Una recente sentenza delle SS.UU. della Cassazione apre la strada ad una nuova prospettiva per le Vittime della Mafia in relazione alla possibilità di ottenere un congruo indennizzo per i danni subiti attraverso la confisca dei beni dei mafiosi.
| Giovedi 4 Dicembre 2025 |
Si tratta di una importante decisione in linea con i nuovi orientamenti della Suprema Corte assunti anche alla luce di una recente decisione della Corte di Giustizia Europea, Quinta sezione, che, con la sentenza del 2 Ottobre 2025, ha stabilito che l'art. 12, § 2, della Direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle Vittime di reati intenzionali violenti, dev'essere interpretato nel senso che esso osta a un sistema nazionale che escluda qualsiasi indennizzo per il dolore e la sofferenza patiti da tali vittime.
In sintesi, la Corte ha sancito che, sebbene per gli Stati Membri sussista la necessità di garantire la sostenibilità finanziaria dei sistemi nazionali di indennizzo, gli stessi devono prevedere un ristoro del danno materiale e morale subito equo ed adeguato che, ai sensi di tale Direttiva, richiede, ai fini della sua determinazione, di tenere conto della gravità delle conseguenze dei reati perpetrati, nonché del risarcimento che le stesse possano ottenere dall’autore del reato (v. dello stesso Autore, Vittime di Reato-Nuove prospettive di indennizzo, in questa Rivista, Ottobre 202t).
Nella carenza di mezzi economici da parte dell’autore del reato (di solito nella quasi totalità dei casi) lo Stato dovrebbe farsi carico di un adeguato indennizzo.
In effetti, con la Legge n.122/2016 il Legislatore, in attuazione della citata Direttiva, ha stabilito che le Vittime si possano rivalere sullo Stato per richiedere almeno una parte dei danni subiti.
Tuttavia, sul punto, lo stesso Governo in carica ha dovuto ammettere che ci siano pochi fondi a disposizione per risarcire le vittime di reati, soprattutto quelli violenti.
Lo stesso Ministro della Giustizia ha ammesso che i soldi previsti sono pochi e, spesso, i risarcimenti richiesti sono molto superiori a quelli previsti dalla legge posto che “l’ammontare di tale indennizzo sia sovente inadeguato considerato che il decreto ministeriale adottato in attuazione di tale normativa primaria ha indicato degli importi fissi a seconda del tipo di reato che viene in rilievo, subordinandone poi l’erogazione alle disponibilità del fondo stesso”.
A parere della Dottrina prevalente, a causa della ricorrente mancanza di mezzi finanziari nel Bilancio dello Stato, occorrerebbe attingere le risorse dell’ingente patrimonio rappresentato dai beni e dalle aziende confiscate alle Mafie, che Eurispes quantifica in oltre 32 miliardi di euro, quasi il 2% del Pil, al netto del valore dei beni mobili, dei titoli e delle liquidità confiscate, quantificato intorno ai 4,3 miliardi, che così assumerebbe una valenza sociale ed economica siccome frutto di reati.
Tuttavia il Fondo per gli indennizzi in favore delle vittime di reato non è “adeguato rispetto ai danni subiti” e, quindi, non sembra esserci una efficace tutela risarcitoria in favore delle vittime.
Secondo le Tabelle vigenti infatti, per le lesioni gravissime al massimo si può ottenere un indennizzo di 25 mila euro,50 mila per l’omicidio,60 mila per i crimini domestici in favore dei figli.
Per tutti gli altri reati le spese mediche arrivano a 15 mila euro, per un ammontare annuo stanziato in Bilancio di 3 Milioni di Euro.
L’accesso ai magri fondi disponibili appare, comunque, farraginoso e forse anche selettivo e limitato ai casi più eclatanti.
A tal fine, il Legislator ha emanato una legge che si presenta palesemente iniqua, discriminatoria ed anticostituzionale, in quanto limita a pochissime persone (nello specifico, alle sole Vittime che abbiano un reddito non superiore ad una determinata soglia) l’accesso al Fondo istituito dallo Stato Italiano.
Invero, in base a quanto stabilito dall’art. 12 della Legge 122/2016, le condizioni imprescindibili che devono sussistere al fine di vedersi riconoscere il risarcimento del danno subito a seguito di reati violenti sono le seguenti:
– il reddito annuo della vittima non deve essere superiore a quello previsto per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
– l’azione esecutiva da parte della vittima nei confronti dell’autore del reato deve essere risultata negativa;
– la vittima non deve aver concorso, anche colposamente, al verificarsi del reato;
– la vittima non deve essere stata condannata o sottoposta a procedimenti penali;
– la vittima non deve aver percepito, per il medesimo fatto reato, una somma da parte di soggetti pubblici o privati.
La domanda di risarcimento dovrà esser presentata entro 60 giorni dalla sentenza definitiva o dal compimento dell’ultimo atto dell’azione esecutiva infruttuosamente esperita a cura del richiedente.
