La Giustizia Riparativa nella Esecuzione Penale

La Giustizia Riparativa nella Esecuzione Penale

Premessa

Nelle legislazioni occidentali la Giustizia Riparativa costituisce una nuova frontiera per una possibile risposta al reato che coinvolge il reo e, direttamente o indirettamente, la Comunità e/o la vittima, nella ricerca di possibili soluzioni riparatorie degli effetti dell’illecito e nell’impegno fattivo dell’autore del reato per la riparazione delle sue conseguenze.

Martedi 19 Settembre 2023

In tale ottica, il fenomeno criminoso viene letto non solo come trasgressione di una norma e lesione (o messa in pericolo) di un bene giuridico, bensì come evento che provoca la rottura di aspettative e legami sociali che richiede l’adoperarsi per la ricomposizione del conflitto e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo.

La rilevanza culturale, giuridica, operativa del tema appare di tutta evidenza alla luce dalla emanazione di documenti a livello internazionale ed,in particolare,della Raccomandazione (99)19 del Consiglio d’Europa, della Dichiarazione di Vienna del 2000 (X Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e il trattamento dei detenuti) e,sempre nel 2000.della Risoluzione sui principi base sull’utilizzazione dei programmi di Giustizia Riparativa in ambito penale (Economic and Social Council).

In particolare, la Raccomandazione del Consiglio d’Europa citata definisce come Gustizia Riparativa quel procedimento in cui "la vittima, il reo ed ogni altro individuo o membro della comunità,lesi da un reato,partecipano insieme attivamente alla risoluzione delle questioni sorte dall’illecito penale, generalmente con l’aiuto di un facilitatore"(o mediatore penale NdR ) ossia quel"procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato con l’aiuto di un terzo indipendente (mediatore)"

La normativa applicabile nella esecuzione penale

Fatta questa breve premessa, è opportuna l’indicazione delle norme dell’Ordinamento Penitenziario e le altre leggi vigenti in materia e la loro effettiva applicazione,al fine di operare un raccordo della Giustizia Riparativa con il trattamento e le attività rieducative nel nostro Paese,poiché,come sancito dall’art 27 della Costituzione,Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Innanzi tutto, un generico riferimento alla necessità di mediazione con la vittima si ravvisa nell' O.P. laddove esso prevede, all’art.47,comma 7, tra le prescrizioni dell’affidato in prova al servizio sociale,che questi “si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato” e che “la misura alternativa va adottata sulla base dei risultati della osservazione della personalità”.

Tale previsione va vista in relazione al contenuto dell’art. 27 del Regolamento penitenziario (DPR 30 Giugno 2000 n.230) relativo alla “osservazione della personalità” del condannato, che stabilisce che l’ Equipe di trattamento operante in carcere svolga con questi una riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative delle stesse per l'interessato e “sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato”, incluso il risarcimento dovuto alla persona offesa.

Il successive art.118 comma 8 del Regolamento prevede che gli operatori degli Uffici di esecuzione penale esterna si adoperino a favorire “una sollecitazione ad una valutazione critica adeguata, da parte della persona condannata, degli atteggiamenti che sono stati alla base della condotta penalmente sanzionata, nella prospettiva di un reinserimento sociale compiuto e duraturo”.

Occorre,inoltre,menzionare sullo stesso tema:

a. L’art.165 C.P.“Obblighi del condannato”,nel testo riformato dalla Legge 145/2004 che, nel considerare la sospensione condizionale della pena, ne indica la possibile subordinazione ad azioni riparatorie per le conseguenze dannose o pericolose del reato.

b. La Legge 24 novembre 1981 n. 689 “Modifiche al sistema penale”,che agli artt. 101e ss., sancisce la possibilità di prestare “lavoro sostitutivo”, consistente nella prestazione di una attività non retribuita a favore della collettività per la riparazione dei danni arrecati alla Comunità.

c. L’art 176 del C.P. che subordina l’ammissione alla liberazione condizionale “all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato”ed al ”sicuro ravvedimento del condannato”.

d. La Legge 9 agosto 2013 n. 94 (Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 1 luglio 2013 n. 78),recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena, che, nel modificare l'articolo 21 dell’O.P: “Lavoro all’esterno”, prevede che i detenuti possano fruire di tale beneficio anche per prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito, tenendo conto delle loro specifiche professionalità e attitudini lavorative, per la esecuzione di progetti di pubblica utilità in favore della Collettività, ovvero a prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito a sostegno delle famiglie delle vittime dei reati da loro commessi.

e. La Legge 28 aprile 2014 che,oltre a far riferimento a prestazioni di lavoro di pubblica utilità e a forme di risarcimento del danno e di restituzione, enuncia alcune condotte riparatorie attribuendo compiti precisi agli Uepe.

