La Giustizia Riparativa: una via alternativa alla Giustizia

La Giustizia Riparativa: una via alternativa alla Giustizia
Lunedi 8 Settembre 2025

Nel Luglio del 2024,in occasione dell’avvio della Giustizia Riparativa, introdotta dalla Riforma Cartabia con il D.Lgs 10/10/2022 n.150,che costituiva, in concreto, lo strumento per l’attuazione della Riforma che aveva disciplinato l’Istituto, in adempimento delle Direttive Europee e degli obblighi derivanti dal PNRR, chi scrive rivolse un appello ai Legislatore affinché l’art.27 del D.L.n.19/2024, che ne aveva prorogato l’entrata in vigore al 30 giugno 2024,fosse seguito rapidamente dall’adozione degli Istituti processuali innovativi, non più differibile a causa della grave situazione della Giustizia nei Tribunali.

A distanza di circa un anno, neppure l’approvazione del DDL Nordio sulla Giustizia ha accelerato l’entrata in vigore del provvedimento, spegnendo le speranze di chi attendeva una accelerazione dell’entrata in funzione del nuovo Istituto.

In definitiva, siamo tuttora in presenza deil’entrata in vigore del nuovo procedimento riparatorio, piuttosto diluita nel tempo e che si è trascinata per mesi senza una soluzione efficace.

In attesa delle decisioni del Governo, alle prese con l’organizzazione sul Territorio del nuovo e importante Istituto, non sono mancate le opinioni di chi ha evidenzito le numerose criticità per l’attuazione in concreto della Riforma, sulle quali il Governo, in questo lasso di tempo, non è intervenuto se non marginalmente per colmare le lacune di un provvedimento attuativo considerato insoddisfacente nei suoi aspetti procedurali al punto da rasentare la incostituzionalità di talune norme che vanno dalla violazione della normativa di cui dovrebbero occuparsi i processi anche in corso, alle conseguenze psicologiche per le Vittime e Autori del reato private dello strumento di composizione amichevole dei conflitti tra essi.

Tuttavia, la Riforma procede, sia pure tra molte difficoltà, come emerso nel dibattito dottrinale e nelle prime decisioni dei Tribunali.

Eppure qualcosa si sta muovendo poiché alla fine dello scorso luglio le varie conferenze locali, istituite presso ogni Corte d’Appello in base alla Legge, hanno individuato gli spazi e gli Enti che dovranno gestirle.

Quindi si dovranno stipulare le convenzioni e i Centri per lo svolgimento dei programmi riparativi potranno finalmente iniziare le loro attività.

Invero, la giustizia riparativa sposta l’attenzione dalla violazione di una norma alla violazione di una persona ossia sulla Vittima del reato compiuto che, come tale, merita una nuova tutela processuale anche quando non sia costituita parte civile, come accadeva in precedenza.

Per questo la Giustizia Riparativa introduce un paradigma completamente differente di Giustizia, ossia una via alternativa, com’è stato autorevolmente sostenuto da Marco Roberti sulle pagine dell’Espresso qualche giorno sulla base delle risultanze dell’European forum for restorative justice, che quest’anno arriva al quarto di secolo e di cui Patrizia Patrizi ne è la Presidente.

Secondo la definizione scaturita dallo stesso Forum, la Giustizia Riparativa viene definita come un “approccio volto a fronteggiare il danno o il rischio di danno, coinvolgendo tutte e tutti coloro che ne sono toccati. Invece di separare le persone o escludere quelle ritenute una minaccia, i processi riparativi ripristinano protezione e sicurezza proprio riunendo le persone cosi' da annullare l’ingiustizia, riparare il danno subito e alleviare la sofferenza attraverso il dialogo e l’intesa”.

Sin dal 2022,con la Riforma Cartabia, la giustizia riparativa e' entrata a pieno titolo anche nell’ambito penale come percorso complementare e alternativo a quello del processo incentrata sul fine rieducativo attraverso l’incontro tra autore del reato e vittima, in un percorso basato non sul pentimento e sul perdono ma sull’ascolto e sul riconoscimento dell’altro con l’aiuto di un soggetto terzo imparziale.