Ne deriva che la Legge emanata rappresenta una palese violazione del principio di eguaglianza tra le Vittime, ponendo dei limiti ingiusti al relativo accesso poiché appare inconcepibile che il diritto al risarcimento del danno venga vincolato a limiti reddituali e che dunque la persona vittima di un reato violento debba fare i conti con il proprio reddito prima di sapere se otterrà mai la giustizia che gli è stata riconosciuta in sede giudiziaria.
Proprio l’inadeguatezza della Legge, ha causato una nuova condanna della Corte di Giustizia Europea, volta a ripristinare un sistema paritario di trattamento in favore di tutte le vittime di reati violenti.
Con la recente sentenza innanzi ricordata, la Corte ha dovuto ribadire il principio che anche il nostro Paese deve adeguarsi alle regole degli altri Stati comunitari “garantendo al cittadino dell’unione europea il diritto a ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite sul nostro territorio”.
Gli Stati Membri devono garantire alle vittime non soltanto l’accesso a un indennizzo secondo il principio di non discriminazione, ma anche un livello minimo di indennizzo per qualsiasi tipologia di reato violento
Sicché, nella speranza che l’Italia emani in tempi brevi una nuova legge ispirata all’eguaglianza tra le vittime di reato violenti e non ancorata a limiti reddituali, quello che le vittime possono fare è quello di rivolgere le loro richieste ai Tribunali ordinari, facendo valere l’inadempimento dello Stato Italiano o adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come è già avvenuto in alcuni casi.
Occorrerà, dunque, mettere mano ad una Riforma che individui una nuova fonte finanziaria che sopperisca alle carenze attuali sia pure attra- verso il ricorso ai beni confiscati alle Mafi come si sostiene ormai dq più parti che rappresenterebbe davvero una svolta e l’affermazione della vittoria dello Stato sulla criminalità organizzata lascerebbe finalmente il piano della retorica.
In questo contesto è intervenuta la sentenza Cassazione Penale, Sezioni Unite,14 novembre 2025 (ud. 29 maggio 2025), n. 37200 a cui era stata rimessa la seguente questione di diritto: “se, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, l’art. 52, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – in forza del quale la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi derivanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro – debba essere interpretato nel senso che, ai fini dell’ammissione allo stato passivo del credito del terzo derivante da fatto illecito commesso dal proposto, il relativo diritto debba essere sorto prima della applicazione della misura cautelare, anche se accertato e liquidato in un momento successivo, ovvero nel senso che debba essere anteriore al sequestro anche l’accertamento giudiziale del credito“.
Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno affermato che, ai fini dell’ammissione allo stato passivo:
– il credito del terzo derivante da fatto illecito commesso in suo danno deve essere sorto antecedentemente all’applicazione della misura cautelare e deve essere accertato dal giudice della cognizione entro il termine previsto per l’ammissione ordinaria o tardiva al passivo; l’accertamento suddetto deve, in sede penale, essere definitivo, mentre, in sede civile, è sufficiente che sia provvisoriamente esecutivo;
– il credito per le spese giudiziali riconosciute al danneggiato deve essere liquidato in una decisione intervenuta prima dell’applicazione del sequestro di prevenzione.
Nei primi commenti della Dottrina (v. F. Mainenti, Confische antimafia, la Cassazione cambia le regole a tutela delle vittime) si legge che la sentenza delle Sezioni Unite ridisegna l’equilibrio tra confisca dei beni mafiosi e diritti di chi ha subito il reato.
Sta di fatto che, benché la confisca dei beni mafiosi costituisca una vera vittoria dello Stato contro la Mafia e gli arricchimenti illeciti ed una grande vittoria della legalità, troppo spesso chi ha subito il reato resta senza poter attingere a tali risorse risarcitorie.
In effetti, dopo che i sequestri, le misura di prevenzione, la consegna dei beni “liberati” a Enti e istituzioni per essere utilizzati per scopi sociali, dandone ampia diffusione sui massmedia, appare evidente che le vittime rimangono senza alcun risarcimento di sorta perché il patrimonio confiscato è stato inghiottito dal circuito pubblico.
La sentenza delle Sezioni Unite prova, quindi, a mettere un punto fermo a questo modo di procedere affermando che il credito della vittima non può essere cancellato solo perché la macchina della prevenzione corre più veloce della giustizia ordinaria.
Giudicando il caso di una vittima di furto con un credito di 4.000 euro, nel quale i beni del responsabile erano sotto sequestro di prevenzione, il Tribunale ha escluso il credito dal passivo perché, pur essendo il fatto anteriore al sequestro, la decisione che aveva accertato il danno era arrivata dopo la misura di prevenzione.
Secondo i Giudici, in base ad una rigida interpretazione dell’art. 52 del Codice Antimafia, può essere ammesso solo un credito che “risulti da atti aventi data certa anteriore al sequestro”.
Per contro, le Sezioni Unite hanno ritenuto che il credito della vittima sorto prima della misura e derivante dal fatto illecito già avvenuto, può essere accertato anche dopo, purché entro i termini per l’ammissione al passivo, poiché in sede penale occorre una decisione definitiva, in sede civile basta una pronuncia provvisoriamente esecutiva.