In particolare la legge,al Capo II - art 3, stabilisce che la messa alla prova “comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché,ove possibile,il risarcimento del danno cagionato dallo stesso”

Nel successivo punto,a proposito del programma di trattamento,si fa riferimento, tra l’altro, ad attività di volontariato di rilievo sociale e che la concessione del beneficio è subordinata a prestazione di lavoro di pubblica utilità, prestazioni non retribuite in favore della Collettività.

f. L’Art..4 punto b) della stessa Legge prevede,ancora,che nel programma di trattamento devono essere previste “le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità”.

g. Il successivo Art. 5 specifica che le funzioni dei servizi sociali vanno esercitate nei modi e con i compiti previsti dall’art.72/354 e chiarisce, al comma 3, che ”L’Ufficio trasmette… e riferisce specificatamente sulle possibilità economiche dell’imputato, sulla capacità e sulla possibilità di svolgere attività riparatorie nonché sulla possibilità di svolgimento di attività di mediazione, anche avvalendosi a tal fine di Centri o strutture pubbliche oprivate presenti sul territorio”.

h. L’art. 464 bis CPP,stabilisce,inoltre,che il “programma di trattamento,”elaborato d’intesa con l’U.E.P.E.,deve contemplare una serie di attività, prescrizioni e condotte,che rispondo no alle caratteristiche proprie della messa alla prova, così come sopra indicate, e che si sostanziano in:

- 1. Modalità di reinserimento sociale, che coinvolgono l’imputato e la sua famiglia, sempre che ciò sia necessario e sia di fatto possibile;

- 2.Prescrizioni comportamentali (anche inerenti la dimora, la libertà di movimento,il divieto di frequentare determinati locali) ed altri impegni specifici (tra cui le condotte riparatorie, restitutorie o risarcitorie, il volontariato) nonché prescrizioni attinenti il lavoro di pubblica utilità;

- 3. Condotte di mediazione con la persona offesa.

i. A tanto vanno aggiunte le modifiche introdotte dalla recente legge 30 dicembre 2022, n. 199, di conversione, con modifiche, del decreto-legge n. 162 del 31.10.2022,in tema di «divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia» il cui testo originario, durante il dibattito parlamen tare, è stato oggetto di alcune modifiche.

In particolare tali modifiche hanno riguardato l’art. 4-bis dell’O.P. e le norme in tema di liberazione condizionale introdotte con gli artt. 1-3 del decreto legge.

Tuttavia, merita amche di essere sottolineato che le norme approvate nel Dicembre 2022 hanno chiuso il lungo dibattito relativo alla costituzionalità delle preclusioni, tendenzialmente assolute, all’accesso a benefici penitenziari e misure alternative alla detenzione, ed in particolare quello sul c.d. “ergastolo ostativo”.

Ad una prima analisi, la legge di conversione ha escluso i delitti contro la pubblica amministrazione dagli elenchi dei delitti ostativi, eliminando la competenza collegiale del Tribunale di sorveglianza in tema di approvazione del programma di lavoro esterno e per la concessione di permessi premio per i condannati per particolari delitti ed ha esteso il regime transitorio, disciplinato dall'art. 3, comma 2, primo periodo del d.l. n. 162/2022,a tutti i benefici penitenziari ed, in particolare, quelli relativi al lavoro esterno e al permesso premio, oltre alle elencazioni delle nuove condizioni di accesso ai benefici penitenziari, misure alternative alla detenzione, liberazione condizionale e nuovi oneri per la difesa del condannato e quelli istruttori per il Giudice.

