Una sentenza esemplare in tema di risarcimento danno da licenziamento illegittimo

Prof. Mario Meucci.
Una sentenza esemplare in tema di risarcimento danno da licenziamento illegittimo
Mercoledi 24 Giugno 2020

1. La sentenza del Tribunale di Bari n. 73 del 13 gennaio 2020 (Giud. Silvia Fioraso) – sotto riportata - merita di essere segnalata per gli importanti principi di carattere generale da essa espressi nel quantificare le spettanze risarcitorie per un lavoratore bancario licenziato dal Banco di Napoli nell’agosto del 1998, per superamento del comporto di malattia; malattia costituita da una grave sindrome di natura depressivo-ansiosa, attestata dalle strutture pubbliche (Istituto di medicina legale, Clinica del lavoro, ecc.) e riconosciuta causalmente conseguente alle condizioni stressanti di lavoro pretese dall’azienda di credito locale, congiunte alle malsane condizioni ambientali alle quali era stato esposto il funzionario di banca per ben 16 anni, assegnato alla gestione del caveau della Filiale di Bari del Banco di Napoli sita nei locali sottosuolo, i cui responsabili non avevano mai preso in considerazione le reiterate richieste del lavoratore di un cambio di mansioni, supportate da documentazione sanitaria che ne evidenziavano i pregiudizi alla salute.

La sentenza che si commenta conclude – con un risarcimento di centinaia di migliaia di euro a favore delle figlie eredi del funzionario bancario, nel frattempo deceduto in corso di causa, attese le notorie lungaggini della nostra giustizia – una controversia durata, nel complesso, 21 anni.

Iniziata con il ricorso del funzionario nell’ottobre 1998, sfociata nella dichiarazione di illegittimità del licenziamento da parte del Giudice di 1 grado nel giugno 2009, per riconosciuta malattia indotta dalla Banca, rimasta sorda alle motivate richieste di cambio mansioni (per documentati motivi di salute del funzionario) dopo ben 16 anni di sua continuativa adibizione nei locali sotterranei, malsani e mal aerati, del caveau. Sentenza impugnata in appello dal Banco di Napoli (nel frattempo incorporato da Intesa Sanpaolo spa), in cui il Collegio - nel confermare, con decisione dell’aprile 2016, l’illegittimità del licenziamento per riconosciuta responsabilità della malattia in capo al Banco di Napoli - confermava altresì la spettanza per il ricorrente dell’ indennità risarcitoria ex art. 18 Statuto dei lavoratori (versione originaria), pur limitandola alla sommatoria delle mensilità di retribuzione globale di fatto maturate dalla data del licenziamento illegittimo al novembre 2003, di pensionamento; stabilendo altresì la spettanza di un indennizzo per danno biologico al 25%.

La vertenza proseguiva, poi, in Cassazione ad iniziativa delle eredi ricorrenti, la quale rinviava, con sentenza del 2019, al Tribunale di Bari il compito di quantificazione integrale del risarcimento del danno (poi determinato, come già anticipato, in centinaia di migliaia di euro lordi).

2. Gli atti esaminati mostrano come la concretezza del quantum risarcitorio che sarebbe gravato (come poi lo è stato) sulla banca - in caso di totale soccombenza - abbia ingenerato, particolarmente in sede di rinvio per la quantificazione risarcitoria, l’effetto di eccitare la fantasia dei curatori della difesa della banca - la quale si è vista impantanare, a nostro avviso e del Giudice che le ha espressamente qualificate infondate - in singolari considerazioni non pertinenti per una controversia di lavoro di natura privatistica; considerazioni immediatamente contestate dalla difesa delle eredi ricorrenti in una tempestiva e documentata controreplica – quest’ultima, poi, del tutto condivisa dal Tribunale di Bari, giustappunto nella precitata sentenza.