Un modello che nasce da lontano, dagli studi del criminologo americano Howard Zehr, considerato il pioniere di questo tipo di approccio.

In Italia, in passato, ci sono state diverse esperienze di incontro tra vittime e responsabili della lotta armata degli anni Settanta, tra cui Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, lo Statista ucciso dalle Brigate Rosse, e Franco Bonisoli, ex brigatista che fece parte del commando responsabile dell’omicidio.

Ma c’e' anche l’esempio di Padre Adolfo Bachelet, fratello del vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet, ucciso dai terroristi nel 1980.

Il Gesuita, negli anni seguenti, andò in carcere a visitare diversi ex terroristi in molti incontri che, come ammisero in seguito gli stessi, servirono per riflettere sulle loro azioni e reinserirsi nella società con nuovi strumenti e nuove certezze psicologiche.

Secondo Roberta Palmisano, Presidente della terza sezione della Corte d’Appello di Roma, “la Riforma Cartabia da un lato fa tesoro dell’esperienza già fatta, dall’altro da' adempimento alle Direttive europee, formalizzando un procedimento all’interno del processo penale.

Si tratta, in sostanza, di un percorso volontario, complementare ed alternativo di Giustizia per entrambe le parti che deve essere autorizzato dal Giudice e può essere attivato in ogni momento e senza limitazioni legate alla gravita' del reato commesso” (!!)(anche se su questo punto la Dottrina ha espresso forti perplessità sulla natura dei reati da ricomprendere e sulla carenza della indicazione dei tempi assegnati alle parti per la definizione dei conflitti-Ndr) .

La forma più comune, ma non l’unica, e' quella dell’incontro tra autore e vittima del reato alla presenza di uno o più mediatori specializzati nella materia della Mediazione Penale, previa sospensione del processo per 180 giorni per i reati rimettibili a querela di parte e conseguente estinzione degli stessi in caso di esito positivo.

Nessun termine o sospensione è, invece, prevista nei casi procedibili d’ufficio che determina un’assoluta incertezza sull’utilizzo del procedimento,,prescindendo dall’esito dello stesso posto che, al termine del percorso, viene inviata una Relazione del Mediatore sull’esito della programma al Giudice, che può, ma non è obbligato, tenerne conto nella concessione di attenuanti o di sconti di pena.

Secondo l’Alto Magistrato“e' una scelta che non può essere fatta solo perché possono esserci effetti favorevoli la finalità e? un’altra:e? uno strumento che serve per ricomporre la frattura che si crea ogni volta che viene commesso un reato”.

La giustizia ripartiva, quindi, arriva a dare una risposta che non può provenire dal processo penale dove, necessariamente, bisogna cercare una verità basata sui fatti e non c’e' spazio per indagare le ripercussioni psicologiche sulla Vittima che, peraltro, non può neppure opporsi alla decisione del Tribunale.

Tuttavia, nel nostro Paese esiste ancora una forte resistenza verso questa pratica.

Secondo la Presidente Palmisano “c’e' una difficolta? culturale a maneggiare tutti gli strumenti che si discostano dalla custodia cautelare in carcere che non e' efficace per alcuni tipi di reati e per alcune persone. E, soprattutto, in molti casi non riesce ad avere un effetto rieducativo.Anzi spesso produce solamente maggiore criminalità”.

Oltre a questo, a frenare la Riforma, e' anche la mancanza di strutture adeguate.

Il cortocircuito ha riguardato le figure dei Mediatori Penali che devono essere ancora formati dalle Università anche attraverso un periodo di pratica svolta in un Centro, ma se questi luoghi non esistono ancora, non e' possibile neanche concludere la formazione degli operatori.

A tanto aggiungasi che, nel frattempo, questa possibilità viene negata ancora a chi ne avrebbe diritto, come accaduto, tra gli altri episodi, nel Tribunale di Genova.