Inoltre l'art. 4-bis O.P. è stato ulteriormente arricchito dalla nuova Legge con l'introduzione del nuovo comma 1-bis. che stabilisce che: «Con il provvedimento di concessione dei benefici di cui al comma 1 possono essere stabilite prescrizioni volte a impedire il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o che impediscano ai condannati di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati o al ripristino di rapporti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.

A tal fine il Giudice può disporre che il condannato non soggiorni in uno o più comuni, o soggiorni in un comune determinato».

Rilevante è anche la modifica che riguarda un inciso dell'art. 3, comma 2, primo periodo, del d.l. n.162/2022 in sede di conversione e che prescrive:

«2. Ai condannati e agli internati che, prima della data di entrata in vigore del presente decreto legge, abbiano commesso delitti previsti dal comma 1 dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendano comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante,quando,nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall'articolo 62, numero 6,ed anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’articolo 114 ovvero dall'articolo 116, secondo comma, del codice penale, i benefici di cui al comma 1 dell'art. 4-bis della citata legge n. 354 del 1975 e la liberazione condizionale possono essere concesse,secondo la procedura di cui al comma 2 dell'articolo 4-bis della medesima legge n.354 del 1975, purché siano acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva».

Pertanto,tale prescrizione non riguarderà più soltanto «...le misure alternative alla detenzione di cui al capo VI del titolo della citata legge n. 354 del 1975 e la liberazione condizionale...», ma più in generale, «...i benefici di cui al comma 1 dell'art. 4-bis della citata legge n. 354 del 1975 e la liberazione condizionale...», ossia anche il lavoro esterno ed i permessi premio.

Infine il comma 1-bis della Legge stabilisce che: “I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai sensi dell'articolo 58-ter della presente legge, ai detenuti e agli internati per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, per i delitti di cui agli articoli 416-bis e 416-ter del codice penale, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, per i delitti di cui all'articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286, e per i delitti di cui all'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, (…).

Al fine della concessione dei benefici,”il Giudice accerta altresì la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della Giustizia Riparativa”.

Tale prescrizione,come innanzi ricordato,appare in linea con la introduzione della disciplina della Giustizia Riparativa per i detenuti e costituisce quel modello che ha la finalità di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione fra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo.

Nondimeno,per l’ammissione al procedimento,occorre tenere conto di fattori come la natura e la gravità del reato, il livello del trauma causato, la violazione ripetuta dell'integrità fisica, sessuale o psicologica della vittima, gli squilibri di potere, l'età, la maturità o la capacità intellettiva della vittima,che potrebbero limitarne o ridurne la facoltà di prendere decisioni consapevoli o che potrebbero pregiudicare l'esito positivo del procedimento riparatorio.

In tal senso anche la liberazione condizionale e l’affidamento in prova al servizio sociale offrono un possibile percorso di Giustizia Riparativa, che postulano un’offerta di una ulteriore opportunità trattamentale, come previsto più in generale dall’art. 27 del Regolamento Penitenziario.

Proprio alla liberazione condizionale è necessario dedicare prioritaria attenzione,in base alle analisi della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione circa il nesso tra il “sicuro ravvedimento” e “l’azione di riparazione” verso la vittima o i suoi familiari.

Mentre la liberazione condizionale, soprattutto nei casi in cui afferisce ad una pena per delitti di estrema gravità,che creano turbamento sociale,postula,ai fini del sicuro ravvedimento, una compiuta revisione critica del fatto,di cui non può che costituire riscontro un concreto atteggiamento riparativo, per converso,l’affidamento in prova al servizio sociale si limita ad innescare,ove possibile,attività che stimolino il condannato ad “adoperarsi in favore della Vittima”.

Tale considerazione va fatta con riferimento alla Giustizia Riparativa,introdotta nel nuovo art. 13 Ord. Penit., il cui terzo comma recita:

Nell'ambito dell'osservazione,è offerta all'interessato l'opportunità di una riflessione sul fatto criminoso commesso, sulle motivazioni e sulle conseguenze prodotte, in particolare per la vittima, nonché sulle possibili azioni di riparazione”.

