Premessa
Dopo l’entrata in vigore della Riforma Cartabia, il Giudice di Pace si trova ad affrontare le prime questioni relative alla definizione ed applicazione delle condotte riparatorie ai fini della estinzione del reato,benché la nuova normativa in materia abbia già suscitato numerose perplessità derivanti dalla sua applicazione (1).
Sabato 6 Aprile 2024 |
Il passaggio dall'ottica punitiva e riabilitativa a quella riparativa corrisponde di fatto ad una nuova concezione delle risposte sanzionatorie che,pur mantenendo intatti gli aspetti di rinvio alla responsabilità personale,rimanda chiaramente,anche utilizzando tutte le risorse presenti sul territorio,ad una serie di proposte e di opportunità che il soggetto può cogliere per il proprio cambiamento e,nel contempo,ad una migliore considerazione degli interessi delle Vittime del reato, persona singola o società nel suo complesso.
In quest'ambito si colloca la mediazione penale per la quale reo e vittima,adegua- tamente supportati,realizzano l'opportunità di prendere parte alla gestione del conflitto causato dal fatto reato,anziché limitarsi a sottostare ad un giudizio di incerta durata.
La giustizia riparativa,come emerge dai numerosi contributi dottrinali, può quindi essere definita come “ un modello alternativo di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo”(2)
La Giustizia riparativa nelle decisioni della Consulta
La Corte Costituzionale,con la sentenza n. 45 del 21 marzo 2024,in materia di condotte riparatorie nell’ambito dei procedimenti dinanzi al Giudice di Pace, ha stabilito che tali condotte possono essere realizzate sino all’apertura del dibattimento, contrariamente a quanto previsto dalla norma sino ad ora vigente.
In conseguenza, la Corte delle Leggi – accogliendo la questione sollevata dal Giudice di Pace di Forlì – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 35, comma 1, del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, nella parte in cui stabilisce che, al fine dell’estinzione del reato,le condotte riparatorie debbano essere realizzate «prima dell’udienza di comparizione», anziché «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento» di cui all’art. 29, comma 7, del medesimo provvedimento.
I principi enunciati dalla Corte.
Il Giudice di Pace emiliano remittente aveva eccepito che la disposizione censurata,nello stabilire che l’imputato doveva dimostrare di aver proceduto alla condotta riparatoria prima dell’udienza di comparizione, costituiva violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento tra colui che deve essere giudicato per la commissione di un reato rientrante nella competenza del Giudice di pace e l’imputato che provveda alla riparazione del danno cagionato per effetto di un reato commesso di competenza del Tribunale.
L’analogo istituto,di cui all’art. 162-ter cod. pen. (introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2017, n. 103,recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario»),per i reati di competenza del Tribunale, consente di accedere alla dichiarazione di estinzione del reato,se l’imputato abbia interamente riparato il danno entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento.
A sostegno della tesi,il Giudice di Forlì aveva rilevato che,con il progressivo affermarsi nell’Ordinamento dei princìpi in tema di giustizia riparativa e con la previsione anche per i reati di competenza del Tribunale, attraverso l’art. 162-ter cod. pen.,del medesimo Istituto previsto dall’art.35 del d.lgs. n. 274 del 2000, il diverso termine non sarebbe stato più giustificabile,dando luogo ad una evidente disparità, potendo l’imputato,solo nei procedimenti innanzi al Tribunale, beneficiare di un termine più ampio per evitare la celebrazione del processo e l’eventuale condanna mentre per i reati di competenza del Giudice di pace,per ottenere il beneficio dell’estinzione del reato, l’imputato doveva aver provveduto alle riparazioni ancor prima dell’udienza di comparizione.
A conforto della disparità segnalata,il rimettente ha sottolineato come, in entrambi i giudizi, la spontaneità della condotta riparativa e la valutazione del sincero ravvedimento sarebbero,comunque,garantiti dall’anteriorità della condotta riparatoria rispetto all’esple tamento dell’attività istruttoria.
Inoltre, la previsione dello sbarramento anticipato sarebbe di per sé irragionevole, in quanto in contrasto con la ratio del processo innanzi al Giudice di pace, il quale risponde in via prioritaria a logiche conciliative, proprio per la minore gravità dei reati trattati.
