Giustizia Riparativa e ruolo del difensore

Giustizia Riparativa e ruolo del difensore

La materia della “Giustizia Riparativa” offre davvero tanti spunti di riflessione ed è la naturale conseguenza del fatto che, allontanandosi da una concezione tradizionale del “fare giustizia”, essa rimanda a un ambito concettuale che ingloba presupposti antropologici, questioni filosofiche, analisi criminologiche, norme giuridiche e prassi dialogiche e riconciliative che, nel tempo, hanno concorso a delineare un modello teorico di giustizia del tutto autonomo rispetto a quello ordinario tradizionale.

Mercoledi 18 Giugno 2025

Esso impone di ripensare il ruolo assunto dal difensore nell’ambito del nuovo procedimento con tutte le criticità tutt’ora presenti nel dato normativo proposto dal Legislatore in base al quale esso concorre all’efficienza della giustizia penale in vario modo poiché agevola la riparazione dell’offesa e la tutela dei beni offesi dal reato;incentiva la remissione di querela, facilita il percorso di reinserimento sociale del condannato, riduce i tassi di recidiva e il rischio di reiterazione del reato nei rapporti interpersonali così rappresentando un utile e innovativo strumento per le politiche di prevenzione della criminalità”(v.Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 150/2022).

In Dottrina, alcuni commentatori, condividendo queste ottimistiche previsioni, hanno accolto con favore la Riforma, sostenendo che la giustizia riparativa, essendo fondata su una “dimensione dialogica tra autore e vittima del reato”, costituisce, “uno strumento di pacificazione e coesione sociale”.

Per contro, altri commentatori hanno manifestato serie perplessità sulla validità del sistema, atteso che il modello adottato della c.d.restorative justice, fondato su presupposti del tutto difformi da quelli propri dell’accertamento processuale e finalizzato a indurre la persona indicata come autore dell’offesa a riconoscere i propri torti, “costituirebbe, se mossa da simili intenti, una vera utopia” .

Nei commenti più autorevoli viene, invero, messa in dubbio, in base ai principi costituzionali del c.d. Giusto Processo, la legittimità della scelta legislativa di rendere operante la normativa già nella fase della cognizione, vale a dire prima che la responsabilità per il reato contestato sia stata accertata in via definitiva e, comunque, non in base ad un ravvedimento effettivo dell’imputato, prima o dopo la condanna e la espiazione di parte della pena, specie nei casi più gravi, che suscitano allarme sociale, e, comunque, alla luce della mancanza nella normayiva introdotta di un apposito richiamo in tal senso.

Una tale opinione può, invero, ritenersi fondata anche sulla base della norma procedurale contenuta nell’129-bis CPP, laddove essa consente all’Autorità Giudiziaria procedente (Pubblico Ministero e Giudice) di favorire ovvero di negare l’accesso alla Giustizia Ripartiva in base ad un giudizio discrezionale ed insindacabile degli stessi, con un provvedimento (Decreto od Ordinanza) non impugnabile, che costituisce la prima negazione del diritto di difesa del richiedente-imputato (v.da ultimo, Cass., Sez. I,21 novembre 2024,n. 8400).

Sta di fatto che viene, in tal modo, riconosciuto una sorta di “potere” di iniziativa per spingere l’indagato/imputato e la Vittima ad intraprendere un percorso ripartivo ma, nel contempo, un potere di veto che mal si concilia con la volontà del Legislatore di intro durre una composizione amichevole del giudizio penale che giovi alle ragioni morali ed economiche delle Vittime del reato, sulla base di una volontà unanime manifestata, senza alcuna costrizione di sorta, ma non già dinanzi agli stessi Giudici bensì dinanzi ai Mediatori Penali, evitando così ulteriori lungaggini per la sentenza in caso di esito negativo della mediazione.

Tuttavia, secondo i commenti più recenti (v. Carcaterra, Ruolo dell’avvocato tra Giusti zia Riparativa, in Sistema Penale Giugno 2025)“l’evoluzione della normativa, ha esteso il campo d’azione dell’avvocato, ora chiamato a ricoprire un ruolo più complesso e articolato” per quanto attiene alla Giustizia Riparativa laddove il difensore è chiamato a svolgere un ruolo essenziale per quanto attiene all’informazione sulle possibilità offerte dai programmi di giustizia ripartiva, l’accesso volontario e consapevole ai pro grammi riparativi, lo svolgimento degli stessi, gli effetti conseguiti e, da ultimo, la valutazione degli esiti dei programmi svolti e dei benefici per l’imputato assistito.