Le innovazioni apportate dalla Riforma Cartabia

Sulla base di tali presupposti,con l’approvazione del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, in attuazione alla legge delega 27 settembre 2021, n. 134, è stata introdotta nell’Ordinamento una disciplina organica della Giustizia Rriparativa per l’efficienza del processo penale e per una celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti, come statuito dagli articoli da 42 a 67 del d.lgs. stesso.

La Giustizia Riparativa acquista, per la prima volta, una disciplina organica con la quale vengono dettate le norme regolatrici di questa delicata materia che dà attuazione alle molteplici disposizioni presenti in ambito europeo ed internazionale,innanzi ricordate.

La ratio del Legislatore è stata quella di rispondere ai deliberati sovranazionali che si evince dalla stessa formulazione dell’art.18 della Legge Delega che prescrive che i decreti legislativi delegati dovranno recare “una disciplina organica della Giustizia Riparativa quanto a nozione, principali programmi, criteri di accesso, garanzie, persone legittimate a partecipare, modalità di svolgimento dei programmi e valutazione dei suoi esiti, nell’interesse della vittima e dell’autore del reato” in base ai Principi base circa l’uso dei programmi di Giustizia Riparativa in diritto penale (Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters).

Invero,il principio più rilevante introdotto dalla Riforma è quello di prevedere la possibilità di accedere ai programmi di Giustizia Riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale e durante la esecuzione della pena.

Inoltre,la Riforma amplia notevolmente il concetto di Giustizia Riparativa, ricompren- dendo in esso sia strumenti che in realtà rientrano nell’alveo di quelli premiali e con indubbia valenza deflattiva del procedimento penale (come ad es. la messa alla prova), sia strumenti effettivamente tesi a ricomporre la doppia frattura sociale verificatasi con la commissione di un reato, nella fase esecutiva della pena, tra autore dell’illecito con la collettività intera e con la vittima del reato.

Sul punto l’art.43 del d. lgs. 150/2022 individuai i principi,gli obiettivi e le garanzie per i verso cui tende la nuova normativa che prevede

- la partecipazione attiva e volontaria al procedimento;

- l’eguale considerazione dell’interesse della vittima e della persona indicata come autore dell’offesa;

- il coinvolgimento della Comunità, poiché l’art. 45 consente la partecipazione ai programmi anche dei familiari della vittima e dell’autore del reato, nonché di enti e associazioni, poiché gli effetti del conflitto spesso si riverberano in ambiti più ampi di quelli reo-vittima;

- la riservatezza che costituisce la condizione indispensabile che assicura,da una parte, lato la genuinità dei percorsi riparativi siccome protetto dalla confidenzialità e, dall’altro, rende compatibile l’esperimento di un programma anche nella fase della cognizione facendo salva in primo luogo la presunzione di innocenza che, unita alla inutilizzabilità, assicura la genuina acquisizione della prova sia nella fase delle indagini che nella fase del processo;

- -l’indipendenza dei mediatori e la loro terzietà rispetto ai partecipanti, principio cardine delle pratiche di Giustizia Riparativa.

E’ importante segnalare,infine,due importanti criteri che, soprattutto per i Magistrati, dovranno guidare i loro interventi: 

1) che l’accesso ai programmi di Giustizia Riparativa può essere limitato soltanto in caso di pericolo concreto per i partecipanti derivante dallo svolgimento del programma stesso (art. 43 co.4).

Il principio internazionale di libera accessibilità ai programmi riparativi è tendenzialmente assoluto ma vede come unico limite il pericolo per l’incolumità dei partecipanti e, dunque, il Giudice potrà impedire l’accesso ai Centri allorché dalla partecipazione stessa al programma possa derivare un qualche concreto pericolo all’autore del reato (come prevede il nuovo art. 129 bis co.3 CPP);

2) che la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa (art. 58 co. 2).

Questo significa che nell’ambito del procedimento penale solo il raggiungimento di un “esito riparativo” può svolgere alcuni effetti a favore dell’imputato e del condannato, essendo l’intera disciplina dal divieto di valutazione in malam partem dell’eventuale fallimento del programma, colpevole  o incolpevole che possa essere.

All’Autorità giudiziaria sono inoltre comunicate la mancata effettuazione del programma, l'interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo (art. 57).