I principi di diritto affermati dalla sentenza barese n. 73/2020, rivestono carattere generale per ogni rapporto di lavoro subordinato (bancario, in particolare), risultano pienamente conformi al consolidato orientamento della Cassazione, e, pertanto, meritano di essere resi noti e segnalati. Asserisce la sentenza:

a) «avuto riguardo alla formulazione della disposizione statutaria (art. 18 L. 300/1970 ante modifiche ex riforma Fornero e Jobs act, vigente per la fattispecie), va affermato che: “Secondo le regole generali in materia di risarcimento del danno il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno nella misura equivalente alle retribuzioni perdute. Questa dovrà ricomprendere, nella sua base di calcolo, non solo la retribuzione globale, comprensiva di tutte le voci retributive riconosciute al momento della cessazione del rapporto (Cass. 16 luglio 2002 n.100307), ma anche tutti gli eventuali successivi miglioramenti stabiliti dalla contrattazione collettiva apportati alla retribuzione corrente” (Cassazione civile sez. lav., 04/09/2003, n. 12912), nonché le ulteriori voci componenti il trattamento retributivo del ricorrente corrisposte in maniera continuativa e non occasionale correlate al contenuto e alle modalità della prestazione alla data del licenziamento, compresa l’indennità di sottosuolo; infatti, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsisull'asserita erroneità dell'inclusione, nel concetto di retribuzione ordinaria, di emolumenti, come l'indennità di turno, di galleria e di disagio, legati a particolari aggravi della qualità del lavoro prestatoha affermato chealla luce dei principi pacificamente affermati da questa Corte secondo cui, in tema di risarcimento dei danni da licenziamento illegittimo, l'indennità risarcitoria di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 deve essere liquidata in riferimento alla retribuzione globale di fatto spettante al lavoratore al tempo del licenziamento, comprendendo nel relativo parametro di computo non soltanto la retribuzione base, ma anche ogni compenso di carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento (con esclusione, quindi, dei soli emolumenti eventuali, occasionali od eccezionali), in quanto altrimenti verrebbero ad essere addossate al lavoratore le conseguenze negative di un illecito altrui (Cass., 16 settembre 2009, n. 19956; Cass., 24 agosto 2006, n. 18441; in tal senso, v. anche Cass., 16 luglio 2002, n. 10307). Si è infatti osservato che la mancata prestazione di lavoro, derivante da atto del datore di lavoro inidoneo a risolvere il rapporto, determina una situazione di mora credendi, con correlativo diritto del lavoratore al risarcimento dei danni, che devono presumersi di entità almeno pari alla perdita del coacervo delle utilità che lo svolgimento della prestazione avrebbe comportato, vale a dire al coacervo degli emolumenti, non eventuali, occasionali o eccezionali, ma aventi normale e continuativa connessione con le modalità proprie della prestazione lavorativa, ancorché eccedenti la retribuzione base. Solo in questo modo si consegue il risultato di neutralizzare gli effetti del licenziamento illegittimo, mentre, ove fosse ipotizzabile per il lavoratore un trattamento economico minore di quello che avrebbe ottenuto se avesse continuato a svolgere le sue consuete prestazioni, si finirebbe per addossargli le conseguenze economiche negative di un illecito altrui” (Cass. n. 11691/2015)»;

b) prosegue la decisione, così affermando: «si ritiene, poi, che anche il premio aziendale previsto dall’art. 40 CCNL 11.7.1999 debba essere incluso nel calcolo della retribuzione globale di fatto (…) considerato che esso risulta, a differenza del premio incentivante disciplinato dal successivo art. 43, correlato ai complessivi risultati economici dell'impresa e non anche alla produttività individuale ed è erogato alle condizioni e con i criteri stabiliti nel contratto integrativo aziendale, con la previsione dell’erogazione di un importo predeterminato che varia in ragione dell’area professionale di appartenenza e del livello di inquadramento (cfr. doc. 8 fascicolo parte ricorrente); inoltre, si concorda con le considerazioni svolte dalla parte ricorrente in merito al fatto che, se è vero che la norma contrattuale prevede che “Nel caso di assenza dal servizio, il premio aziendale viene ridotto di tanti dodicesimi quanti sono i mesi interi di assenza. Nel caso di assenza retribuita, la riduzione di cui sopra non si applica se l’assenza non supera i tre mesi; in caso di assenza superiore la riduzione non si applica per i primi tre mesi, salvo che l’assenza duri un intero anno. La riduzione, comunque, non si applica per i periodi di assenza per ferie. Relativamente ai periodi di astensione obbligatoria dal servizio dipendente da gravidanza o puerperio, la riduzione di cui al comma precedente non si applica per un periodo di astensione di cinque mesi. In caso di attribuzione di un giudizio professionale di sintesi negativo il premio aziendale non viene erogato”, è altresì vero che non possono essere posto a carico del lavoratore illegittimamente licenziato, o comunque impossibilitato a rendere la prestazione lavorativa per fatto imputabile al datore di lavoro, le conseguenze, in termini economici, della sua assenza; in merito, pare opportuno richiamare quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 19956/2009: “questa Corte ha ripetutamente affermato che la nozione di "retribuzione globale di fatto" - alla quale, secondo la L. n. 300 del 1970, ex art. 18, comma 4, nel testo modificato dalla L. n. 108 del 1990, va commisurato il risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente licenziato - deve essere intesa come coacervo delle somme che risultino dovute, anche in via non continuativa, purché non occasionale, in dipendenza del rapporto di lavoro ed in correlazione ai contenuti e alle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, così da costituire il trattamento economico normale, che sarebbe stato effettivamente goduto, se non vi fosse stata l'estromissione dall'azienda (cfr. in particolare l'ampia motivazione di Cass. S.U. n. 14616 del 15,10.2002 e di Cass. sez. lav., n. 12628 del 28.8.2003; in senso conforme anche Cass. n. 215 del 10.1.2004).