E' il caso di un imputato di maltrattamenti nei confronti della madre che, dopo che le parti hanno prestato il loro consenso, il Giudice del Tribunale di Civitavecchia ha disposto lo “svolgimento di un programma di giustizia riparativa” che può “essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto”, come si legge nella Ordinanza. Ma è proprio su questo che è nato il problema.!!

“La norma prevede che questi percorsi debbano essere svolti in strutture pubbliche istituite presso gli Enti locali”, come ha affermato il difensore dell’imputato “ma, dato che nel Circondario della Corte d’Appello di Roma non ci sono, si arriva alla compromissione di un diritto sancito dalla legge istitutiva “in ogni stato e grado del giudizio”.

Se poi un soggetto e' detenuto, prosegue il legale che si occupa di carceri per diverse Associazioni, ”sorgono ancora maggiori difficoltà per cui, al momento l’Istituto e' rimasto purtroppo inattuato se non negato nei casi di condanne per i reati più gravi”. .

L’unico Centro disponibile e' divenuto il Centro dell’innominato, a Lecco, che ha ricevuto il riconoscimento dal Ministero della Giustizia e che, forte dell’esperienza maturata sin dal 2012,ha dichiara che “Siamo un tavolo nato per diffondere questo approccio a tutti gli ambiti del vivere sociale.

La pratica riparativa più utilizzata qui, finora, e' stato l’incontro che, insieme con le vittime e agli autori di reato, ha visto partecipi anche i membri della Comunità.

Ora, la speranza e' di cominciare, come Centro riconosciuto dal Ministero, i primi incontri in autunno con l’effetto trasformativo per chiunque abbia confronti del genere.

Chi attraversa un percorso come questo ne esce diverso rispetto a come era entrato”.

  • Le effettive ragioni del ritardo

Al di là di ogni altra giustificazione del ritardo della Riforma, occorre ricordare che, nelle more, la stessa si è innestata sul percorso attuativo la Riforma Costituzionale della separazione delle carriere tra i Magistrati da parte del Parlamento che ha suscitato tante polemiche tra gli stessi Magistrati ma anche da parte della Dottrina sulla efficacia del PdL del Ministro Nordio per accelerare la durata dei processi che costituisce il vero problema della Amministrazione della Giustizia in Italia.

Un recente intervento, condivisibile, dell’Avv.Parrotta, Presidente dell’ISPEG, ha cercato di motivare le ragioni della Riforma in atto alla base del provvedimento del Guardasigilli Nordio, ex Procuratore della Repubblica ed a conoscenza delle problematiche della Giustizia.

Secondo l’autorevole giurista Parrrotta, la Riforma Nordio del processo penale è un episodio di alta rilevanza per il diritto italiano.

Sostenerla criticamente vuol dire riconoscere il bisogno strutturale di modernizzazione, di giustizia più veloce ed imparziale e di una direzione chiara verso sistemi più avanzati.

Se accompagnata dai giusti correttivi, la Riforma può rappresentare una svolta importante, un servizio alla credibilità del sistema giudiziario e dei cittadini. L’obiettivo è quello di separare nettamente funzioni requirenti e giudicanti e razionalizzare i poteri d’impugnazione e cautelari risponde a un’esigenza di chiarezza costituzionale e di efficienza processuale, percepita dentro e fuori le Aule di Giustizia, che conferma le tensioni emerse in Commissione tra toghe, penalisti e accademici, specie sulle impugnazioni e sulla custodia cautelare da cui emerge che la Riforma in discussione tocca i punti nodali del sistema giudiziario.

Anche per questo il metodo Nordio, che mantiene ferma le proprie convinzioni ma che accetta il confronto sul merito della Riforma, appare essere la scelta giusta.

La separazione delle carriere è destinata a rimuove l’attuale ambiguità ordinamentale per cui chi ha svolto funzioni requirenti può passare a quelle giudicanti (e viceversa), genera una sorta di contiguità culturale che va superata. .

Un Giudice che nasce e resta Giudice e un Pubblico Ministerro che nasce e resta tale, migliorano l’equilibrio del contraddittorio nel Processo Penale.