È infine previsto che l’Autorità giudiziaria valuti lo svolgimento del programma e l’eventuale esito riparativo per le determinazioni di competenza, anche ai fini di cui all’art. 133 c.p. (Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena), fermo restando che la mancata effettuazione del programma, l'interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non possono comunque produrre effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell'offesa.

Si può,quindi,ritenere che tale impostazione normativa di un principio fondamentale già a livello sopranazionale renda perfettamente compatibile l’innesto della Giustizia Riparativa con i principi regolatori del procedimento penale italiano primo fra tutti quello della presunzione di innocenza(art 27 Cost. cit.)

La normativa si occupa anche della disciplina che riguarda i diritti, le garanzie e di doveri dei partecipanti, i doveri dei mediatori, lo svolgimento dei programmi, quella sulla valutazione dell’esito dei programmi da parte dell’Autorità giudiziaria,gli innesti processuali e sostanziali e sulle leggi speciali, la esecuzione penale,con l’introduzione di un nuovo articolo 13 nell’O.P, innanzi ricordato. ed, infine, la formazione e i requisiti dei mediatori esperti di mediazione penale anche tra gli Operatori Penitenziari, come auspicabile..

Il Legislatore ha provveduto, altresì, a raccordare la disciplina della Giustizia Riparativa con le disposizioni del codice penale.

A tal proposito si segnalano, in partico lare:

  • L’introduzione all’art. 62, co. 1, n. 6), c.p. che aggiunge alle circostanze attenuanti comuni anche «l'avere partecipato a un programma di Giustizia Riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo. Qualora l'esito riparativo comporti l'assunzione da parte dell'imputato di impegni comportamentali, la circostanza è valutata solo quando gli impegni sono stati rispettati» (art. 1).

  • l’inserimento della partecipazione a un «programma di Giustizia Riparativa concluso con un esito riparativo» tra i presupposti applicativi della sospensione condizionale della pena c.d. «breve» o «speciale» di cui all’art. 163, co. 4, c.p. (art. 1).

Sono state raccordate alla disciplina della Giustizia Riparativa anche le disposizioni del codice di Rito con riguardo a:

  • L’inserimento del riferimento alla «facoltà di accedere ai programmi di Giustizia Riparativa» nelle diverse disposizioni che disciplinano i diritti informativi dell’indagato/imputato e della persona offesa;

  • L’introduzione dell’art. 129-bis CPP.,secondo il quale in ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria può disporre anche d’ufficio l’invio dell’imputato e della vittima del reato al Centro per la Giustizia Riparativa, per l’avvio di un programma di Giustizia Riparativa (mentre nel corso delle indagini provvede il P.M.).

  • La norma prevede, inoltre, che in seguito all’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, per i reati procedibili a querela rimettibile, l’indagato/imputato possa richiedere la sospensione del procedimento per lo svolgimento di un programma di Giustizia Riparativa (art. 7).

  • La previsione che anche lo svolgimento di programmi di Giustizia Riparativa rientri, all’art. 464-bis CPP,tra i contenuti del programma di trattamento da allegare alla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.

  • La mediazione nella esecuzione penale

Dopo la esposizione dei principi generali innanzi esposti,occorre dedicare l’attenzione alla fase della esecuzione della pena,che può avviarsi davvero a diventare la extrema ratio della politica criminale, ed alla mediazione penale che può costituire un efficace strumento da coniugare con le esigenze di risocializzazione della pena e con il perseguimento di obiettivi di prevenzione generale e speciale.

In conseguenza,se in base alla concezione tradizionale, nella fase della esecuzione della pena l’attenzione è stata sempre focalizzata sul condannato, alla sua risocializzazione ovvero alla rieducazione attraverso il percorso di espiazione, con la Riforma l’attenzione in sede di esecuzione della pena si sposta anche sulla vittima del reato,che diviene protagonista nel percorso di riconciliazione del condannato.

In particolare,con riguardo alla pena, la Riforma prevede un ventaglio di pene sostitutive delle pene detentive brevi, già introdotte dalla Legge 689/1981, rf individuate nella semilibertà, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità, la pena pecuniaria.

