La Cassazione ha escluso profili di incostituzionalità dell’impugnazione dell’Ordinanza di diniego dell’accesso alla Giustizia Riparativa,da più parti lamentata in Dottrina con varie motivazioni.
Martedi 21 Gennaio 2025 |
La Corte, con la sentenza n.131/2025, ha rigettato il ricorso con il quale è stata eccepita l’incostituzionalità delle nuove disposizioni della Riforma Cartabia in quanto non consentirebbero di ricorrere contro il diniego del Giudice all’accesso allo strumento alternativo di definizione del processo, fatta eccezione nel caso di reati perseguibili a querela di parte per dove tra l’altro l’istanza di accesso sospende il processo.
La Cassazione ha negato,con la decisione in commento, che la eccepita violazione dei diritti costituzionali di uguaglianza e quelli della ragionevole durata del processo,in base alla distinzione operata dalla Riforma tra reati procedibili d’ufficio e quelli in base a querela facendo rilevare,in primis,che l’Ordinanza di diniego è “comunque impugnabile”con la sentenza e che la distinzione operata dal Legislatore è giustificata dal fatto che,nei reati rimettibili ia querela,l’esito positivo del programma riparativo estingue il reato.
Pertaanto, anche il tempo di sospensione “automatica” del procedimento nel caso dei reati perseguibili a querela è ricompensato in termini deflattivi della macchina della giustizia dall’esito positivo del programma che pone fine al processo.
Tuttavia,la richiesta di accesso alla giustizia riparativa può essere avanzata in qualsiasi grado e fase del giudizio penale,compreso nel giudizio di rinvio conseguente all’annullamento di una decisione in sede di legittimità,poiché di tratta di una decisione che riassume piena rilevanza nell’ambito del giudizio di cognizione che risorge pienamente di fronte al Giudice del rinvio, anche in relazione alla maturazione o meno dei presupposti (rectius, dell’utilità) della richiesssta, consentendo di dare accesso all’imputato alla nuova forma deflattiva della riparazione.
Da tali considerazioni deriverebbe, comunque l’impugnabilità dell’Ordinanza di diniego anche se,a differenza dei reati rimettibili a querela,l’istanza non sospende il processo e l’eventuale impugnazione del diniego del giudice all’invio al programma è ammessa solo unitamente all’impugnazione della sentenza che definisce il grado di giudizio.
In particolare la difesa dell’imputato aveva dedotto la incostituzionalità degli artt.129 bis e 586 cod. proc. pen.in relazione agli artt. 24,27 comma terzo e 111 Cost. laddove non prevedono la espressa possibilità di impugnare la ordinanza con la quale il giudice decide sulI'invio dell'imputato ad un programma di giustizia ripara tiva con la conseguenza che
La ritenuta non impugnabilità del provvedimento in esame compromette irrimediabilmente il diritto dell’indagato/imputato ad ottenere un controllo sul provvedimento di mancato invio e il diritto di provare a rimuovere l'esito di un provvedimento per lui pregiudizievole che incide sui suoi diritti soggettivi.
Il mancato invio in caso di condanna avrebbe inevitabili riflessi sfavorevoli sul piano del trattamento sanzionatorio.
Con i motivi aggiunti in data 6 novembre 2024, la difesa ha sollecitato la Suprema Corte a verificare la sussistenza dei presupposti per sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 129 bis c.p.p.,nella parte in cui limita il potere di sospensione del processo ai reati perseguibili a querela e più precisamente per la violazione del principio di uguaglianza dinanzi alla Legge,il diritto di difesa, ed il diritto al giusto processo ed,infine,il principio della funzione rieducativa della pena ex artt. 3, 24, 27, co.3 e 111 Cost.
La Suprema Corte in base alle considerazioni contenute nel ricorso ha, quindi,emanato la sentenza in questione al cui contenuto si rinvia.(v. in calce).
Invero,la norma dell’art 129-bis ha sempre suscitato nella Dottrina notevoli perplessità in relazione alla sua controversa applicazione processuale.
Tali opinioni troverebbero fondamento nella previsione,contenuta nello art.129-bis CPP,di consentire all’Autorità Giudiziaria procedente(Pubblico Mini stero e Giudice)di accogliere ovvero negare l’accesso alla Giustizia ripartiva a giudizio insindacabile degli stessi con una Ordinanza non impugnabile.