Il ripristino della lex contractus comporta la ricostituzione del rapporto quale era in corso di svolgimento al momento del recesso illegittimo, sicché la determinazione del contenuto dell'obbligazione retributiva - cui va parametrata la tutela risarcitoria - comporta l'inclusione nella base di calcolo della globalità degli emolumenti causalmente correlati alla posizione lavorativa in atto al momento dell'illegittimo recesso. In definitiva, nella base di computo per la determinazione dell'indennità prevista dalla L. n. 300 del 1970, ex art. 18, vanno ricompresi, oltre alla retribuzione base, tutti i compensi di carattere continuativo che si ricollegano alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento, con esclusione dei soli emolumenti eventuali, occasionali o eccezionali (Cass. sez. lav., 24.8.2006 n. 18441; in tal senso, v. anche Cass. sez. lav., 16.7.2002 n. 10307, laddove la Corte ha evidenziato che "opinare diversamente significherebbe frustrare il risultato, coerente con la ratio della cosi detta "tutela reale" del posto di lavoro, di neutralizzare compiutamente gli effetti del licenziamento illegittimo, giacché, ove fosse ipotizzabile, per il lavoratore reintegrando, una retribuzione minore di quella che avrebbe ottenuto se avesse continuato a svolgere le sue consuete prestazioni, si finirebbe per addossargli le conseguenze economiche negative di un illecito altrui, in assenza di qualsiasi sopravvenuta circostanza idonea ad interrompere legittimamente il nesso causale fra questo e quelle"). A questi principi, pienamente condivisi dal Collegio, non si è attenuto il giudice di merito, poiché il Tribunale di Napoli (in altra controversia del settore credito, di cui la Cassazione ha effettuato, giustappunto, la correzione, ndr) ha escluso dalla base di calcolo tutti i compensi contrattuali legati alla presenza in azienda del dipendente, quali l'indennità di mensa (ove si ritenga, ex art. 38 CCNL del 1990, il carattere convenzionale della stessa), l'indennità di rischio, l'indennità per "concorso alle spese tranviarie", l'indennità di rendimento, l'indennità di produttività (in relazione a quest'ultima indennità questa Corte, già con la pronuncia n. 3131 dei 24.3.1998, aveva ritenuto che dovesse essere ricompresa nella "retribuzione globale di fatto" cui era da commisurare il risarcimento del danno in caso di licenziamento illegittimo), senza tener conto del fatto che tale assenza era dipesa dalla illegittima estromissione del lavoratore dall'azienda»;

c) «per quanto concerne, infine, il reinquadramento virtuale del ricorrente già Funzionario di 2 cat. (deceduto nel corso del giudizio), nella categoria dei quadri direttivi introdotta dal CCNL 11.7.1999, sulla base della disciplina contenuta nell’art. 66, si osserva che, per le seguenti ragioni (omissis), la corretta spettanza del reinquadramento – ai fini retributivi, per il calcolo della misura dell’indennità risarcitoria – è quella di Quadro di IV livello», in luogo di quella inferiore di 3 livello, rivendicata dalla difesa della banca;

