L'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione.
Giovedi 4 Settembre 2025 |
Tale principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 23804/2025.
Il caso: Il committente Tizio conveniva dinanzi al Tribunale l’appaltatore Mevio per ottenere la risoluzione del contratto di appalto relativo ad alcuni lavori di rifinitura di un fabbricato e la condanna al pagamento della penale contrattualmente prevista per ogni giorno di ritardo, oltre al risarcimento dei danni; il convenuto si costituiva eccependo l'inammissibilità della domanda per essere i fatti già coperti da giudicato in forza di un decreto ingiuntivo del 1998 divenuto definitivo per estinzione del giudizio di opposizione.
il Tribunale di Benevento rigettava la domanda accogliendo l’eccezione principale del convenuto; la Corte d'Appello rigettava l'appello ritenendolo inammissibile ex art. 342 c.p.c., poiché l'atto non indicava le parti della sentenza impugnate, le modifiche richieste alla ricostruzione dei fatti, né la rilevanza delle doglianze esposte.
Tizio ricorre in Cassazione, lamentando, per quel che interessa in questa sede, violazione dell'art. 342 c.p.c. e dell'art. 111 Cost., per avere la corte di appello dichiarato inammissibile l’appello benché, secondo quanto deduce, esso contenesse specifiche censure alla sentenza di primo grado; peraltro la corte non avrebbe considerato il contenuto effettivo dell'atto di appello, e che ne ha omesso una valutazione puntuale.
La Cassazione, nell'accogliere il ricorso, ribadisce quanto segue:
a) la Corte di appello ha adottato un’interpretazione formalistica dell’art. 342 c.p.c. che non è linea con il principio per cui il processo civile deve pervenire, per quanto è possibile, a pronunce di merito, che dicano chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, mentre sono da confinare nel novero di quelle eccezionali le ipotesi in cui il giudice è costretto ad accertare che difettano i presupposti del suo dovere di decidere nel merito;
b) l’eccessivo rigore adottato dalla Corte di appello contrasta con l’orientamento fatto proprio da Cass. SU 27199/2017, secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità:
una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze;
alla parte volitiva deve essere affiancata una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di ‘revisio prioris instantiae’ del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
c) nel caso in esame, l’appellante ha appunto individuto in modo sufficientemente chiaro le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata ed ha affiancato alla parte volitiva una parte argomentativa che ha contrastato le ragioni addotte dal primo giudice.