Il Giudice rimettente, nel procedimento a carico di una persona imputata del reato di percosse (art. 581 cod. pen.),aveva evidenziato che nel corso dell’udienza di compari zione,svoltasi in più date per effetto di alcuni rinvii,il difensore dell’imputato aveva avanzato istanza di definizione del giudizio ex art.35 del d.lgs. n. 274 del 2000 e, prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento,l’imputato aveva effettuato banco iudicis l’offerta di una somma di denaro a titolo risarcitorio, somma che non era stata ritenuta congrua dalla persona offesa.
Il Giudice,riscontrata la non tempestività dell’offerta in quanto formulata all’udienza di comparizione anziché prima ,sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’art.35,nei termini sopra indicati, accogliendo l’eccezione della difesa dell’imputato.
Secondo la Corte delle Leggi,l’eccepita incostituzionalità della norma risulta fondata,
La disposizione censurata,al comma 1,richiede che,al fine della dichiarazione di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie,l’imputato abbia proceduto «alla ripara zione del danno cagionato dal reato,mediante le restituzioni o il risarcimento» ed abbia «eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato»; tutto ciò «prima dell’udienza di comparizione».
Sul punto controverso la Corte ha rilevato,innanzi tutto,che il rimettente muove da un corretto presupposto interpretativo circa la perentorietà della preclusione temporale stabilita dalla disposizione censurata.
Sta di fatto che la formulazione letterale del comma 1 dell’art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000 è chiara nello stabilire la necessità che gli adempimenti riparatori e risarcitori siano realizzati prima dell’udienza di comparizione.
Anche nella giurisprudenza di legittimità è oramai consolidato l’orientamento interpre tativo che afferma la natura non prorogabile del termine, con la conseguenza che, in caso di inosservanza,non può essere dichiarata l’estinzione del reato(Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 8 novembre-13 dicembre 2022, n. 47007).
Quindi, l’offerta banco iudicis, fatta dall’imputato solo all’udienza di comparizione, anche se prima dell’apertura del dibattimento,sarebbe tardiva, a prescindere da qualsivoglia valutazione di inidoneità,da parte del Giudice,alla dichiarazione di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie.
Infatti, la disposizione censurata,al comma 1, richiede che, al fine della dichiarazione di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, l’imputato abbia proceduto «alla riparazione del danno cagionato dal reato,mediante le restituzioni o il risarcimento» ed abbia «eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato» e «prima dell’udienza di comparizione».
La valutazione dell’adeguatezza, o meno, dell’offerta è logicamente successiva a quella dell’operatività di tale termine,sicché la questione di legittimità costituzionale della disposizione che prevede il termine stesso appare,tuttavia,rilevante,anche solo quanto al percorso argomentativo della decisione che il Giudice rimettente è chiamato ad adottare.
Infatti, la rilevanza si configura come «necessità di applicare la disposizione censurata nel percorso argomentativo che conduce alla decisione» (sentenza n. 254 del 2020); ciò che è sufficiente a fondare la rilevanza della questione sollevata (ex multis, sentenza n. 59 del 2021).
Per costante giurisprudenza la Corte(v sentenza n. 164 del 2023) nell’affermare che,ai fini della rilevanza delle questioni, è sufficiente che la disposizione censurata sia applicabile nel giudizio a quoe che la pronuncia di accoglimento possa influire sull’esercizio della funzione giurisdizionale (v. sentenze n. 247 e n. 215 del 2021), quanto meno sotto il profilo del percorso argomentativo della decisione nel processo principale (ex plurimis,v. sentenze n. 25 del 2024, n. 249 e n. 154 del 2021; ordinanza n. 194 del 2022).
La Corte ricorda che,in attuazione dell’art. 17, comma 1, lettera h), della legge 24 novembre 1999, n. 468 (Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374, recante istituzione del Giudice di pace,. l’art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000, inserito nel Capo V dedicato alle «definizioni alternative del procedimento», ha introdotto, nel giudizio penale innanzi al Giudice di pace, la causa di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie o risarcitorie.
Tale disposizione stabilisce al comma 1 che il Giudice di pace, «sentite le parti e l’even tuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato, enunciandone la causa nel dispositivo, quando l’imputato dimostri di aver proceduto, prima dell’udienza di compari zione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato».
