Il creditore dissenziente può far valere, in sede di reclamo avverso l’omologazione dell’accordo di composizione della crisi, motivi di doglianza fondati tanto sulla natura ipotecaria del proprio credito, quanto sull’assenza di convenienza della proposta, non potendosi desumere alcuna rinuncia a far valere la garanzia reale dalla circostanza che il voto (negativo) sia stato espresso senza indicazione del grado ipotecario del credito, né potendosi desumere alcuna preclusione in virtù del richiamo alle forme camerali del procedimento.
Giovedi 19 Dicembre 2024 |
Questo il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nell'ordinanza n. 30543 dello scorso 27 novembre, con la quale ha accolto il ricorso di una S.r.l. contro il provvedimento con cui il tribunale aveva respinto il reclamo avverso il decreto di omologazione dell'accordo di composizione della crisi.
Nello specifico, la Società deduceva la violazione o falsa applicazione del secondo comma dell'art. 12 della L. n. 3/2012 e dell'art. 739 c.p.c. lamentando l'erronea qualificazione del proprio credito come chirografario nonostante la sussistenza di un privilegio ipotecario perchè proposta per la prima volta in sede di reclamo e non anche nella dichiarazione di dissenso all'omologazione dell'accordo. Censurava, altresì, il decreto del tribunale nella parte in cui considerava inammissibile l'ulteriore motivo di reclamo rappresentato dall'erronea valutazione della convenienza dell'accordo rispetto alla prospettiva liquidatoria ritenendo che potesse considerarsi raggiunto, essendo pervenuti voti favorevoli al di sopra della soglia richiesta del 60% ( ai sensi dell'art. 11, secondo comma, L. n. 3/2012).
La Suprema Corte ha dichiarato fondati tutti i motivi sollevati richiamando l'art. 7 della summenzionata legge, il quale stabilisce che nel piano è possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca non siano soddisfatti integralmente purchè “ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quello realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”.
Considerata la regola prevista dal succitato art. 11, comma secondo, i creditori muniti di privilegio, pegno od ipoteca dei quali la proposta prevede l'integrale pagamento, non sono computati per il raggiungimento della maggioranza del 60% e, perciò, non hanno diritto di esprimersi sulla proposta medesima, a meno che non rinuncino, in tutto o in parte, al diritto di prelazione. A tal proposito, viene richiamato l'orientamento della stessa Corte il quale aggiunge che laddove ne sia prevista la soddisfazione non integrale, ai menzionati creditori deve essere garantito il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile “ in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi” ( Cass. Sez., I n. 26328-16, Cass. Sez., I n. 4270-21).
Il tribunale, con il provvedimento contestato, è caduto in un duplice errore: da un lato ha fatto venir meno la funzione economico-sociale della causa di prelazione dichiarando che il creditore non fosse più legittimato a farne valere gli effetti sull'accordo, omettendo di chiarire se la mancata indicazione della prelazione dovesse considerarsi o meno come manifestazione tacita di rinuncia. Dall'altro, ha rigettato la doglianza sulla non convenienza dell'accordo rispetto all'alternativa liquidatoria solo perchè era stata abbondantemente superata la percentuale prevista per la maggioranza.
La Corte, nel ribadire la necessità della valutazione della convenienza dell'accordo rispetto all'alternativa liquidatoria, ha accolto il ricorso cassando il provvedimento impugnato.