La recente Ordinanza n. 29679/2025 chiarisce il rapporto tra corretta rivalutazione dei redditi e calcolo della pensione nella Cassa Forense. Sì alla rivalutazione dal 1980 (21,1%). NO all'automaticità delle prestazioni: la pensione si calcola esclusivamente sui contributi versati. Un equilibrio fondamentale: il diritto c'è, ma la misura della pensione dipende dall'adempimento effettivo dell'obbligo contributivo.
| Mercoledi 19 Novembre 2025 |
Il punto chiave: cosa succede se l'errore contributivo è imputabile alla Cassa?
Questione giuridica centrale La controversia verte sulla corretta applicazione della legge n. 576 del 1980 in materia di rivalutazione dei redditi pensionabili degli avvocati iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense. Il caso riguarda specificamente due profili: la decorrenza temporale della rivalutazione e le conseguenze della mancata corresponsione di contributi parametrati alla rivalutazione corretta.
I fatti Un avvocato aveva ottenuto in primo e secondo grado il riconoscimento del diritto alla riliquidazione della propria pensione con rivalutazione dei redditi a partire dal 1980 secondo l'indice ISTAT del 21,1% (relativo alla svalutazione 1979-1980), anziché dal 1981 con l'indice del 18,7% come applicato dalla Cassa Forense. La Corte d'Appello di Bari aveva inoltre respinto la domanda riconvenzionale della Cassa volta al pagamento dei maggiori contributi correlati alla maggiore rivalutazione.
La posizione e le argomentazioni della Cassa Forense La Cassa ha proposto ricorso per Cassazione articolando due motivi principali: Primo motivo: violazione degli articoli 10,15,16,26 e 27 della legge n. 576/80, sostenendo che la rivalutazione non dovesse decorrere dal 1980 Secondo motivo: violazione dell'art. 2 della stessa legge, per aver la Corte riliquidato il trattamento pensionistico nonostante non fossero stati versati i maggiori contributi dovuti
La decisione della Cassazione
Sul primo motivo (RESPINTO) La Suprema Corte ha confermato l'orientamento consolidato secondo cui la rivalutazione dei redditi pensionabili decorre dal 1980. Come affermato nella sentenza: "è stato affermato che l'entità dei redditi da assumere per il calcolo della media di riferimento ai fini delle pensioni di vecchiaia maturate dal 1° gennaio 1982, va rivalutata a partire dall'anno di entrata in vigore della legge n.576/80 ai sensi dell'art. 27, co.4 della stessa legge, e quindi dal 1980, applicando l'indice medio annuo ISTAT dell'anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980". La Corte ha precisato che questa conclusione non è smentita dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 7281/2004, che riguardava la rivalutazione delle pensioni ex art. 16 e non dei redditi ex art. 15.
Sul secondo motivo (ACCOLTO) Il punto decisivo della pronuncia riguarda il rapporto tra contribuzione effettiva e diritto alla prestazione pensionistica. La Cassazione ha stabilito il principio fondamentale secondo cui i redditi da considerare per il calcolo della pensione sono solo quelli coperti da contribuzione "effettivamente versata". Come chiarito nella motivazione: "i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi dell'art. 2 L. n.576/80, sono quelli coperti da contribuzione "effettivamente versata", sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minor contribuzione versata ai sensi degli artt.10 e 16, co.4, la pensione di vecchiaia va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto".
Il principio di diritto consolidato La sentenza conferma l'orientamento giurisprudenziale consolidato (richiamando le sentenze n. 22836/2025 e n. 24639/2025) che stabilisce due principi complementari: Sulla decorrenza della rivalutazione: la rivalutazione dei redditi pensionabili decorre dal 1980 con applicazione dell'indice ISTAT del 21,1% Sul rapporto contribuzione-prestazione: la pensione deve essere calcolata esclusivamente sui redditi effettivamente coperti da contribuzione versata.
Le conseguenze pratiche La Corte ha chiarito che nella previdenza forense non opera il principio di automaticità delle prestazioni tipico del lavoro dipendente. Pertanto, l'inadempimento anche parziale dell'obbligazione contributiva incide direttamente sulla misura della pensione. Come precisato: "È in ragione dell'assenza della regola di automaticità delle prestazioni che si giustifica la conclusione per cui, inadempiuto (in parte) l'obbligo contributivo, non v'è diritto ad una prestazione che non sia sorretta nel suo quantum dall'adempimento di tale obbligo, dovendo la contribuzione essere sempre "effettivamente" versata".
Il rinvio e gli accertamenti futuri La Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d'Appello di Bari per verificare se l'inadempimento contributivo sia imputabile al professionista o costituisca errore scusabile indotto dall'erronea interpretazione normativa della Cassa. Il giudice di rinvio dovrà accertare se l'errore fosse "non vincibile con la diligenza esigibile dal professionista ai sensi dell'art. 1176, co.2 c.c.", considerando la diligenza professionale (qualificata, quindi) dell'avvocato in relazione all'applicazione di norme giuridiche previdenziali.
Significato sistematico. Questa pronuncia consolida l'orientamento della Cassazione sulla materia, bilanciando il riconoscimento del diritto alla corretta rivalutazione dei redditi pensionabili con il principio di effettività della contribuzione, caratteristico del sistema previdenziale forense basato sulla solidarietà professionale ma non sull'automatismo delle prestazioni.