divenuta parzialmente impossibile sotto l’aspetto temporale, ovverosia, non abbia potuto essere adempiuta (siccome soddisfacente l’interesse del creditore) solo per un limitato periodo (Cassazione civile, sez. III, 17 giugno 1986, n. 4053).
Salvo il caso in cui il conduttore, non avendo un interesse apprezzabile all'adempimento parziale (i.e. un minor numero di mesi di godimento rispetto a quelli previsti in contratto), decida di recedere dal contratto sfruttando la previsione dell’art. 1464, secondo periodo, c.c., è allora prevedibile (e costituirà verosimilmente la stragrande maggioranza dei casi) che il conduttore possa recuperare, al termine della vigenza delle misure volte al contenimento del contagio, il suo interesse ad utilizzare e quindi ad avvantaggiarsi della prestazione del locatore.
La prestazione del locatore, nel caso di specie, dovrà quindi considerarsi essere divenuta solo (temporalmente) parzialmente impossibile, col diritto del conduttore e vedersi riconosciuta una corrispondente riduzione della prestazione (canone) da essa dovuta, da valutarsi caso per caso, a seconda delle circostanze concrete, sotto forma vuoi di esonero totale dal suo versamento per i periodi di vigenza del divieto di svolgimento delle attività imprenditoriali, vuoi di riduzione dell’importo dei canoni riferibili a tale periodo.
In conclusione l’art 91 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, non pare aggiungere nulla alle norme generali in tema di obbligazioni e contratti contenute nell’ordinamento codicistico potendo la situazione straordinaria ed imprevedibile che si è venuta a creare a causa del diffondersi del virus COVID-19 e dei conseguenti provvedimenti governativi e regionali per il contenimento del contagio, per quanto riguarda i contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo conclusi da imprenditori costretti alla sospensione della propria attività imprenditoriale, essere disciplinata anche solo in forza di quanto previsto dall’art. 1464 c.c.
Tali contratti possono, quindi, subire, nella fase di lockdown, solo un knockdown e una loro eventuale, temporanea, rimodulazione economica in attesa di poter tornare presto “in piedi” e continuare a produrre appieno quegli effetti negoziali con le relative (integrali) prestazioni che le parti hanno convenuto al momento della loro conclusione.