Il comma 2 precisa che il Giudice pronuncia la sentenza di estinzione del reato «solo se ritiene le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione».
Il Giudice può,tuttavia,disporre, ai sensi del comma 3, «la sospensione del processo, per un periodo non superiore a tre mesi, se l’imputato chiede nell’udienza di comparizione di poter provvedere» ai predetti adempimenti, dovendo però dimostrare «di non averlo potuto fare in precedenza>.
In tal caso, il Giudice può imporre specifiche prescrizioni e, nel caso in cui venga con cessa tale sospensione, secondo il disposto del comma 4, deve fissare una nuova udienza ad una data successiva al termine del periodo di sospensione.
Infine, se le attività risarcitorie o riparatorie hanno avuto esecuzione,è previsto,al comma 5,che «il Giudice, sentite le parti e l’eventuale persona offesa,dichiara con sentenza estinto il reato enunciandone la causa nel dispositivo» o in caso contrario, ai sensi del comma 6, deve disporre la prosecuzione del procedimento.
La causa estintiva introdotta dal legislatore del 2000 ha costituito uno strumento di profonda innovazione del sistema penale, in quanto alle condotte di tipo riparatorio, fino a quel momento,era stato attribuito rilievo ai soli fini dell’attenuazione della pena per avere – «prima del giudizio» – riparato interamente il danno mediante il suo risarcimento (art. 62, numero 6, cod. pen.) o come presupposto per ottenere alcuni benefici, anche relativi alla pena, quali la sospensione condizionale (art. 165 cod. pen.) e la liberazione condizionale (art. 176 cod. pen.), ma non anche il proscioglimento dell’imputato.
La scelta del legislatore, compiuta per mezzo del d.lgs. n. 274 del 2000 è stata, dunque, quella di strutturare la causa estintiva nel senso di attribuire al Giudice di pace un potere valutativo che – in linea con la ratio dell’istituto ispirato,nel suo complesso, all’obietti vo della composizione non conflittuale della controversia spesso sottostante a reati di minore gravità – non si limita alla verifica del risarcimento in termini civilistici, ma si estende alla valutazione della congruità della condotta riparatoria in rapporto anche all’interesse pubblico al perseguimento degli obiettivi di prevenzione generale e speciale del sistema penale.
Evidente è anche la finalità di alleggerimento del carico giudiziario,posto che la causa estintiva si applica a tutti i reati di competenza del Giudice di pace,di cui all’art. 4 del D.Lgs. n.274 del 2000, tra i quali sono ricompresi oltre i delitti procedibili a querela, anche quelli azionabili di ufficio e i reati contravvenzionali,nella stessa logica posta a base della Riforma Cartabia.
La peculiarità del processo penale innanzi al Giudice di pace, avente ad oggetto fatti di minore gravità,risiede in un approccio duttile che non è quello della necessaria applica zione della pena come inesorabile conseguenza del reato.
I comportamenti illeciti addebitati all’imputato chiamano in gioco l’attività di mediazione del Giudice e, ancor prima, possono essere valutati alla luce degli specifici istituti di miti gazione della risposta sanzionatoria come quello della esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto (art.34 del d.lgs. n. 274 del 2000) e quello dell’estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 35, in esame).
Costituisce, poi,prescrizione generale quella che richiede che il Giudice di pace favorisca, nel corso del procedimento e per quanto possibile,la conciliazione tra le parti (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 274 del 2000).
La Corte sottolinea che nel processo davanti al Giudice di pace,l’imputato, che prima dell’udienza di comparizione non sia riuscito ad ottenere l’accettazione della persona offesa della sua offerta di riparazione,non può contare sull’attività di mediazione del Giudice nell’udienza di comparizione, perché è ormai già spirato il termine in esame.
In mancanza di un contatto con il Giudice,tanto più necessario perché deve egli comun que valutare il soddisfacimento delle esigenze di riprovazione del reato e di quelle di prevenzione,pur in presenza di accettazione della persona offesa,la prospettiva di condot te riparatorie, perfezionate già prima dell’udienza di comparizione,finisce per essere, quanto meno,non incoraggiata ed anzi resa incerta, frustrando così l’esigenza di deflazionare questi processi per reati minori.