Per l’imputato significa avere un arbitro che non è (né è mai stato) parte dell’accusa che assicurerebbe la Terzietà del Giudice, conseguita con la Riforma Cost dell’art 111, approvata anche su sollecitazione dell’Unione delle Camere Penali, che allinea l’Italia ai sistemi in cui i ruoli sono distinti per definizione.

Ne conseguono impugnazioni delle Sentenze o delle Ordinanze cautelari più razionali atteso che limitare alcune ipotesi d’Appello del PM riduce che tale strumento sia utilizzato contro l’imputato assolto o condannato a pene lievi, evitando che l’Appello divenga, invece, uno strumento di pressione ingiustificata.

Per la difesa la separazione delle carriere cosituisce un incentivo a concentrare la battaglia sul primo giudizio e una barriera contro il contenzioso seriale che allunga i tempi e logora le risorse pubbliche da destinare all’Amministrazione della Giustizia in generale.

E ancora.

Una custodia cautelare più selettiva, specie per quanto attiene alla motivazione del provvedimento restrittivo, finisce per incidere sull’”area grigia” del sospetto, quella in cui più facilmente si producono danni reputazionali irreversibili per i destinatari, salvo a dichiararne l’estraneità ai fatti contestati nel successivo Giudizio assolutorio che costringe lo Stato a risarcire il malcapitato per la ingiusta detenzione sofferta.

Per la difesa significa riportare la libertà personale al centro dell’attività svolta, con un controllo più incisivo sulla reale necessità delle misure adottate in danno del presunto colpevole chiamato a discolparsi in un processo a carico con tempi mai definiti o definibili.

In definitiva, secondo Perrotta, la Riforma in atto attua un allineamento a sistemi giudiziari più evoluti, come, ad es, in Inghilterra e in Galles, in cui il Pubblico Ministero è un’autorità distinta dal Giudice e indipendente dalla Polizia e dal Governo laddove il suo compito è portare in Aula il caso giusto con la prova giusta, per non “vincere a ogni costo” con il Giudice di turno.

Questo si riflette sulla c.d.disclosure, early case management e culture of fairness atteso che gli oneri di rivelazione sono puntuali e monitorati, con ricadute tangibili sulla capacità della difesa di impostare tesi alternative, confutare attendibilità, negoziare esiti, etc.

Un PM separato dall’Organo giudicante e legato a protocolli di qualità, rende più prevedibile il processo e accresce la fiducia degli imputati nella neutralità del Giudice.

Si ritiene che questo sia il tipo di convergenza culturale a cui mira il Ministro Nordio e non già sulla sottoposizione del P.M. a limitazioni della sua ’attività svolta.come, invece, sostenuto da alcune opinioni contrarie anche tra gli stessi Magistrati.

Laddove l’organizzazione è trasparente, la difesa beneficia di prevedibilità: tempi, scelte accusatorie e linee guida che sono conoscibili e sindacabili.

Chi critica la riforma come attentato all’indipendenza del Giudice dimentica che i modelli a cui Nordio fa riferimento, in alcuni Paesi Europei, operano da decenni con separazioni nette e con alti standard di garanzia.

Lo stesso dibattito accademico italiano, pur severo, offre l’occasione per perfezionare contrappesi (ad es.sulla disciplina e nomine) senza rinunciare alla chiarezza dei ruoli.

Il Ministro Nordio vuole indirizzare, quindi, il nostro Sistema Giudiziario verso un modello più moderno, trasparente e imparziale in cui la separazione delle carriere porta coerenza tra funzione giudicante e requirente, rafforzando la fiducia dei cittadini.

Le modifiche processuali introdotte possono, in tal modo, accelerare i tempi, snellire i procedimenti e riaffermare l’equilibrio tra accusa e difesa poste anche alla base delle motivazioni della precedente Riforma Cartabia del 2022.

Fortunatamente, la scelta di un dialogo serio e non rituale con l’Associazione dei Magistrati testimonia della volontà politica di preservare un equilibrio dove la costruzione graduale di un sistema più moderno e ordinato vale il rischio, purché accompagnata da salvaguardie costituzionali evolutive, evitando di creare attriti costruttivi.