Più in sintesi, si ritiene che, tra i nuovi compiti dell’Avvocato, rientrino:

  • il dovere di informazione

  • la valutazione della utilità difensiva della giustizia riparativa

  • i criteri della redazione della richiesta

  • l’assistenza per la giustizia riparativa nella fase esecutiva.

  • dovere di informazione

Tra gli obblighi a carico del difensore va annoverato in primis quello dell’informativa.

Invero, spetta al difensore il dovere di informare il proprio assistito della possibilità di accedere al procedimento di giustizia ripartiva, specie in mancanza dell’avviso diretto rivolto allo stesso, su cui tanto si discute in Dottrina.

L’informazione deve riguardare, innanzitutto, la facoltà del Giudice di disporre l’invio dell' imputato ad un Centro sl Territorio per un programma di giustizia ripartiva, facoltà esercitabile anche d’ufficio, in base alla nuova previsione contenuta all’art.129-bis CPP, fermo restando in diritto dell’imputato di ricevere un apposito avviso in ordine alla facoltà di accedere ai programmi di giustizia ripartiva ma che costituisce, in mancanza di esso, una ipotesi di nullità molto dibattuta in Dottrina.

Invero, la Suprema Corte, dopo avere sostenuto che le nuove previsioni contenute all’art. 129-bis e 419,co.3-bis, CPP non contemplano alcuna ipotesi di nullità nel caso di mancata applicazione, ha evidenziato che la norma processuale, nel prevedere la possibilità che il Giudice disponga d’ufficio l’invio delle parti ad un Centro per la mediazione, si limita a disciplinare un potere discrezionale, senza introdurre alcun obbligo di attivarsi in tal senso.

Tale opzione sarebbe dettata solo da una serie di valutazioni che attengono alla tipologia del reato, ai rapporti tra l’autore e la persona offesa, all’idoneità del percorso ripartivo a risolvere le questioni che hanno determinato la commissione del fatto criminoso, che, tuttavia, non impone al Giudice di motivare la sua scelta.

In conseguenza, nel caso di mancata attivazione del percorso ripartivo, non sarebbe con figurabile alcuna nullità, né speciale e né di ordine generale, non essendo compro messo alcuno dei diritti e facoltà elencati all’art.178, lett c), CPP.

Per i Giudici di Piazza Cavour, ad analoghe considerazioni si deve pervenire pure in relazione all’omesso avviso alle Parti della facoltà di accedere ai programmi eli giustizia riparativa, come previsto dall’art. 419,co.3-bis, CPP atteso che tale norma non prevede alcuna nullità speciale per il caso in cui l’avviso venga omesso, né può ritenersi che l’omissione vada a ledere il diritto dell’imputato di accedere a tale forma di definizione del procedimento, tanto più ove si consideri che l’avviso in esame avrebbe solo una finalità informativa e, peraltro, riguarderebbe una fase in cui l’imputato “beneficia dell' assistenza difensiva disponendo del necessario ausilio tecnico finalizzato alla migliore valutazione delle molteplici alternative processuali previste dal Codice, ivi compresa quella di richiedere l’accesso al programma di giustizia ripartiva” (v.Cass.sez.VI pen.sent.n. 25367 del 9-05-2023).

Di recente la Suprema Corte è giunta, persino, ad affermare che non è nulla la citazione nel giudizio di Appello se manca l”avviso all’appellante sulla possibilità di optare per la giustizia ripartiva.

La Cassazione, con la sentenza n. 20308/2025, ha, infatti, rigettato il ricorso che lamentava l’illegittimità della decisione dei Giudici di Appello che avevano respinto l’eccezione di nullità generale dovuta al mancato avviso alle parti della possibilità di poter far ricorso al procedimento riparativo.

La Cassazione ha, infatti, escluso che costituisca un vizio dell’atto il mancato avviso poiché non si tratta di un vizio che determini violazione dei diritti riconosciuti all’imputato, come quello di poter adeguatamente esercitare il proprio diritto di difesa.