Il fatto che l’imputato ponga in essere le condotte previste dal censurato art. 35, consistenti nella riparazione del danno mediante restituzione o risarcimento e nell’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato,non è di per sé sufficiente, in quanto è necessario,per la sentenza di proscioglimento, che il Giudice ne valuti anche l’idoneità a «soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 23 aprile-31 luglio 2015, n. 33864).
All’udienza di comparizione l’imputato può anche presentare domanda di oblazione «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento», come prescrive il comma 6 del citato art. 29, in piena simmetria con l’analoga previsione,nel giudizio ordinario, degli artt. 162 e 162-bis cod. pen.,quanto alle contravvenzioni punite rispettiva mente con l’ammenda o con pene alternative (in entrambe le ipotesi la domanda di ammissione all’oblazione deve esser fatta «prima dell’apertura del dibattimento»). Invece nel giudizio ordinario, non solo gli artt. 162 e 162-bis cod. pen., quanto all’oblazione ordinaria e speciale, ma anche il successivo art. 162-ter, quanto alle condotte riparatorie , prevedono come termine ultimo per perfezionare queste fattispecie di estinzione del reato la dichiarazione di apertura del dibattimento.
il disallineamento quanto al dies ad quem per perfezionare le condotte riparatorie tra l’art. 35 del d.lgs. n. 274 del 2000 innanzi al giudice di pace e l’art. 162-ter cod. pen. (innanzi al giudice ordinario,si ricompone parzialmente quanto alla concessione di una sorta di termine di grazia.
L’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 274 del 2000 prevede che, in via eccezionale, ove l’imputato dimostri di non aver potuto provvedere in precedenza alla riparazione del danno, il giudice di pace possa sospendere il processo per un periodo non superiore a tre mesi per consentirgli di provvedere.
Analogamente, l’art. 162-ter, secondo comma, cod. pen. stabilisce che se l’imputato «dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, […] può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi,per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento» e «in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni».
Inquadrata in questo complessivo contesto normativo,evolutosi nel tempo, la sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000 è fondata in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della dedotta violazione del principio di ragionevolezza.
In particolare, con la sentenza n. 120 del 2019 e con l’ordinanza n. 224 del 2021, dando continuità a precedenti pronunce, – nell’affermare che l’art. 131-bis cod. pen. non è applicabile ai reati rientranti nella competenza del giudice di pace, operando la fattispecie di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000 – ha evidenziato che le ragioni che giustifica no,sul piano del rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza,l’alternatività tra i due regimi risiedono nelle connotazioni peculiari dei reati di competenza del Giudice di pace – il quale giudica di reati di ridotta gravità, espressivi di conflitti interpersonali a carattere privato –e del procedimento che innanzi a lui si svolge,improntato a finalità di snellezza, semplificazione e rapidità.
Questa marcata esigenza di favorire, per il tramite dell’attività di mediazione del giudice, la conciliazione tra le parti, anche e soprattutto mediante le condotte riparatorie dell’imputato,mostra la incoerenza del termine finale, previsto dalla disposizione censurata, per porre in essere e perfezionare tali condotte; termine che scade prima che l’imputato compaia innanzi al giudice stesso.
In conseguenza,secondo la Corte,va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, nella parte in cui stabilisce che, al fine dell’estin zione del reato, le condotte riparatorie debbano essere realizzate «prima dell’udienza di comparizione», anziché «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento»,di cui all’art. 29, comma 7, del medesimo decreto legislativo.
Alcune considerazioni a margine della sentenza
In Italia, soprattutto nella seconda metà degli anni 90,la Magistratura minorile ed i servizi sociali hanno iniziato a sperimentare la mediazione penale attraverso i Tribunali per i minorenni.
In tale contesto il primo filtro che ha consentito di immettere nel circuito del processo gli esiti della mediazione/riparazione è stato quello previsto dall’art.27 del nuovo rito penale per i minori.
La nuova norma ha,infatti,autorizzato il proscioglimento del minore per irrilevanza del fatto, nei casi di tenuità del fatto, di occasionalità del comportamento posto in essere e di pregiudizio che la prosecuzione del processo potrebbe arrecare alle esigenze educative del minore.