In sintesi la Riforma Nordio significa tre cose in concreto:

(1) un Giudice che sia terzo alle parti per struttura e cultura;

(2) un PM separato, regolato e trasparente;

(3) un processo più governabile grazie a disclosure, impugnazioni selettive e cautelare più rigorosa.

Per il nostro Sistema Giudiziario significherebbe riallinearsi a standard europei collaudati, in cui l’autorità dell’accusa non si confonde mai con l’imparzialità del Giudice, come sancito dal richiamato art 111 Cost, anche se, ancora, lascia fuori la tutela delle Vittime sullo stesso piano.

E questa costituirebbe la via più breve per recuperare fiducia, rapidità e qualità delle decisioni, senza arretrare sulle garanzie processuali e difensive dello imputato.

Come ha ricordato, di recente, Bruno Larosa sulle pagine dell’Unità, uno dei principali argomenti usati dai detrattori della Riforma Nordio è che Giovanni Falcone, nella sua veste di Magistrato dell’Antimafia, non abbia mai propugnato la separazione, mentre risulta che lo fece pubblicamente due volte e in modo nettissimo.

Falcone lo fece in almeno due occasioni pubbliche: il 28 luglio 1988, nel corso di un suo intervento a un convegno promosso da Mondo Operaio e, successivamente, il 3 ottobre 1991,in un’intervista rilasciata a Mario Pirani, pubblicata su La Repubblica.

Non fu affatto un’affermazione istintiva e decontestualizzata, ma del tutto ragionata e preziosa in punto di diritto ed alla quale è molto difficile opporre argomenti giuridici e politici contrari:

“La questione centrale” affermava Falcone, “che non riguarda solo la criminalità organizzata, sta nel trarre tutte le conseguenze sul piano dell’Ordinamento Giudiziario che il passaggio dal processo inquisitorio al processo accusatorio comporta.

Se questa Riforma non sopravviene rapidamente il nuovo processo è destinato a fallire”.

Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un Pubblico Ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una delle Parti in causa.

Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obiettivo come pure nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice.

Il Giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti.

Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, Gudici e PM siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri.

Non bisogna aggiungere altro, tranne che una parte di quelli che boicottarono Falcone per le sue idee, continuano a opporsi ancora strenuamente alla Riforma.

E così si tenta di dare all’opinione pubblica una rappresentazione negativa del Legislatore al quale, indipendentemente dalle idee politiche perseguite, bisogna riconoscere il rispetto proprio di ogni Istituzione, Ordine giudiziario compreso.

Separare le carriere, assicurando a entrambi autonomia e indipendenza esterna e interna, significa affidare al Giudice un ruolo centrale nel processo penale, ruolo che gli spetta quale soggetto deputato a giudicare rispetto alle domande di giusti zia che provengono dal P.M., facendolo in una posizione di terzietà e imparzialità anche rispetto alla parte pubblica, come si pretende in un sistema processuale accusatorio e, peraltro, come, per questa materia, sta scritto nella Costituzione che ogni tanto si suole sbandierare a sproposito.

La Giustizia Riparativa e la Separazione delle Carriere tra Magistrati perseguono, quindi, un’unica via alternativa alla attuale Giustizia lenta e farraginosa di cui ciascuno è o è già stato Vittima e che costituisce la ragione principale delle Rifor me da attuare rapidamente.

In conclusione si può affermare che, al fine di dare concreto avvio alla Giustizia Riparativa, oltre alla buona volontà degli Operatori, serve qualche ritocco alla disciplina introdotta con le migliori intenzioni ma, soprattutto, la volontà del Legislatore di avviare una Riforma epocale che può contribuire ad evitare le lungaggini processuali che costituiscono il vero problema da affrontare e risolvere, specie per i detenuti, anche attuando la separazione delle carriere tra i Magistrati.

Allegato:

Corte Cost sentenza 128 2025

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