Si tratta, come afferma testualmente la Suprema corte “della violazione di un mero obbligo informativo sull’esistenza di un percorso alternativo finalizzato a ricomporre le parti (imputato e vittima) ed elidere l’offesa arrecata col reato”, così attribuendo al proce dimento un ruolo marginale !!).

La mancata osservazione di tale obbligo informativo, proprio per tale sua natura, non può determinare, pertanto, la nullità processuale di ordine generale eccepibile in giudizio, tenuto conto che è fuori discussione che non si tratti di nullità speciale in quanto questa può sussistere solo se espressamente comminata dalla legge a fronte di uno specifico inadempimento processuale.

Per contro, in base alla motivazione della decisione, la Riforma Cartabia avrebbe riconosciuto un diritto all’imputato di poter avere accesso, anche su iniziativa d’ufficio del Giudice stesso, ai programmi riparativi in qualsiasi fase e grado del giudizio fino all’ese cuzione della pena, così riconoscendo anche un vero e proprio diritto di difesa sebbene privo di efficacia in concreto.

Non costituirebbe, quindi, un vulnus dei diritti dell’imputato la mancata informazione da parte del Giudice, della possibilità di attivare la giustizia ripartiva poiché essa costituirebbe una sorta di binario parallelo al processo percorribile sempre, senza che le formalità processuali previste dalla Legge, se non rispettate, possano costituire uno sbarramento all’accesso.

Inutile aggiungere che, analogamente, la Suprema Corte ha ribadito la non impugnabilità del rigetto della richiesta atteso che il procedimento riparativo non avrebbe carattere giurisdizionale.

Ciò posto, ed in mancanza dell’avviso citato, sussiste il dovere deontologico del difensore di informazione del proprio assistito di evince dall’art.27 del codice deontologico forense, strettamente connesso ai principi di diligenza e competenza sanciti, a loro volta agli artt.12,14,15,che impongono all'avvocato di garantire un adeguata informazione e valutazione delle opzioni disponibili per la tutela degli assistiti.

Innanzitutto, vi è obbligo per il difensore di chiarire se la partecipazione ad un percorso di giustizia riparativa significhi che lo Stato recederà dalle pretese punitive bensì la ricerca di un dialogo e di una soluzione ad un conflitto che deriva da un fatto accaduto, sia che esso venga accertato come reato sia che non venga ritenuto tale e quali siano gli effetti dell’accesso alla giustizia riparativa, sia nel processo che nella fase di esecuzione penale.

Inoltre va chiarito dal difensore che la valutazione del programma riparativo può incidere sulla remissione tacita della querela qualora il querelante abbia partecipato ad un programma riparativo con esito positivo e sul trattamento sanzionatorio, ai fini della concessione attenuante 62,co.1 n.6 c.p., ai fini dell’art. 133 c.p. e dell’art. 163 comma 4 c.p.

Occorre, inoltre, rendere noto al proprio assistito che la Riforma ha introdotto soluzioni alternative al carcere e sono stati delineati numerosi ed efficaci strumenti, che consentono di limitare o addirittura escludere le restrizioni dei diritti fondamentali degli imputati tra cui la non punibilità per la particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.), l’estinzione del reato attraverso condotte riparatorie (art. 162 ter c.p.) e la sospen sione condizionale della pena (artt. 163 ss. c.p.).

Infatti, sono stati previsti dal Legislatore percorsi che permettono una risoluzione più rapida ed efficace del processo penale, includendo percorsi di recupero più adeguati al caso che possono contribuire così alla riabilitazione e reintegrazione dell'imputato nella Comunità di appartenenza.

In questo contesto, la giustizia ripartiva apre nuovi orizzonti per la risoluzione dei conflitti, orientando la giustizia verso una dimensione incentrata sulla persona ed è, dunque, onere e responsabilità del difensore quello di fornire un'informazione corretta, evitando fraintendimenti sulla sua funzione e sulle sue reali implicazioni nel sistema della giustizia.

Da ultimo, è necessario illustrare all’imputato le garanzie previste dalla legge a tutela della riservatezza del procedimento riparatorio sulle attività svolte nel corso degli incontri nei Centri di giustizia ripartiva, che si estende a tutti gli atti compiuti, alle dichiarazioni rese ed a quanto viene detto nell’ambito dei programmi riparatori.

Inoltre, in forza del principio di inutilizzabilità delle dichiarazioni acquisite, sia nel procedimento penale sia nella fase di esecuzione della pena, va assicurato che, quanto emerso nei programmi riparativi non possa essere utilizzato contro le parti coinvolte.