Occorre,tuttavia,mettere in risalto che, in ragione della possibilità di applicare quelle che sino ad oggi erano «misure alternative alla detenzione», l’oggetto del processo penale dovrà essere ampliato per ricomprendere una più approfondita indagine sulla personalità dell’imputato e la formulazione di ipotesi trattamentali dei condannati.

Tale estensione degli ambiti del giudizio di cognizione è resa necessaria da un’altra rilevante innovazione normativa:l’innalzamento da due a quattro anni della soglia massima di pena sostituibile con la semilibertà o la detenzione domiciliare (con il limite, invece, di tre anni per i lavori di pubblica utilità e di un anno per la pena pecuniaria). 

Inoltre,la sospensione condizionale della pena, ad esempio,va «ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133, il Giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati» (art. 164 CP); la misura di sicurezza, viceversa,sarà applicabile soltanto «quando è probabile che chi ha commesso un fatto previsto dalla legge come reato ne commetta di nuovi>(art. 203 CP). 

L’introduzione della semilibertà, della detenzione domiciliare (e in parte dei lavori di pubblica utilità) nel novero delle sanzioni sostitutive, tuttavia, impone un giudizio sull’astensione del reo dalla recidiva, ma anche una valutazione sulla idoneità della misura sostitutiva (come pure della pena pecuniaria) per favorire il percorso di reintegrazione sociale del condannato. 

Tale cambiamento di impostazione è sancito nella lett. c del citato art. 1, comma 17 della Legge Delega,che affida al Legislatore delegato il compito di «prevedere che le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi possano essere applicate solo quando il Giudice ritenga che esse contribuiscano alla rieducazione del condannato e assicurino, anche attraverso opportune prescrizioni, la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati». 

In conseguenza, la Riforma non poteva che procedere allo smantellamento del sistema di sanzioni sostitutive,delineato dalla legge n. 689/1981.

Abolite la semidetenzione e la libertà controllata,mai passate dalla lettera della legge alla realtà delle aule giudiziarie la Legge Delega incarica l’esecutivo di prevedere, quali sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, la semilibertà, la detenzione domiciliare, i lavori di pubblica utilità e la pena pecuniaria (lett. b). 

La lettera e) disciplina,inoltre,le soglie edittali della pena detentiva sostituibile e le corrispondenti sanzioni applicabili.

Se il Giudice, in sede di condanna o di applicazione della pena,ai sensi dell’art. 444 CPP, riterrà di dover determinare la pena nei limiti di quattro anni,potrà sostituirla con la semilibertà o la detenzione domiciliare; entro la soglia dei tre anni, viceversa, lo stesso Giudice potrà optare anche per i lavori di pubblica utilità, mentre la pena pecuniaria verrà utilizzata in sostituzione di pene della durata di un anno.

Va segnalato,tuttavia,che la sospensione condizionale della pena non potrà più essere disposta in caso di applicazione delle pene sostitutive (lett. h).

La semilibertà e la detenzione domiciliare troveranno la loro disciplina sostanziale e processuale anche nelle relative disposizioni dell’O.P. e di tali disposizioni il Lgislatore dovrà tener conto anche nella disciplina delle condizioni soggettive di accesso alle pene sostitutive, in modo tale da realizzare un “coordinamento” con le preclusioni relative alle misure alternative (lett. d e f).

Alle sanzioni sostitutive applicabili su larga scala, purché nel limite di tre anni di durata della pena detentiva, si aggiungono ora i lavori di pubblica utilità, i quali hanno di recente conosciuto una stagione fiorente a seguito degli interventi legislativi che ne hanno previsto l’utilizzabilità in funzione di pena sostitutiva (ma anche della pena pecuniaria) per i reati di guida in stato di ebbrezza, guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e nei delitti di droga di lieve entità (ma a condizione che l’autore sia tossicodipendente).

La Legge Delega sancisce espressamente che la prestazione di un’attività non retribuita in favore della collettività – la cui disciplina sarà mutuata dal d.lgs n. 274/2000 – debba avere durata corrispondente a quella della pena detentiva sostituita (lett. f) e possa essere disposta d’ufficio dal Giudice, anche in sede di patteggiamento o decreto penale di condanna, a condizione che il condannato non si opponga. 