Si teme,inoltre,che così procedendo,l’Autorità Giudiziaria sia dotata di un improprio strumento di pressione sulle legittime opzioni di strategia difensiva spettanti all’imputato e la convinzione che risultino violate la presunzione di innocenza, la parità tra le parti e il diritto di difesa,costituzionalmente tutelate, oltre alle ragioni delle Vittime coinvolte.
Inoltre,alcuni autorevoli commentatori hanno messo in dubbio,in base ai principi costituzionali del c.d. “Giusto Processo”,la legittimità della scelta legisla tiva di rendere operante la normativa già nella fase della cognizione,vale a dire prima che la responsabilità per il reato contestato sia stata accertata in via definitiva e,comunque,non in base ad un ravvedimento effettivo dell’ impu tato,prima o dopo la condanna e la espiazione di parte della pena nei casi più gravi che suscitano allarme sociale,mancando nella norma un apposito richiamo in tal senso..
A tanto aggiungasi che competerebbe solo al Giudice (o al Pubblico Ministero) “valutare,in senso positivo,se il programma di Giustizia ripartiva, prospettato dall’imputato,possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto di reato ed escludere,in negativo,che l’invio possa compor tare pericolo concreto per gli interessati o frustrare l’acquisizione della prova in funzione dell’accertamento dei fatti”(v.Relazione Ufficio del Massimario vrebbe della Suprema Corte di Cassazione, pag. 321),fermo restando che, stante il principio di tassatività delle impugnazioni,non è possibile proporre alcun rimedio avverso un siffatto provvedimento,atteso che il precetto normativo in esame non ne prevede alcuno.
Sta di fatto che viene,in tal modo,riconosciuto una sorta di “potere” di iniziativa per spingere l’indagato/imputato e la Vittima ad intraprendere un per corso ripartivo ma,nel contempo,un potere di veto che mal si concilia con la volontà del Legislatore di introdurre una composizione amichevole del procedi mento penale che giovi alle ragioni morali ed economiche delle Vittime del reato,sulla base di una volontà unanime manifestata senza alcuna costrizione di sorta.
Va pure ricordato che la norma non prevede neppure alcun diritto di opposizione anche per la Vittima,neppure in presenza della gravità del reato commesso dall’imputato,il che rende possibile fruire del procedimento “inaudita altera parte” con grave violazione dei diritti alla stessa spettanti e,come tali, ampiamente riconosciuti dalla stessa Riforma.
Sempre contando su una amichevole composizione,la norma dispone che, nel “caso di reati perseguibili a querela soggetta a remissione e in seguito all’emissione dell’avviso di cui all’articolo 415-bis, il Giudice, a richiesta dello imputato,può disporre con Ordinanza la sospensione del procedimento o del processo per lo svolgimento del programma di Giustizia riparativa per un periodo non superiore a centottanta giorni”, senza tenere conto della volontà della Vittima ma compiendo un vero atto di fede nella volontà delle Parti di addivenire ad una conciliazione attraverso la Mediazione Penale..
In conseguenza,si sarebbe,comunque,in presenza di una disparità di trattamento tra l’imputato ed i Familiari della Vittima,che lascia alquanto perplessi sulla legittimità costituzionale della decisione,siccome assunta in spregio al principio di parità fra le parti ex art.111 comma 2 della Costitu zione,che disciplina il c.d. Giusto Processo(!!).
Nondimeno,è opinione prevalente,in Dottrina,che il vulnus arrecato ai principi costituzionali sia così grave da risultare non rimediabile se non rimuo vendo in toto la impostazione legislativa (!!).
Una così drastica valutazione risulta fondata,nei commenti,sul mecca nismo processuale introdotto dall’art. 129-bis CPP,già oggetto di un più ampio commento sulle pagine di questa stessa Rivista.
Come innanzi enunciato,l’avvio di un percorso di Giustizia ripartiva trova, innanzi tutto,il suo presupposto essenziale “sine qua non” nella volontà condi visa e consensuale di entrambi i soggetti coinvolti poiché una scelta unilaterale dell’indagato/imputato non è ritenuta,da sola, sufficiente ad attivarlo e,come tale,del tutto irrilevante.