Nondimeno, a fronte della importanza assunta dal difensore in questa fase preliminare, va sottolineata la esclusione degli avvocati dalle attività di mediazione penale, che costituisce un’altra criticità del procedimento.

Secondo la Dottrina prevalente, tale esclusione genera molti dubbi di legittimità costituzionale della norma procedurale, in relazione agli artt. 55 e segg. del D.Lgs. n. 150/2022, dovuta alla evidente violazione dell’art.24,secondo comma, della Cost, poiché, sebbene sia sancito da tale norma che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, il difensore dell’indagato/ imputato non può assistere il proprio cliente nel corso dello “svolgimento dei programmi di giustizia riparativa”, salva la facoltà di intervenire, “su richiesta delle persone interessate”, ai soli “colloqui preliminari” di cui all’art. 54, comma 2, del D.Lgs. n. 150/2022.

Inoltre, sebbene l’art. 51 del medesimo D.Lgs, stabilisca che “le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del programma non possono essere utilizzate nel procedimento penale e nella fase della esecuzione della pena”, non sarebbe logico e, comunque, lesivo del diritto di difesa che l’indagato/imputato, specie nei casi di reati di particolare gravità, debba partecipare ai “dialoghi riparativi” senza l’assistenza del proprio difensore (!!) anche perché il Legislatore non ha fornito alcuna giustificazione per tale esclusione che mal si concilia con il dettato costituzionale.

Tale opinione trova un logico fondamento perché, pur senza voler mettere in dubbio i requisiti di competenza, imparzialità che sicuramente caratterizzano i Mediatori, l’art. 45 del D.Lgs. n. 150/2022 prevede che ai programmi di cui trattasi possa partecipare una moltitudine di persone diverse dai difensori come, ad es, oltre alla “vittima del reato”, vari “altri soggetti appartenenti alla Comunità”, quali “familiari della vittima del reato”, “persone di supporto segnalate dalla vittima del reato”, “Enti e Associazioni rappresen tativi di interessi lesi del reato”, “rappresentanti o delegati di Stato, Regioni, Enti locali o di altri Enti pubblici, Autorità di Polizia e dei Servizi sociali” nonché “chiunque altro vi abbia interesse”, fatta eccezione per i difensori (!!)

Quand’anche soltanto alcuni di tali soggetti decidessero di partecipare, ponendo domande alla “persona indicata come autore dell’offesa” ci sarebbe il rischio che taluno dei partecipanti ponga domande “suggestive”, tendenti cioè a suggerire la risposta, o tali da nuocere alla sincerità della risposta medesima sino al punto in cui l’accusato, incalzato dalle domande, finisca per rilasciare dichiarazioni autoindizianti ovvero una versione dei fatti non veritiera, compromettendo l’esito della mediazione ai fini risarcitori.

  • Il dovere di valutazione

Strettamente connesso al dovere di informare, vi è il dovere del difensore di valutare l’opportunità di favorire un percorso di giustizia ripartiva per l’imputato.

Il difensore, grazie al rapporto diretto con le persone coinvolte, ha la possibilità di com prendere più a fondo le storie e le fratture causate dai reati.

In tal caso, il suo compito non si esaurisce nella difesa tecnica, ma deve oggi inclu dere un’attenta riflessione sull’adeguatezza della giustizia riparativa nel caso concreto, tanto nella veste di difensore dell’indagato quanto in quella di rappresentante della parte lesa!(v.Carcaterra, op cit, )

Sul punto giova evidenziare che il procedimento di giustizia riparativa è esteso, in astratto, a tutti i reati, a prescindere dalla loro gravità, sebbene rientri nella valutazio ne del Giudice l’accesso a tale strumento, come innanzi ricordato.

Vi sono, tuttavia, criteri utili ad orientare una valutazione individuale, che deve sempre essere ancorata al caso concreto, come, ad es., per i reati che nascono in contesti familiari, nelle relazioni di lavoro, nelle amicizie, nei rapporti di buon vicinato o nei piccoli centri urbani, dove la conflittualità può protrarsi nel tempo.

