Risponde del reato di violenza sessuale di gruppo anche chi incita e approva i video degli abusi.

Risponde del reato di violenza sessuale di gruppo anche chi incita e approva i video degli abusi.

“La realizzazione di un contributo morale, da parte del concorrente che non realizza l'azione tipica, sul luogo e nel momento del fatto costituisce una condotta di partecipazione punita direttamente ai sensi dell'art. 609-octies cod. pen.”.

Venerdi 9 Settembre 2022

La Terza Sezione Penale della Cassazione, con sentenza n. 32503, depositata lo scorso 5 settembre, ha dichiarato che l'indagata è chiamata a rispondere non di concorso in violenza sessuale di gruppo ma di violenza sessuale di gruppo in quanto, pur non avendo partecipato direttamente all'abuso, non si è dissociata dalla condotta realizzata dai componenti del branco ai danni di un giovane ragazzo affetto da deficit cognitivo.

Il Tribunale di Catanzaro rigettava la richiesta di riesame proposta nell'interesse di una ventitreenne - a seguito dell'imputazione per concorso in violenza sessuale di gruppo ai danni di un disabile - avverso l'ordinanza emessa dal Gip, con la quale alla stessa veniva applicata la misura cautelare dell'obbligo di firma “in relazione al delitto di cui agli artt., 110, 609-octies cod. pen.”.

Avverso l'ordinanza, l'indagata ricorreva in Cassazione deducendo il vizio di motivazione e la violazione di legge per avere, il Tribunale, errato nella valutazione dell'art. 110 cod. pen., in rapporto alla fattispecie di cui all'art. 609-octies cod. pen.

La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, osserva che l'indagata è chiamata a rispondere non di concorso ma di violenza sessuale di gruppo e ciò in quanto, pur non avendo partecipato attivamente all'abuso, non si è dissociata dalla condotta realizzata dai componenti del branco ma con la frase pronunciata nel corso della registrazione del video (“ troppo forte raga, quell'altro gli sta facendo anche il video”), mentre era in corso la violenza sessuale ai danni del ragazzo, ha rafforzato l'intento di perpetrare la violenza ai danni della vittima.

Nella decisione, la Suprema Corte, sottolinea che sin dall'introduzione dell'art. 609-octies1, il delitto di violenza sessuale di gruppo richiede, per la sua realizzazione, “oltre all'accordo delle volontà dei compartecipi al delitto, anche la simultanea effettiva presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell'illecito”, senza che ciò richieda “la necessità che ciascun compartecipe ponga in essere un'attività tipica di violenza sessuale”, potendosi manifestare in ogni forma di contribuzione. Dunque: ai fini dell’integrazione non occorre che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del reato, anche nel senso del rafforzamento della volontà criminosa dell'autore dei comportamenti tipici di cui all'art. 609-bis c.p. (Cass. pen., sez. III, 20 febbraio 2018, n. 16037, fattispecie di partecipazione a violenza sessuale di gruppo mediante riprese, con telefono cellulare, di parte degli atti sessuali posti in essere, sulla persona offesa, dal coimputato).

La fattispecie ricomprende qualsiasi condotta partecipativa, tenuta in una situazione di effettiva presenza compiacente, sul luogo e al momento del reato, che apporti un reale contributo materiale o morale all’azione collettiva. In virtù della natura di reato plurisoggettivo a concorso necessario, la giurisprudenza ha precisato che il concorso eventuale di persone nel reato di violenza sessuale è configurabile solo “nelle forme dell'istigazione, del consiglio, dell'aiuto o dell'agevolazione da parte di chi non partecipi materialmente all'esecuzione del reato stesso” a condizione che il correo non sia presente sul luogo del delitto: contrariamente risponderà del delitto di violenza sessuale di gruppo in quanto la realizzazione di un contributo morale da parte del concorrente nel reato, che non realizza l'azione tipica, è da considerarsi una condotta di partecipazione”.

La Suprema Corte ha, perciò, dichiarato inammissibile il ricorso, confermando la misura cautelare dell'obbligo di firma, decisa con ordinanza del Tribunale di Catanzaro.

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Note:

1 Introdotto dall'art. 9 della L. n. 66/1996, recante Norme contro la violenza sessuale.

 

Allegato:

Cassazione penale sentenza n.32503 2022

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