Il decreto legislativo n.274/2000, istitutivo della nuova competenza penale del Giudice di pace,ha aperto un nuovo percorso alla sperimentazione anche in Italia della mediazione penale per reati commessi da adulti.
In effetti la legge ha introdotto per la prima volta riferimenti normativi espressi alla “mediazione” intesa come modalità extragiudiziale di soluzione dei conflitti ed alla “riparazione” intesa come meccanismo estintivo dei reati.
In conseguenza anche nella giustizia penale cd “minore” la mediazione e la riparazione swi danni sofferti delle vittime del reato sono state di recente disciplinate espressamente dalle norme introdotte dalla legge istitutiva del Giudice di Pace.
L’art.29,comma 4 ed i successivi artt. 34 (estinzione per particolare tenuità del fatto) e l’art.35(condotte riparatorie ) consentono la definizione alternativa del procedimento in presenza delle condizioni ivi previste.
In particolare,prima della sentenza in commento,l’articolo 35 del D. Lgs 274/00 enuncia va testualmente :
1. Il Giudice di pace, sentite le parti e l'eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato,enunciandone la causa nel dispositivo, quando l'imputato dimostra di aver proceduto, prima dell'udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato,mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato.
A tal fine la norma,viziata di legittimità secondo la Consulta, aveva previsto che,qualora l’imputato chieda di poter provvedere al risarcimento del danno nel corso della prima udienza di comparizione,il Giudice di Pace,oltre che assegnare allo stesso un termine per tale adempimento,potesse impartire prescrizioni finalizzate alla eliminazione delle cause del reato.
La scarna giurisprudenza in merito ha stabilito che le condotte consistenti nella riparazione del danno e nell'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ai fini dell'estinzione dello stesso,ai sensi dell’art 35 del D.Leg.vo n 274/2000, vanno rapportate ad una commisurazione oggettiva del danno,rimessa in ultima analisi alla stima del Giudice procedente e non alla valutazione e alla richiesta della parte offesa
Se fosse ammessa la tesi opposta del necessario consenso della parte offesa alla offerta risarcitoria,si svuoterebbe di significato l’esistenza stessa dell’art. 35,poiché risulterebbe evidente che, nella totalità dei casi di reati procedibili a querela, un risarcimento totale del danno reclamato condurrebbe ad una remissione di querela medesima.
Inoltre,è stato osservato che subordinare la procedura di cui all’articolo 35 D.lgs. cit. all’assenso della parte offesa costituirebbe un vero e proprio incoraggiamento a condotte processuali “sleali” in quanto tendenti a strumentalizzare la natura del processo penale, che diverrebbe un vero e proprio strumento coercitivo(!!).
D’altra parte, come ha ricordatola Consulta,l’istituto introdotto dall’art.35,in linea con i criteri ispiratori dell’intero decreto legislativo,risponde ad un’evidente finalità di deflazio ne e “velocizzazione” dei procedimenti sebbene non vi è chi non veda allora come tale obiet tivo sarebbe oltremodo contraddetto ove si accedesse ad una indiscriminata concessione di termine, non motivata dal riscontro di precisi precedenti ostacoli alla effettuazione delle condotte riparatorie (3)
Invero,l’art.17 lett.h) della Legge Delega 468/1999 aveva imposto al Governo la “previsione di ipotesi di estinzione del reato conseguenti a condotte riparatorie o risarci torie del danno” senza che tuttavia la norma dell’art.35 abbia individuato le ipotesi di reato nelle quali risulta applicabile il meccanismo estintivo .
Nella stesura originaria del testo normativo,l’ambito di operatività della causa estintiva era limitato ai soli reati perseguibili d’ufficio con ciò escludendo i reati procedibili a querela di parte per i quali era apparso più opportuno il ricorso alla rimessione della querela,come conseguenza delle attività di conciliazione poste in essere dal giudicante nel corso della udienza di comparizione.
La norma introdotta ha esteso l’ambito di operatività delle condotte riparatorie a tutti i reati divenuti di competenza del Giudice di Pace penale.