Un altro aspetto riguarda i reati che hanno una forte valenza simbolica e valoriale, come il furto in abitazione o quelli aggravati dalla discriminazione, che colpiscono non solo la vittima diretta, ma anche il senso di sicurezza e di appartenenza alla Comunità, tra cui vanno annoverati i reati di vandalismo o danneggiamento commessi contro le Istituzioni, Enti o persone giuridiche che, tuttavia, possono trovare una risposta efficace nella giustizia riparativa.

Non vanno, inoltre, trascurati i reati commessi attraverso i moderni strumenti digitali, i social network, la posta elettronica o la navigazione in rete, in cui le dinamiche di offesa e di conflitto assumono forme nuove e più complesse.

Vi sono poi quei reati che, pur non avendo una vittima diretta, generano allarme sociale e conflitto tra l’autore e la Collettività, come quelli in materia di stupefacenti, le risse, l’occupazione di edifici, il disturbo della quiete pubblica, nonché i reati finanziari e ambientali.

Infine, anche per i reati di estrema gravità, che ledono beni fondamentali come la vita, l’integrità fisica, la libertà personale e sessuale, l’onore e la reputazione, la giustizia riparativa può offrire una opportunità di risarcimento del danno arrecato a terzi, senza sostituirsi alla necessaria risposta sanzionatoria.

Pertanto, l’analisi operata dal difensore consente di valutare, con una maggiore consapevolezza, l’opportunità di un percorso riparativo, sempre nel rispetto delle specificità di ogni singolo caso e della sua reale fattibilità.

Come accennato, la ricerca del consenso delle Parti ad un percorso ripararivo deve essere personale, libera, consapevole, informato, scritto ma anche revocabile, ed è delegata dalla Legge ai Mediatori dei Centri, ove vi sono professionisti altamente specializzati ed in grado di svolgere questo compito molto delicato ed essenziale per l’avvio della mediazione tra le parti.

  • La richiesta del difensore

La formalizzazione della richiesta di accesso alla giustizia ripartiva costituisce un ulteriore passaggio essenziale per il difensore nominato sebbene presenti alcune complessità.

La stessa Suprema Corte, con la sentenza n. 649 del 2024,ha fornito un utile chiarimento sui presupposti di accesso affermando che:

In tema di giustizia riparativa, la sola richiesta di accesso non fa sorgere in capo all'interessato il diritto ad essere avviato presso un centro per lo svolgimento del programma richiesto, non sussistendo alcun automatismo tra la presentazione della domanda e l'avvio del programma, in quanto è rimessa al giudice la valutazione della sua utilità”.

Sul punto è essenziale distinguere tra il processo di merito e la fase esecutiva.

Nel primo caso la formulazione della richiesta dovrà essere strutturata tenendo conto dei criteri di valutazione stabiliti dall’art.129-bis CPP, affinché sia conforme ai presupposti normativi e possa essere presa in considerazione dall’A.G. competente di cui quello più essenziale è l’accertamento in positivo della utilità del programma alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede.

Inoltre, è necessario per il difensore sostenere la richiesta perché chi chiede di accedere ad un percorso di giustizia riparativa, affrontando la propria Vittima compie un atto pieno di significato e di coraggio che va sostenuto.

Per quanto attiene, invece, al rischio di vittimizzazione secondaria, questo non può tradursi in una preclusione automatica all’accesso ai percorsi di giustizia riparativa.

È indubbio che il confronto con il presunto autore dell’offesa generi sofferenza per la Vittima, tuttavia, tale sofferenza è intrinseca al dialogo riparativo, che per sua natura è complesso e, in molti casi, doloroso.

Proprio per questo, la Legge prevede che l’incontro possa avvenire esclusivamente a condizione che sia stato espresso un consenso informato scritto da parte di tutti i protagonisti della mediazione penale.

La valutazione della fattibilità di tale percorso, pertanto, deve essere rimessa alla competenza dei Mediatori Penai, in grado di gestire al meglio le dinamiche relazionali e le eventuali criticità del caso.anche con l’ausilio di interpreti e traduttori laddove si tratti di un imputato straniero che non conosce la lingua italiana, come prevede la Legge istitutiva.

Una volta formulata l’istanza, all’esito di una corretta informazione dei criteri, obiettivi ed effetti del programma ripartivo, il ruolo attivo del difensore si esaurisce.

