Con sentenza n°681 pubblicata il 9 giugno 2025, il Tribunale di Teramo ha stabilito che l’assemblea condominiale non ha il potere di deliberare sulla manutenzione dei balconi privati e la decisione assunta in sua violazione è da considerarsi radicalmente nulla.
Lunedi 21 Luglio 2025 |
Tra le liti più ricorrenti in ambito giudiziario, stante la vastità degli argomenti suscettibili di incendiare gli animi in assemblea, un posto sul podio spetta sicuramente a quelle condominiali.
I rumori e/o gli odori molesti provenienti dai “vicini” (dall’abitazione del portiere alle attività commerciali svolte da negozi al piano strada ..), l’utilizzo individuale ed arbitrario di parti comuni (androni, corridoi, marciapiedi, aree garage/cantina..), il recupero delle quote dei morosi, sono solo alcuni dei motivi che ad ogni riunione di condominio rischiano di mettere a dura prova anche il più solido dei rapporti interpersonali.
Sulle varie ed indeterminate sopra sommariamente elencate occasioni di lite, si eleva poi per frequenza ed intensità la questione delle ripartizioni delle spese per manutenzione e restauro delle facciate dei palazzi ed ancora, tra queste, quella specifica dei balconi, con i loro molteplici, diversamente deteriorabili elementi strutturali (solette, gocciolatoi, parapetti, fioriere, frontalini, stangoni etc..).
A complicare la già non semplice situazione interpretativa contribuisce infine la diversa tipologia dei balconi i quali, come noto, si possono suddividere in aggettanti ed incassati, soggiacendo ciascuno a diversa disciplina regolamentare.
Ebbene, nella sentenza in esame due condòmine avevano impugnato il rendiconto approvato dall’assemblea -da quelle volontariamente disertata- nel quale l’amministratore aveva ripartito tra tutti i condomini le spese sostenute per la manutenzione dei balconi aggettanti.
Le attrici, contestando di non aver mai dato il loro assenso all’approvazione dei lavori, sostenevano essere i balconi de quibus di proprietà privata e quindi, come tali, non soggetti al potere dispositivo dell’assemblea, della quale delibera chiedevano dichiararsi l’invalidità.
Il tribunale teramano, rifacendosi alla giurisprudenza dominante e qualificando come nulla la delibera impugnata, aderiva alla tesi delle attrici e ne accoglieva la domanda.
Venendo alle differenze tra i due tipi di balconi menzionati, per definizione ormai consolidata i balconi aggettanti, come il termine stesso suggerisce, sono quelli che sporgono rispetto a muri perimetrali dell’edificio, che consentono l’affaccio da tre lati e che non hanno alcuna struttura o nessun elemento architettonico che li collega fisicamente agli altri balconi.
I balconi aggettanti appaiono in effetti come sospesi nel vuoto e, fuoriuscendo dalla parete dell’immobile, rappresentano una proiezione esterna dell’appartamento di talché, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità “.. soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole” (Cass. 14756/2004; conf. Cass. 23 settembre 2003 n. 14076).
Più in particolare, e senza lasciare adito a molti spazi interpretativi, la Corte di Cassazione sul punto ha esaustivamente stabilito che: “I balconi aggettanti di un edificio in condominio costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa: solo i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si devono considerare beni comuni a tutti i condomini, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. Quanto ai rapporti tra il proprietario del singolo balcone e il proprietario di analogo manufatto, posto al piano sottostante sulla stessa verticale, deve escludersi una presunzione di proprietà comune del balcone stesso. Ancorché, infatti, in una tale evenienza possa riconoscersi alla soletta del balcone funzione di copertura, rispetto al balcone sottostante, trattasi di copertura disgiunta dalla funzione di sostegno e, quindi, non indispensabile per l’esistenza stessa dei piani sovrapposti, per cui non può parlarsi di elemento a servizio di entrambi gli immobili. (Come si verifica, invece, se i balconi stessi siano incassati nel corpo dell’edificio, atteso che in quest’ultima eventualità i vari balconi sovrastanti svolgono contemporaneamente funzione sia di separazione sia di copertura sia di sostegno)” (Cass. civ. Sez. II,30/07/2004, n. 14576).
Non essendo la giurisprudenza sin qui mutata, può dunque e senza tema di smentita ad oggi concludersi che, in caso di balcone aggettante, sarà il condòmino a provvedere e ad assumersi le responsabilità per i danni derivanti dall’omessa manutenzione del bene, residuando al condominio gli obblighi di custodia e conservazione di tutti quegli elementi di facciata, come sopra accennati, idonei ad incidere sul decoro architettonico dello stabile.
Va detto che la mancata, dettagliata elencazione legislativa degli elementi decorativi, così come la difficoltà di compendiare in cataloghi oggettivi fattispecie diverse, come tali suscettibili di diverse umane valutazioni, non impediscono l’insorgere dei cennati contrasti condominiali.