In tale quadro si inserisce una recente sentenza del Giudice di Pace di Lanciano(4) che ha stabilito che “le condotte consistenti nella riparazione del danno e nell'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ai fini dell'estinzione dello stesso ai sensi dell’art 35 del D.Leg.vo n 274 /2000 vanno rapportate ad una commisurazione oggettiva del danno,rimessa in ultima analisi alla stima del Giudice che procede e non alla valutazione e alla richiesta della parte offesa “.
Secondo il Giudice abruzzese, il fatto di ancorare il quantum alla richiesta della parte offesa svuoterebbe di significato l’esistenza stessa dell’art. 35,poiché è evidente che, nella quasi totalità dei casi di reati a querela, un risarcimento totale del danno reclamato condurrebbe ad una remissione di querela medesima.
Con l’art 35 del D.Leg.vo n 274 /2000 il legislatore avrebbe introdotto un nuovo concetto di giustizia che si può definire “giustizia ristorativa”, dal contenuto spiccatamente patrimo niale, nella prospettiva di ristabilire lo status quo ante, di compensare, sul piano econo mico, gli effetti dell’illecito.
La norma sarebbe posta a salvaguardia anche della esigenza di conservare la natura afflittiva della pena e preventiva di ulteriori reati in quanto il Giudice può pronunciare l’estinzione del reato solo se le condotte poste in essere siano state idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione.
In conseguenza,ha sostenuto lo stesso Giudice ,la norma,collegando la estinzione del procedimento alla riparazione del danno ed alla eliminazione delle conseguenze, sembre rebbe richiedere l’integralità del risarcimento sebbene quest’ultimo vada rapportato ad una commisurazione oggettiva del danno, rimessa in ultima analisi alla stima del Giudice che procede e non alla valutazione e alla richiesta della parte offesa.
Per contro, ritenendo il quantum ancorato alla richiesta della parte offesa (mai alla parte civile – perché la valutazione deve avvenire ad un tempo che precede la prima udienza di comparizione parti) si svuoterebbe di significato l’essenza stessa dell’art. 35.
In definitiva, anche secondo il Giudice di Pace di Lanciano, l'integralità del risarcimento del danno, richiesta dall'articolo 35 D.Lgs 274/00 ai fini della dichiarazione di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie,doveva avvenire prima della celebrazione del Giudizio,come ora sancito dalla Corte Costituzionale e fino all’apertura del dibatti mento.
Invero,l’art.35,nella sua formulazione,pone a carico dell’imputato due condotte:
a)la riparazione del danno cagionato dal reato mediante le restituzioni o il risarcimento
b) l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.
Entrambe le condotte riparatorie devono avere, tra gli altri requisiti, quello della personali tà e che si tratti di una prestazione personale lo si ricava dall’art.35 comma 2, in quanto il Giudice deve accertare di volta in volta se le attività risarcitorie sono state idonee a soddisfare esigenze di riprovazione del fatto e di prevenzione,sicché la condotta non può che essere compiuta personalmente dall’agente.
Da ciò dovrebbe conseguire che, per quanto riguarda il risarcimento del danno da sinistro stradale, la causa di estinzione non potrebbe trovare applicazione a fronte di una mera ed automatica riparazione avvenuta per opera dell’Istituto assicuratore né tanto meno quando il risarcimento del danno sia compiuto dal responsabile civile per conto proprio e nel proprio interesse oppure da un terzo magari estraneo alla vicenda criminosa.
Tuttavia,tale applicazione restrittiva dell’istituto non sarebbe conforme a giustizia posto che,specialmente nel campo delle lesioni dipendenti da sinistri stradali,sarebbe assurdo pretendere un risarcimento “personale”da parte dell’imputato,nel momento in cui lo stesso è per Legge obbligato a dotarsi di copertura assicurativa per la circolazione strada le.
Quello che il legislatore richiede, a ben vedere, è una partecipazione personale alla condotta riparatoria, ossia un comportamento fattivamente volto al soddisfacimento della pretesa risarcitoria, di cui l’autore del reato potrà fornire adeguata dimostrazione ogni qual volta sia in grado di provare che il risarcimento, ancorché da terzi proveniente, è stato da lui medesimo provocato, sollecitato,non ostacolato(5).