In effetti, lo svolgimento del programma ripartivo, come ricordato, è affidato ai Centri istituiti sul territorio ed, in conseguenza, né i difensori né l’Autorità Giudiziaria possono entrare nel merito dei programmi scelti e della loro esecuzione, se non nei limitatissimi spazi che sono previsti e disciplinati dalla Legge stessa.

In particolare, l’art. 54 del D.Lgs. prevede che il difensore della persona indicata come autore dell’offesa, ma anche il difensore della Vittima, abbiano entrambi la facoltà di intervenire nei colloqui preliminari, su richiesta delle persone interessate, mentre l’art. 56 ultimo comma, stabilisce che il difensore della persona indicata come autore della offesa ed il difensore della Vittima del reato possano assistere i partecipanti nella definizione degli accordi relativi all’esito materiale del programma.

Infatti, quando viene siglato un accordo risarcitorio, che richieda delle competenze tecniche specifiche del difensore, ed è, quindi, possibile che quest’ultimo venga chiamato a partecipare ad un incontro con i Mediatori e le parti coinvolte.

  • Il difensore nella fase esecutiva

Come innanzi esposto, é affidato ai difensori delle Parti il compito di operare una valutazione del vantaggio che può derivare dall’accesso alla giustizia riparativa e l’impatto che avrebbe sulle misure alternative alla detenzione sebbene sia fondamentale ribadire che la giustizia riparativa non costituisce uno strumento per ottenere la scarcerazione né rientra tra gli strumenti del trattamento penitenziario.

Invero, il suo obiettivo primario è la ricomposizione del conflitto e il riconoscimento del danno, non già la concessione di misure alternative o benefici penitenziari.

Nello specifico, l’art.13 co.4 dell’Ord.Pen. prevede che debba essere favorito il ricorso ai programmi riparatori mentre l’art.15 bis co.2,introdotto dalla Riforma, riconosce al Giudice la possibilità di valutare positivamente la partecipazione e l’eventuale esito riparativo ai fini della concessione delle misure premiali.

Tuttavia, é opinione diffusa in Dottrina che la giustizia riparativa sia destinata a trovare migliore spazio e minori resistenze proprio nella fase della esecuzione penale poiché la sentenza, divenuta definitiva, favorisce un incontro tra le Parti ed una riflessione sul disvalore dell’atto illecito compiuto dal condannato ed il raggiungimento di un accordo economico.

Pertanto, se da una parte il confronto con la vittima può favorire il processo di auto responsabilizzazione del reo, dall’altra il consenso del reo potrebbe aumentare le possibilità di successo dell’incontro riparativo.

A tanto va aggiunto, anche alla luce del dibattito in corso sul senso e sull’efficacia della pena, che non si può più ignorare come lo stesso processo penale tradizionale risulti ormai inadeguato alla reale ricomposizione dei conflitti, atteso che non solo non riesce a regolare e risolvere i contrasti sociali e personali, ma, al contrario, tende ad aggravarli e acuirli, anche a causa delle attuali lungaggini per ottenere un adeguato ristoro dei danni per la Vittima.

Sul punto, va rilevato come l’attuale processo penale sia solo funzionale alla riconducibilità del reato all’imputato, all’accertamento della sua colpevolezza ed alla quantificazione della pena e che, raramente, tiene conto all’offesa arrecata e delle conseguenze che ne derivano alla Vittima, la cui tutela è assicurata, in astratto, dalla Rforma Cartabia.

Ne costituiscono riprova la spersonalizzazione, attraverso l’introduzione della telematica, mal gradita dai difensori, la mancanza di ascolto delle parti, i tempi della risposta penale, così come quelli dell’applicazione della pena, specie nei confronti dei c.d. “liberi sospesi”, come innanzi ricordato, ossia di coloro che, condannati con sentenza definitiva a una pena detentiva non superiore a quattro anni, dopo la sospensione dell' ordine di Esecuzione della pena (ex art.656,co.5 CPP) attendono per molto tempo la decisione del Tribunale di Sorveglianza sulla richiesta di una misura alternativa alla detenzione.

A ciò aggiungasi il più recente orientamento della Cassazione, in base alla sent. n.131/2025, che ha ridotto l’accesso alla Giustizia Riparativa alla avvenuta espiazione della pena nei casi gravi mai codificati dal Legislatore.