Il positivo svolgimento dei lavori di pubblica utilità,applicati con la sentenza ai sensi dell’art. 444 CPP o con decreto penale di condanna, se accompagnato dal risarcimento del danno o dall’eliminazione delle conseguenze dannose del reato, determinerà inoltre la revoca della confisca eventualmente disposta, eccezion fatta per i casi di confisca obbligatoria (lett. i).

La vera novità della cornice legislativa delineata sta nel fatto che viene sottratta centralità alla pena carceraria,in quanto la semilibertà e la detenzione domiciliare non potranno più essere catalogate tout court alla stregua di misure alternative alla detenzione,ma diventano pene sostitutive e potranno essere irrogate sempre prima del passaggio in carcere da parte del condannato, evitando l’innescarsi di processi di emarginazione dell’individuo detenuto che, oltre ad avere un impatto non positivo sulla recidiva, creano non pochi problemi di ordine sociale, familiare e lavorativo al condannato, nel momento del suo rientro nella società dopo aver espiato una pena carceraria.

Tali sanzioni sostitutive evitano il passaggio in carcere, a differenza delle misure alternative alla detenzione, che presuppongono invece la centralità del sistema carcerario e che demandano al giudice di sorveglianza il compito di decidere in sede esecutiva se un condannato può uscire dal circuito carcerario o non deve entrarvi.

Sta di fatto che a disciplina organica delle misure alternative alla detenzione- affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare e la semilibertà- introdotte con la legge. 354/1975, hanno finora rappresentato forse l’unica riforma organica della materia penitenziaria.

Fondate in linea di principio sulla esigenza rieducativa della pena, le misure alternative hanno finito in pratica per essere degli strumenti di tenuta dell’attuale sistema penale incentrato sul carcere, demandando in sede esecutiva al Magistrato di Sorveglianza le decisioni relative allo sfoltimento degli Istituti Penitenziari.

Con la Riforma la semilibertà e la detenzione domiciliare, dunque, potranno essere applicate, non più in via esclusiva dal Tribunale di Sorveglianza in sede di esecuzio ne della pena, ma anche dallo stesso Giudice di merito direttamente, all’esito del giudizio di cognizione, in sostituzione di una pena detentiva breve, quando ritenga che esse possano contribuire alla rieducazione del condannato e siano idonee a contenere il pericolo di recidiva, anche attraverso opportune prescrizioni.

Vale la pena sottolineare che la previsione di prescrizioni da adempiere a carico del condannato, da parte dell’organo giudicante che irroga la sanzione penale nella forma della semilibertà o della detenzione domiciliare, può servire a coniugare nella fase esecutiva della pena, le esigenze di recupero sociale del condannato con quelle di riparazione del danno subito dalla vittima del reato.

Valenza fortemente riparatoria va inoltre riconosciuta alla previsione in base alla quale, in sede di emanazione di decreto penale di condanna, sia la pena detentiva che quella pecuniaria, possono essere sostituite dal giudice con quella del lavoro di pubblica utilità, laddove il condannato non si opponga.

Ratio della normativa approvata è quella che la crisi del modello tradizionale penale fondato sul carcere impone di tentare nuove strade di politica criminale.

E’ indubbio infatti che la pena carceraria è afflitta da numerose ragioni di crisi: il sovraffollamento delle prigioni, che pone problemi di ordine umanitario che non appaiono risolvibili semplicisticamente con la costruzione di ulteriori edifici da adibire a istituti penitenziari; il risultato statisticamente modesto della effettiva rieducazione dei condannati durante il percorso di espiazione in carcere; l’abbrutimento dei detenuti conseguente alla negazione della affettività in carcere in molte sue espressioni, compresa quella della sessualità.

Si pongono inoltre interrogativi sulla efficienza della pena carceraria, ovvero della sua effettiva utilità in termini di rieducazione e di recidiva, in quanto dati empirici dimostrano che il circuito carcerario finisce per alimentare se stesso, producendo altra criminalità, nonché sulla effettività della pena detentiva, dato che “solo una parte delle pene minacciate a gran voce dal Legislatore” sono destinate a trovare una reale esecuzione, per la operatività di meccanismi giuridici quali la prescrizione delle pene e/o le misure alternative.