Certo è che per la rimozione delle situazioni pericolose che dovessero verificarsi, al condominio è sempre fatta salva la possibilità, anzi il dovere, di far intervenire la pubblica autorità (vigili urbani, vigili del fuoco ..) fino all’ipotesi, nei casi pericolo e di urgenza di intervento (per distacchi di cornicioni, intonaci etc..) di agire per le vie giudiziali (danno temuto, provvedimento d’urgenza..) sì da ottenere dal Tribunale i più idonei provvedimenti atti ad obbligare il proprietario del balcone a prendere tutte le misure più idonee a ripararlo, a tutte naturalmente sue cure spese.
Quanto ai balconi incassati, anche qui la definizione stessa indica che questi non sporgono rispetto ai muri perimetrali restando, per l’appunto, incassati nel corpo dell’edificio e consentono l’affaccio solo su un lato, oppure su due, in caso di balconi “a forma di L”.
Il balcone incassato, pertanto, non sporge dall’edificio, cosicché la sua pavimentazione costituisce per l’inquilino del piano di sotto un vero e proprio soffitto e la soletta è in comproprietà tra il proprietario del piano superiore e quello del piano inferiore; in questo caso, dunque, e come anticipato dalla sentenza ultima citata, trova applicazione la particolare regola di cui all’art. 1125 c.c. prevista per la ripartizione delle spese dei soffitti, secondo la quale “Le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto”.
Altro aspetto rilevante riguarda invece, la parte frontale dei balconi incassati che, nella maggior parte dei casi, non sporgono dal perimetro della facciata e come tali sono parte integrante della stessa.
La facciata infatti, ai sensi dell’art. 1117, comma 1, n. 1, cod. civ., va ricompresa nei beni comuni dell’edificio condominiale, ragion per cui le spese per la sua manutenzione saranno ripartite tra tutti i condomini in misura proporzionale al valore millesimale della proprietà di ciascuno.
Tornando alla sentenza in esame, appare qui il caso di evidenziare il percorso logico che ha indotto il Tribunale di Teramo a qualificare nulla, piuttosto che annullabile, la delibera impugnata, partendo da un breve excursus sulle rilevanti differenze che nullità e annullabilità comportano in ordine ai termini di impugnazione, alla struttura ed agli effetti della sentenza.
Quanto ai termini, innanzitutto, ricordiamo che quello per impugnare è limitato a soli trenta giorni, in caso di annullabilità, mentre non è soggetto a decadenza in ipotesi di nullità.
Per quel che riguarda la loro struttura, invece, si possono definire nulle le delibere assembleari prive degli elementi essenziali, quelle con oggetto impossibile o illecito, quelle con oggetto che non rientra nella propria competenza, quelle che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, nonché quelle comunque invalide in relazione all'oggetto; diversamente, devono ritenersi annullabili le delibere che presentino vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore al quorum prescritto dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali o adottate in violazione di prescrizioni legali, convenzionali o regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, nonché quelle che violano norme richiedenti maggioranze qualificate in relazione all'oggetto.
In ordine agli effetti, infine, la sentenza che pronuncia la nullità di una assemblea condominiale è di tipo dichiarativo, con effetti ex tunc della delibera mentre, in caso di annullabilità, la sentenza ha natura costitutiva e gli effetti della volontà assembleare si producono ex nunc soltanto a partire dalla pubblicazione del provvedimento giudiziale.
Ebbene riportando i predetti principi al caso in esame il Tribunale di Teramo, rifacendosi ad una sentenza della Sezioni Unite della Corte di Cassazione (N° 9839/2021), ha quindi affermato che “.. esistono categorie nel mondo del diritto, che non sono monopolio del legislatore, ma scaturiscono spontaneamente dal sistema giuridico, al di fuori e prima della legge: accanto alle ipotesi di annullamento, pertanto, devono essere mantenute, quali nullità, le ipotesi in cui sussistano quei vizi talmente radicali da privare la deliberazione di cittadinanza nel mondo giuridico”.
In ordine all’impossibilità giuridica dell’oggetto, ha poi osservato il Giudice di Teramo, l’assemblea, quale organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni; essa è abilitata ad adottare qualunque provvedimento, anche non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio (avendo le attribuzioni indicate dall’art. 1135 c.c. carattere meramente esemplificativo), purché destinato alla gestione delle cose e dei servizi comuni e, pertanto, essa non può perseguire finalità extracondominiali né può occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini, perché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell’edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell’assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi.
Nel caso di specie, ha concluso il Tribunale, applicando i principi di diritto appena richiamati, ed accertata la natura privata dei balconi aggettanti pertinenziali, qualificabili come estensione dell’unità immobiliare su cui insistono (e, in quanto tali, beni di proprietà esclusiva del proprietario dell’immobile – cfr. Cass. Civ., sent. n. 13509/2012), la pretesa dei condomini riuniti in assemblea di ripartire fra tutti le spese di restauro rende la delibera nulla in parte qua.