Per contro, in questo contesto, i programmi riparatori potrebbero rappresentare un efficace strumento di recupero volto alla ricomposizione delle fratture, offrendo così un’opportunità concreta al condannato per affrontare e risolvere le questioni derivanti dal reato ed alle Vittime di conseguire un risarcimento dei danni subiti.

Per questa ragione il Legislatore ha delineato nell’art.13 Ord.Pen. il co.4, che prevede che “nei confronti dei condannati e degli internati è favorito il ricorso a programmi di giustizia riparativa”.

Inoltre, il nuovo art.15 bis co.1,prevede che “In qualsiasi fase dell’esecuzione l’autorità giudiziaria può disporre l’invio dei condannati alla giustizia riparativa”. Rimangono, tuttavia, aperte alcune criticità da superare in relazione al Giudice competente a decidere per i casi dei c.d. “Liberi Sospesi”, ossia alla competenza sull’invio alla Giustizia Rparativa se ricada sul Giudice di Sorveglianza ovvero sul Tribunale di Sorveglianza.

Inoltre, non si comprende a chi spetti l’azione propulsiva, indicata dall’art. 13 co.4 Ord.Pen., se alla equipe trattamentale, al Direttore ddll’Istituto o anche solo all’interessato, sia pure con l’assistenza di un avvocato, affinché il Giudice di Sorveglianza possa valutare l’istanza avanzata di fronte alla resistenza o inerzia del Carcere.

Un caso esemplare potrebbe essere quello di un condannato per delitti ostativi, poiché in base alla nuova disciplina dell’art.4bis Ord Pen, introdotta con la Legge 199 del 2022,il richiedente dovrebbe fornire al Giudice, per la concessione dei benefici, la prova della sussistenza di iniziative a favore della Vittima, sia in forma risarcitoria, sia nella forma della giustizia riparativa.

In questi casi, il fatto che la partecipazione ai programmi ripararatori sia stata inserita tra i parametri di valutazione del Giudice implica che il detenuto abbia il diritto di richiedere l’accesso a questi percorsi come pure che la domanda non può essere ignorata o lasciata senza risposta.(!!)

Nondimeno, l’art.15bis Ord.Pen.specifica come l’invio dei condannati e degli internati ai programmi di giustizia riparativa possa e debba essere valutata ai fini dei benefici penitenziari la partecipazione e l’eventuale esito positivo come pure stabilisce che non si debba tenere conto della mancata effettuazione dei programmi previsti dell’interruzione o del mancato raggiungimento di esiti.

Una criticità, evidenziata dalla Dottrina, (v.dello stesso Autore, Gustizia Riparativa e punti di criticità del procedimento, in Riv.Andreani, Marzo 2025) concerne la scelta del luogo da utilizzare nel caso in cui emerga la necessità di incontro con le Vittime in un ambiente non detentivo, ma qualificato come idoneo per tale incontro, che costituisce un vero problema da affrontare e da risolvere rapidamente, tra i vari problemi che attualmente affiggono il Sistema Carcerario.

  • Conclusioni

In definitiva, i difensori sono, dunque, sollecitati ad assumere nuove e più ampie res ponsabilità, dovendosi adattare ad un contesto in cui il loro compito va ben oltre la rappresentanza processuale, richiedendo un impegno costante e qualificato.

Al di là delle singole norme, occorre evidenziare che sia la giustizia riparativa quanto l’istituto delle pene sostitutive, debbano progressivamente integrarsi nel linguaggio delle Aule di giustizia, al fine di garantire la tutela più adeguata alle persone assistite e favorire un reale cambiamento di prospettiva nella risoluzione delle questioni derivanti dal reato.

Da questo contesto emerge, che l’accesso alla giustizia riparativa è il compito più importante a cui é chiamato il difensore ma, al tempo stesso, quello più delicato.

Se il fine della giustizia è anche quello di regolare le relazioni sociali, creare un tessuto sociale di civile convivenza e ripristinare gli equilibri delle relazioni personali attraverso la ricomposizione dei conflitti, allora la giustizia riparativa è sicuramente lo strumento di diritto più utile per dare al processo un senso e un’efficacia ulteriore e diversa dal mero accertamento del fatto e dalla commisurazione della pena laddove il nuovo procedimento riparativo non lo sostituisce ma rappresenta, in definitiva, un’ulteriore opportunità utile a risolvere anche i problemi dell’Amministrazione della Giustizia.

Allegato:

Cassazione penale sentenza 20308 2025


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