d) emerge in atti (cd. note difensive finali) come la difesa della banca, al fine di ridurre la misura dell’esborso risarcitorio a favore delle eredi del funzionario, abbia tentato – “scambiando” (secondo una benevola interpretazione) come generalizzato un orientamento del Consiglio di Stato valido esclusivamente per il pubblico impiego - di avvalorare in giudizio l’opinione per cui il calcolo degli accessori, ex art. 429 c.p.c., da parte del Giudice del lavoro investito di una controversia tra privati, avrebbe dovuto essere fatto sulla “sommatoria delle mensilità di retribuzione globale di fatto” al netto delle ritenute fiscali e previdenziali e non già al lordo; il tutto per ridimensionare, a favore della banca e a danno delle ricorrenti, il quantum dell’indennizzo risarcitorio.

Immediatamente contestata dalla difesa delle ricorrenti l’improvvida mossa, l’accorto Giudice del tribunale ha lapidariamente statuito: «quanto all’eccezione sollevata in sede di note conclusive dalla difesa della banca resistente in ordine al fatto che sarebbe erroneo il calcolo delle somme spettanti alla parte ricorrente a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali), essa (…) è infondata, posto che è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale,in tema di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, la determinazione delle retribuzioni dovute al lavoratore ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori, deve essere effettuata al lordo e non già al netto, delle ritenute fiscali e previdenziali. Ciò in quanto in sede di cognizione il giudice è dispensato dalla determinazione dell'importo della retribuzione al netto della ritenuta d'acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, in quanto l'obbligo di effettuare tale ritenuta - che sorge solo al momento del pagamento - grava sul datore di lavoro, ove questo dia spontanea esecuzione alla sentenza, oppure sullo stesso lavoratore, ove questi esegua la sentenza di condanna, senza attendere che il datore di lavoro vi ottemperi spontaneamente (Cass. nn. 4127 e 4129 del 1986, 2249 del 1983, 3912 del 1982, cfr. anche Cass. 6758 del 26 luglio 1996). Analogamente deve dirsi per quanto riguarda i contributi assistenziali e previdenziali, per la quota a carico del lavoratore (Cass. 2544/2001); nel caso di specie, infatti, non viene in rilievo un rapporto di pubblico impiego, nell’ambito del quale, con D.M. del Ministero del Tesoro, delegato dal legislatore ai sensi dell’art. 22, comma 36 L. 724/1994, del 1 settembre 1998, n. 352, all'art. 3, comma 2, nel prevedere i criteri per la corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, si è stabilito che tali accessori siano calcolati sulle somme dovute al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali, e, al comma 3 dello stesso art. 3, che sulle somme da liquidare a titolo di interesse legale o rivalutazione monetaria è applicata la ritenuta fiscale ai sensi del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 1»;

e) quanto sopra evidenziato, il Giudicante ha, di conseguenza, affermato che: «in ultimo, è corretto il calcolo degli interessi legali sulle somme lorde via via rivalutate operato dal CTU fino alla data del 18.5.2017; si ritiene, infatti, conformemente all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità in materia di rapporto di lavoro privato, che la rivalutazione monetaria e gli interessi legali liquidati dal giudice in relazione ai crediti di lavoro, ai sensi dell'art. 429 cod. proc. civ., vadano calcolati sulla somma dovuta al lavoratore al lordo delle ritenute fiscali e contributive»;

f) «in conclusione, sulla scorta di quanto esposto e avuto riguardo alla determinazione effettuata dal CTU, la resistente dev’essere condannata al pagamento, in favore delle eredi del funzionario bancario deceduto, della somma lorda di € xxxxx,xx, comprensiva di rivalutazione monetaria e interessi legali cui si aggiungono € xxx,xx per indennizzo di danno biologico» previa deduzione di quanto già corrisposto dalla banca, in esecuzione delle condanne risarcitorie, dalla sentenza di 1 grado del 2009.

Peraltro, se scontato risulta il nostro sincero apprezzamento per i corretti principi di diritto enunciati dalla decisione in questione, siamo invece costretti a censurare l’irragionevole durata temporale complessiva dei vari gradi decisori della controversia (21 anni), durata del tutto inammissibile per un paese civile, che ha finito per privare il funzionario (deceduto nelle more) quantomeno della soddisfazione di poter vedere riconosciuti i propri diritti.

Prof. Mario Meucci - Giuslavorista

Allegato:

Tribunale Bari sentenza n.73/2020

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