Tuttavia,in base alla formulazione della norma regolatrice ed in spregio all’obbligo di un consenso unanime delle Parti,una scelta unilaterale e autonoma dello imputato sarebbe sufficiente,per il Legislatore,a presentare l’istanza di accesso al programma riparatorio,mentre irrilevante risulterebbe la volontà opposta dell’offeso ed,anzi, questa forma di riparazione varrebbe proprio a superare il suo eventuale dissenso,laddove sia accompagnata da una offerta reale formale, come pure chiarito su queste pagine della Rivista .
Più significativa appare la rilevanza riconosciuta alla Giustizia riparativa in relazione al regime della procedibilità a querela suscettibile di remissione perché offrirebbe all’imputato una possibile soddisfazione degli interessi dell’offeso, inclu sa la riparazione mediante una conciliazione tra le parti..
L’efficacia estintiva del reato unita a una praticabilità della remissione di querela fino alla sentenza definitiva ne spiega la sua importanza a fini proces suali deflattivi, come riaffermato anche nella sentenza in commento.
Pertanto,con l’ampliamento dell’area dei reati a querela di parte rimetti bile,la Giustizia riparativa si è ampliato lo spazio anticipato di intervento così da favorire un accordo in grado di evitare la sua stessa presentazione,come sancito dall’art. 44 comma 3 d.lgs. n.150/2022,con la conseguente preclusione della instaurazione del procedimento ed aumento del contenzioso.
La portata generale della Giustizia ripartiva,vale a dire il diritto di accesso senza preclusioni circa la fattispecie e la gravità del reato e in ogni stato e grado del procedimento penale,oltre che nella fase esecutiva,ha imposto l’esi genza di renderla sempre attuale e e praticabile anche laddove sia destinato a causare le giuste rimostranze della parte offesa a fronte di una quasi totale estraneità nelle decisioni da assumere, specie quelle che non tengono conto delle sue argomentazioni contrarie ed ancor più nei casi di reati di notevole gravità ed allarme sociale,per i quali si procede d’ufficio.
Nella stessa direzione vanno annoverate anche le disposizioni introdotte relative all’obbligo di informativa all’indagato/imputato ed alla persona offesa circa la facoltà di avvalersi della giustizia riparativa anche in caso di emissione del decreto di citazione per il giudizio di appello o come opzione priva di vantaggi in rapporto a scelte difensive più convenienti(patteggiamento su richiesta dell’inda gato nelle indagini come il nuovo contenuto del decreto di fissazione della rudienza ex art. 447 comma 1, CPP ed il nuovo requisito del decreto penale di condanna ex art. 460 comma 1 nuova lett. h-ter CPP).
Tale posizione trova il suo fondamento nelle scelte di principio contenute nella Legge Delega ed enunciate nell’art. 1 comma 18, rispettiva mente, lett. d e lett. c (L.D.27 settembre 2021, n. 134) ossia nel ruolo complementare assegna alla Giustizia riparativa rispetto alla giustizia penale tradizionale, grazie ad una posizione di preminenza dei Giudici (o al Pubblico Ministero).
In quanto definita complementare dalla stessa Suprema Corte, la Giustizia Riparativa trova nel procedimento penale il suo naturale habitat laddove sono promossi i percorsi riparativi,come recita la previsione dell’art. 129-bis CPP, affinché abbiano effetti e ricadute positivi per le Parti..
Tali ricadute sono soggette,tuttavia,a una duplice condizione:
- quella che il programma riparativo abbia coinvolto la Vittima,che sia anche persona offesa
- in senso processuale, e quella che l’esito favorevole sia stato realizzato in tempo utile per essere offerto alla valutazione del Giudice di primo grado per poter incidere sul quantum della pena o incidere sull’an della punizione propria, benché non siano stabiliti i termini del programma riparatorio dalla norma processuale, nei casi più gravi..
In effetti,tale direzione non riconosce neppure al Giudice dell’appello il potere di intervento sulla pena applicata dal primo Giudice,ovvero di dichiarare l’estinzione del reato per messa alla prova o la non punibilità per particolare tenuità del fatto,a fronte di un esito ripartivo positivo sopravvenuto, benché in base alla sentenza della Cassazione, in commento,il Giudice del rinvio possa ammettere l’imputato alla Giustizia Riparativa.
Resta da verificare se, alla luce delle osservazioni suesposte,se il procedi mento riparativo,così come delineato dal Legislatore,si ponga in conflitto con i canoni costituzionali del Giusto Processo,innanzi ricordati,posti a fondamento del ricorso.