Appare,quindi, del tutto conforme alla ratio della norma l’opinione che il risarcimento in funzione riparatoria non possa essere assimilato tout court alla mera soddisfazione della richiesta proveniente ex parte offesa,costituendo piuttosto un comportamento dell’impu tato,successivo alla commissione del reato,suscettibile di valutazione da parte del Giudice che ne stima gli effetti sia sul piano dell’eliminazione del danno conseguente alla condot ta criminosa sia sotto il diverso profilo delle necessità di stampo prettamente punitivo e preventivo.
Ma vi è anche un altro elemento non trascurabile che depone in funzione della tesi sostenuta dal Giudice di Lanciano: la mancata possibilità i opporsi da parte della persona offesa, la quale viene semplicemente "sentita" prima della pronuncia estintiva.
E’ una questione rilevante questa che riguarda anche l’accesso all Giustizia Riparativa dinanzi ai Tribunali ai sensi dell’art.129-bis C.P.P., che suscita notevoli dubbi di legittimi tà posto che la norma non prevede alcun potere di veto della persona offesa (e dell'impu tato) sancito invece dall'articolo 34, comma 3, per l'esclusione della procedibilità per i casi di particolare tenuità’ del fatto.
In conseguenza si deve ritenere che la valutazione di idoneità’ del Giudice di pace delle attività’ riparatorie prestata dall'autore del danno arrecato alla vittima ed a favore di questa, non può’ essere intesa come mera presa d'atto che il risarcimento richiesto e’ stato versato, bensì come valutazione del Giudice che "le attività’ risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione",alla cui individuazione può aver concorso quale mediatore tra le parti, abbiano avuto esecuzione” (6).
Ne è riprova una recente sentenza della Cassazione Penale in tema di applicazione della norma estintiva nel caso di guida in stato di ebrezza (7).
La Suprema Corte ha ritenuto che la guida sotto l'influenza dell'alcool (art. 186 Cod. Strad.), così come la guida in stato di alterazione per l'uso di sostanze stupefacenti (art. 187 Cod. Strad.), sono qualificabili come reati di pericolo astratto,per i quali l'eventuale sottoposizione del reo ad un trattamento socio-terapeutico non costituisce un "actus contrarius" rispetto alla condotta incriminata né può integrare una qualche forma di "riparazione"nei confronti di una parte offesa, di difficile determinazione,con la conse guenza che sussiste incompatibilità ontologica tra la modalità di estinzione prevista dall'art. 35 DLgs n. 274/2000 e la natura dei reati in esame.
Merita,ancora,di essere segnalata una recente sentenza del Giuidce di Pace di Rovereto (8) che, accogliendo l’impostazione difensiva in favore di una valutazione di congruità delle condotte riparatorie assegnata alo stesso Giudice decidente, ha dichiarato il NDP per estinzione del reato ex art. 35 D.Lgs 274/2000 affermando,nella parte motiva, che "nel caso de quo, questo Giudice,preso atto del parere favorevole del PM, ritiene che la somma versata dall'imputato a favore della parte offesa possa ritenersi idonea alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato”.
Resta ancora un punto notevole da chiarire: quale sia il termine ultimo per porre in essere le condotte riparatorie volute dal Legislatore.
Orbene,se pure possa ammettersi in via astratta che il termine di tre mesi dell’art 35 sia sufficiente a “obbligare”il responsabile del reato alla definizione alternativa del procedi mento,tale termine risulterebbe incongruo in tutti i casi in cui il meccanismo risarcitorio è affidato dalla Legge a terzi, come nel caso delle lesioni derivanti da sinistro stradale.
In tali casi,il termine “breve” voluto dal Legislatore finirebbe con l’addossare all’autore del reato le conseguenze derivanti da un risarcimento non sollecito e comunque legato alla guarigione dalle lesioni della vittima oltreché agli accertamenti peritali compiuti dalla Compagnia Assicurativa conseguenti alla richiesta ricevuta e,comunque,difforme da quello più ampio previsto dalla Riforma Cartabia di sei mesi.
Anzi,si sostiene in dottrina (10) che lo sbarramento temporale fissato per l'esecuzione delle attività’ riparatorie e costituito dalla prima udienza di comparizione, finirebbe con il legittimare l’abuso del diritto della persona offesa di persistere nelle proprie pretese risarcitorie ponendo in essere comportamenti strumentalmente tesi a superare tale fase processuale senza acconsentire in nessun modo alla prestazione risarcitoria o ripristina toria, anzi ostacolandola di fatto allo scopo di celebrare ex abrupto il dibattimento (!!)