La formazione degli Operatori Pennitenziari

Occorre,quindi,fornire senza indugio agli Operatori del sistema carcerario una nuova formazione su queste innovazioni essenziali all’avvio della Giustizia Riparativa e della Mediazione Penale.

Tutti colori che, per le loro funzioni istituzionali o professionali e per il loro impegno in servizi di assistenza delle vittime o di giustizia riparative, possono entrare in contatto con le vittime e che siano coinvolte nella valutazione individuale delle stesse, devono ricevere una formazione specifica sia sulle modalità della valutazione sia sui servizi cui inviare le vittime come sancito dalla direttiva Europea del 2012 che stabilisce:

Gli Stati membri devono pertanto provvedere..che. anche i funzionari suscettibili di entrare in contatto con la vittima,quali agenti di polizia ei personale giudiziario, ricevano una formazione sia generale che specialistica, di livello appropriato al tipo di contatto che intrattengono con le vittime…”e rispettino le norme professionali per garantire che i loro servizi siano forniti in modo imparziale, rispettoso e professionale. Devono altresì raccomandare ai responsabili della formazione di giudici,pubblici ministeri e avvocati, di sensibilizzarli alle esigenze delle vittime”.(così la Direttiva 2012/29/UE)

Il d. lgs. 150/2022 introduce,inoltre,una disciplina di dettaglio relativa alla formazione dei mediatori e ai requisiti per l’esercizio dell’attività (artt. 59-60), nonché ai «Servizi per la Giustizia Riparativa» (artt. 61-67).

Al Ministero della Giustizia compete il coordinamento nazionale dei servizi per la Giustizia Riparativa,della Formazione dri Mediatori esperti e soprattutto l’istituzione dei Centri per la Giustizia Riparativa (presso gli enti locali), che dovranno assicurare livelli essenziali e uniformi delle prestazioni dei servizi avvalendosi di mediatori esperti dell’ente locale, ovvero di enti del terzo settore, o stipulando contratti di appalto o convenzioni.

La Riforma ha,comunque,attribuito ampi poteri al Giudice, il quale è chiamato a svolgere una funzione di “filtro” dei casi da trasmettere ai Centri per la Giustizia Riparativa.

Infatti, ai sensi del nuovo articolo 129 bis CPP., il Giudice, con ordinanza, dispone l’invio dell’imputato e della vittima presso i Centri di cui sopra per l’avvio di un programma di Giustizia Riparativa su richiesta dell’imputato, della vittima o d’ufficio, qualora reputi che lo svolgimento di un programma riparativo possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti,come innanzi esposto in dettaglio.

Infine, il Giudice, che da comminatore di pene inflitte e subìte si colloca, anche grazie alla Giustizia Riparativa,su un piano diverso, compiendo - senza perdere minimamente la sua neutralità - il difficile e prezioso cammino verso una ricomposizione che riqualifica sia il senso di un processo giusto che il senso stesso della pena inflitta.

Conclusioni

Restano due brevi osservazioni.

In primo luogo,con questa disciplina organica possiamo finalmente affermare, chiarendo un diffuso equivoco ancora esistente, che cosa “non è” Giustizia Riparativa.

Non lo sono il risarcimento del danno, i lavori di pubblica utilità, le attività di volontariato sociale, la probation propriamente detta (quella processuale della messa alla prova e quella in executivis dell’affidamento in prova al servizio sociale).

Dovremo dunque abituarci sempre più alla distinzione terminologica tra “riparativo” e “riparatorio”, tenendo presente che se il risarcimento del danno lo può effettuare solo chi ha mezzi economici sufficienti, mentre la riparazione invece la può attuare chiunque.

Va fatta,tuttavia,un’ultima osservazione su tali innovazioni.

Il successo di questa sfida non potrà prescindere dal nuovo ruolo cui sono chiamati gli avvocati, i quali non solo dovranno saper accompagnare i loro assistiti “in un percorso di seria informazione tecnica, in vista di una scelta approfondita e responsabile, in modo da evitare il rischio di adesioni apparenti o scarsamente consapevoli”,ma soprattutto dovranno far emergere tutti gli elementi indispensabili per la costruzione della “pena-programma”, la più adatta possibile alle esigenze di vita e familiari dell’imputato.

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