Sul punto,le preoccupazioni e riserve della Dottrina prevalente hanno investito la formulazione dell’art.129-bis CPP.ed,inparticolare,ilpotere concesso all’Autorità Giudiziaria(Giudice e Pubblico Ministero) di disporre l’inviodell’indagato/imputato e della Vittima al Centrodi giustizia ripartiva con una decisione insindacabile e non impugnabile.
La convinzione diffusa tra i commentatori è che,come innanzi ricordato, sia imposto l’avvio del programma riparativo, in aperto contrasto con il principio cardine, ossia l’accesso libero e volontario delle Parti al procedimento.
Inoltre,poiché il programma è finalizzato a “promuovere il riconoscimento della vittima del reato,la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità” (art. 43 comma 2 d. lgs. n. 150/2022),risulta evidente che l’iniziativa, in quanto riferita a sog getti già catalogati nel ruolo di colpevole e vittima del reato, presupporrebbe un anticipato convincimento sulla responsabilità da parte del Giudicante o della accusa con palese violazione della presunzione di innocenza ex art 27 della Costituzione.
Ove l’impulso provenga dal Pubblico Ministero, ad essere compromesso sarebbe il principio di parità fra le parti (art. 111 comma 2 Cost.), di cui si è già detto,dal momento che l’accusa finisce con l’obbligare un'altra parte,l’accusato,a tenere un determinato comportamento non riconducibile a pieno titolo nella strategia e nelle prerogative difensive.
Veramente singolare sarebbe la situazione in cui verserebbe l’imputato poiché, quand’anche accedere o opporsi alla Giustizia riparativa sia un opzione comunque destinata a influire sull’esito del processo, si troverebbe stretto tra la coazione a dare seguito alla sollecitazione del Giudice,incluso l’impegno a realiz zare l’esito riparativo, con il rischio di subire, in caso di condanna, un tratta mento sanzionatorio deteriore per la scelta di avvalersi del legittimo esercizio del suo diritto di difesa nelle forme ordinarie.
In ogni caso,risulta evidente come tale iniziativa colpirebbe il diritto di difesa, benché proclamato inviolabile in ogni stato e grado del procedimento dall’art.24 comma2 Costituzione, per entrambe le parti e della Vittima in particolare con la conseguenza che insistere perché l’imputato vi acceda in contrasto con la sua linea difensiva e addirittura pretendere la riconciliazione con l’offeso appare inutile e del tutto fuoriluogo.
Va,anche,aggiunto che promuovere l’accesso dell’imputato alla giustizia riparativa,per il Giudice,non comporta vantaggi in termini di deflazione o di risparmio di attività processuale tanto meno nei casi in cui l’esito favorevole venga speso al fine di incidere sul quantum della pena, determinazione che presuppone già accertata la responsabilità dell’imputato e la conclusione del giudizio di primo grado.
Ove ciò dovesse accadere,sarebbe la stessa applicazione della norma dell’art. 129-bis CPP. a porsi in violazione della presunzione di innocenza e non propriamente la sua previsione.
Da tali considerazioni emerge chiaramente che né all’imputato e neppure alla Vittima si può chiedere di manifestare una supina adesione a un percorso ripartivo del tutto ignoto anche al Giudice e rimesso, nella sua concreta fattibili tà,solo alla valutazione esclusiva del Mediatore,che appare l’unico titola to alla acquisizione del loro consenso libero e volontario ex art. 54 d. lgs. n. 150/2022.
Nondimeno, secondo il Legislatore,appare coerente con la parità delle Parti che siano il Giudice o il Pubblico Ministero e non la persona offesa/vittima ad accogliere le intenzoni dell’imputato in modo da preservare la scelta libera e volontaria dello stesso siccome titolare esclusivo del potere di richiesta, ferma restando la contestuale disponibilità – libera e volontaria – della “controparte” ma sempre a fronte di una richiesta dell’imputato, nemmeno controbilanciata da una analoga iniziativa offerta alla Vittima.
In conseguenza,è necessario valutare l’opportunità di una modifica della norma e che si metta ordine nel disegno legislativo.
Senz’altro,il coinvolgimento dell’Autorità giudiziaria risponde alla preoccu pazione di non vanificare l’impegno organizzativo richiesto per la nuova discipli na organica,affidando la sua operatività alla iniziativa, solo eventuale, dell’auto re della offesa e della Vittima.