In tali casi,laddove non si raggiungesse un accordo extragiudiziale,la prima udienza di comparizione si risolverebbe solo in una mera formalità’ burocratica essendo limitata, di regola, a dar atto della mancata volontà’ del denunciante di rimettere la querela, senza attivarsi per cercare la transazione, per fissare il quantum debeatur o per evitare pretese risarcitorie delle volte eccessive, con conseguenze devastanti per l’applicazione della giustizia riparativa voluta dal Legislatore.
La norma, sotto tale profilo, appare del tutto carente specie se, in base alla indicazione di carattere generale contenuta nell’art.2,comma 2 del D Lgs 274/2000,atteso che il compito assegnato al Giudice di Pace penale è quello di “favorire, per quanto possibile,la conciliazione tra le parti”.
Il ruolo di mediazione penale affidato al Giudice di Pace appare rilevante in tali casi in quanto interviene,come ricordato, a prescindere dalla volontà punitiva della vittima del reato che viene sostanzialmente estromessa nella valutazione della congruità della condotta riparatoria dell’imputato, a differenza di quanto previsto dall’art.34.
Se,quindi,il Giudice è chiamato a svolgere tale importante ruolo nel corso della udienza di comparizione delle parti,a maggior ragione deve ritenersi che una preclusione di tale funzione nelle fasi successive,oltre a non trovare alcuna giustificazione derivante da un incolpevole quanto costruttivo atteggiamento assunto dall’imputato presso la Compagnia assicuratrice,finirebbe con lo svilire la portata del nuovo istituto anche per i riflessi sociali che riveste la tutela delle vittime della strada.
Resterebbe,quindi, affidato al Giudice di Pace l’esercizio di un potere definitorio ove ritenga che la condotta riparatoria posta in essere dall’imputato,sia pure sollecitando la propria compagnia di assicurazioni,non accolta dalla parte offesa che non intenda rimettere la querela e ponendo in essere condotte maliziose tendenti ad ottenere un risarcimento più elevato,sia invece da ritenersi “congrua” ai fini della estinzione del reato,anche alla luce degli accertamenti peritali svolti ma non ancora seguiti dall’accordo transattivo.
Tanto confermerebbe l’opinione dottrinale che il risarcimento in funzione riparatoria non possa essere assimilato tout court alla mera soddisfazione della richiesta proveniente dalla parte offesa, ma costituirebbe piuttosto un comportamento attivo dell'imputato, successivo al commesso reato, suscettibile di apprezzamento del Giudice che ne stima gli effetti sia sul piano dell'eliminazione del danno conseguente alla condotta criminosa, sia sotto il diverso profilo delle necessità di stampo prettamente punitivo e preventivo
Meglio sarebbe stato,quindi, ancorare la portata della norma anche alla dimostrazione da parte dell’imputato della esistenza di meccanismi risarcitori alternativi quanto oggettivi collegati a coperture assicurative a cui fare ricorso per un congruo ristoro dei danni subiti dalla parte offesa.
In definitiva ed in base alle considerazioni esposte,sarebbe auspicabile un efficace intervento legislativo chiarificatore che consenta l’estensione delle condotte riparatorie in casi particolari, all’intero giudizio e non solo alla prima udienza.(9)
NOTE
v.M Pavone “Dubbi di costituzionalità sulla applicazione della Giustizia Riparativa,in Riv Andreani
v.G. Mannozzi-Le giustizia senza spada – Giuffrè 2004
così,Abbamonte, Speciale tenuità del atto e condotte riparatorie, in Penale.it
Giudice di Pace di Lanciano,sentenza 15/3/2004, in Altalex .it
v. Abbamonte,op.cit.
v.Natalini,Condotte riparatorie,superabile il veto della persona offesa, in Litis.it
Cassazione , sez. IV, sentenza 04.05.2004 n° 34343
sentenza 143/04 del 18 giugno 2004
Legge n. 72 del 9 aprile 2003, in particolare l’articolo 3.
v. Natalini, op.cit.