Più convincente appare il proposito del riformatore di offrire alla Vittima una tutela più idonea alla esigenza di ottenere riparazione dell’offesa provocata dal reato in linea con l’impianto normativo.
Un risultato,quest’ultimo,fuori della portata del Legislatore che ha inteso, allo stato,garantire l’accesso agli strumenti della riparazione,sancendo,sul punto, il diritto illimitato e d incondizionato ad avvalersi della Giustizia riparativa.
Farsi garante di questo diritto è il compito affidato alla Autorità giudiziaria, come si ricava dal ruolo sostitutivo della sua iniziativa, sebbene con i limiti innanzi evidenziati.
Delresto,compliceanchelacarenzadiservizidiassistenzaallavittima,l’informativacircalafacoltàdiaccederealprogrammadi Giustiziariparativa,ripetutaossessivamentenellasuccessionedelleattività processuali, è adempi mento solo formale, e niente di più che un semplice avviso.
In questa prospettiva risulta naturale che,in assenza di alcuna iniziativa, l’Autorità giudiziaria possa farsi carico di promuovere, col consenso delle parti (ma non senza),un contatto con il Centro di giustizia ripartiva per garantire il diritto di accesso alla giustizia ripartiva per entrambe le Parti.
A tanto aggiungasi che appare criticabile anche la regolamentazione previ sta dall’art. 129-bis comma 6 CPP. a proposito del momento di chiusura del programma riparativo con particolare riguardo alla valutazione giudiziale dei risultati raggiunti dall’imputato,a cui fa riferimento la proposta avanzata dalle Camere Penali di consentire l’acquisizione della relazione, trasmessa dal Mediatore nel solo caso di esito positivo e precludere la conoscenza del suo fallimento come soluzione preordinata a “evitare pregiudizi”.
Per contro,si ritiene che,una volta avviato il programma di Giustizia ripartiva, per iniziativa dell’A.G. o su richiesta dell’interessato,non sia ipotizzabile che il procedimento resti privo del potere di controllo almeno sul corretto adempimento degli obblighi di legge prescritti per le attività di mediazione.
Infatti,la Relazione del Mediatore rende conto dello svolgimento delle attività previste,della mancata effettuazione,della interruzione del programma e non solamente del relativo esito (positivo/negativo) (ex art. 58 d. lgs. n. 150/ 2022).
Inoltre e soprattutto, risulta evidente che limitare l’acquisizione (rectius: l’invio)della Relazione al solo caso di esito positivo del programma rende manife sta, di per sé e a contrario, proprio la sua negativa riuscita.
In realtà,la nuova disciplina organica non si sottrae all’impegno di circoscrivere la valutazione all’esito favorevole della relazione (ex art. 58 comma 1 d.lgs. n. 150/2022) poiché gli effetti pregiudizievoli,nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa,riveli che il programma non è andato a buon fine,sono espressamente esclusi dalla stessa norma citata.
Realizzare l’esito positivo del programma riparativo non è nelle preroga tive dell’imputato poiché,come richiesto per l’accesso,la disponibilità conciliativa dell’offeso resta imprescindibile base dell’accordo e della individuazione del tipo della riparazione (simbolica o materiale exart.56d.lgs.n.150/2022).
La verificata inadeguatezza dei rimedi suggeriti a proposito del mecca nismo di cui all’art. 129-bis CPP.non chiude,quindi,la questione dei rapporti tra Giustizia riparativa eprocedimentopenale legatoallasuaapplicazioneconcreta.
Va,comunque, sottolineato il ruolo marginale e non essenziale assegnato dalla norma introdotta alla Vittima di Reato ai fini della decisione dell’A.G. di procedere ad una mediazione penale nell’ambito della lesione dei propri diritti ancor più quando l’intero procedimento sia privo di parametri di valutazione del danno e di calcoli tabellari per stabilire,nella trattativa con l’imputato, la sussistenza,ed in quale misura,di margini per una qualche disponibilità ad accedere ad una Giustizia veramente Riparativa e non già pretesto per inutili quanto dolorose discussioni.
Dovremo,dunque,abituarci sempre più alla distinzione terminologica tra “riparativo” e “riparatorio”,tenendo presente che se il risarcimento del danno lo può effettuare solo chi ha mezzi economici sufficienti, mentre la riparazione invece la può attuare chiunque.