Pertanto, il diritto della vittima non nasce il giorno in cui il Giudice emette la sentenza, ma nel momento del reato subito dalla Vittima e per il quale chiede di essere risarcito dallo Stato attraverso la confisca preventiva.
Ne consegue che, se lo Stato pretende di aggredire i patrimoni mafiosi senza aspettare la condanna definitiva, non può nello stesso tempo usare i ritardi del processo per escludere chi è stato danneggiato privandolo di un equo risarcimento dei danni subiiti (!!)
In tali casi, nessuno può mettere in discussione la necessità di colpire i patrimoni mafiosi, ed è essenziale che le regole siano chiare per tutti: mafiosi e vittime.
Inoltre la sentenza chiarisce un altro equivoco: “la prevenzione patrimoniale non è solo una lotta fra Stato e mafie, è anche il luogo dove si decide il destino delle Vittime, dei creditori, dei lavoratori anche con la possibilità che i beni mafiosi tornino ai Cittadini attraverso le associazioni, le cooperative, enti locali che subentrano in ville, aziende, terreni”.
Nondimeno, la sentenza disegna un bilanciamento sotto la pressione di un sistema giudiziario che resta lentissimo e diseguale, stabilendo che la vittima possa entrare nel passivo, ma non basta che il suo credito sia sorto prima del sequestro dei beni delle Mafie ma occorre che riesca a ottenere un provvedimento di condanna (o una sentenza civile provvisoriamente esecutiva) entro i termini per l’ammissione ordinaria o tardiva al passivo.
Chi è assistito da un buon avvocato, chi ha la capacità di presentare in tempo la domanda, può rientrare tra i beneficati mentre chi è povero, disorientato, lasciato solo, come spesso accade proprio alle vittime dei reati di matrice mafiosa, rischia di arrivare fuori tempo massimo, quando il bene è già stato destinato al circuito del riuso sociale.
Tuttavia, evidenziare questo dato non significa depotenziare le confische, bensì allo Stato di mettere le Vittime in condizione di ottenere un giusto risarcimento dei danni sofferti a partire da un punto fermo che troppo spesso viene eluso che è costituito dalla “confisca di prevenzione”.
Si tratta di un istituto diverso ed uno strumento che consente di aggredire i patrimoni esistenti nella zona grigia tra illecito penale, elusione, intestazioni fittizie, reti societarie che rendono impossibile o inefficace la condanna, sottraendoli ai principali creditori che sono lo Stato ma anche le Vittime dei reati mafiosi.
In definitiva, la sentenza in questione segna un punto a favore della risarcibilità delle Vittime.
La Quinta Sezione penale della Cassazione ha rilevato l'esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità sulla questione relativa all'individuazione del momento nel quale sorge il credito del terzo che sia derivante da un fatto illecito del proposto ai fini dell'ammissione del credito medesimo nel procedimento di prevenzione patrimoniale ed ha trasmesso gli atti alla Prima Presidente della Corte di cassazione per la rimessione alle Sezioni Unite.
In effetti, secondo un primo orientamento, per l'ammissione del credito è necessaria una pronunzia definitiva che ne accerti l'esistenza, da considerarsi documento avente data certa anteriore al sequestro, in considerazione dei poteri di mera verifica e non di accertamento del Giudice delegato e delle caratteristiche del credito stesso, avente fondamento in un evento dannoso che necessita dell'indagine processuale, in sede civile o in sede penale, per il riscontro dell'an e del quantum debeatur.
Un secondo orientamento sostiene, al contrario, che nel caso di credito derivante dalla commissione di un fatto illecito, l'insorgenza del diritto al risarcimento del danno o alla restituzione è riferibile al momento della commissione dell'illecito, e che la successiva sentenza di condanna, pur non definitiva, svolge una funzione di mero accertamento, con estensione degli effetti anche ai crediti accessori, quali quelli connessi alla rifusione delle spese processuali.
Anche secondo la Dottrina (v. A. Aceto, La confisca di prevenzione, in Riv Altalex) la confisca di prevenzione non pregiudica il credito da fatto illecito sorto prima del sequestro.
Le Sezioni Unite, nella sentenza in commento, aderiscono al secondo orientamento, pur con delle precisazioni in materia di crediti da spese processuali posto che la tutela del diritto di credito da fatto illecito è assicurata dalla più recente normativa e giurisprudenza sovranazionale che ha posto l'accento su una particolare categoria di creditori dell’autore che sono le Vittime di reato (v sentenza allegata)
In particolare, la recente Direttiva 2024/1260/UE del 24 Aprile 2024, che aggiorna lo statuto sul recupero e la confisca dei beni, prevedendo anche forme di confisca non basata su condanna, stabilisce che: «gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché l'esecuzione delle misure di confisca previste dalla presente direttiva non pregiudichi il diritto delle vittime di ottenere un risarcimento (art. 18); i terzi interessati dal provvedimento ablatorio hanno diritto a far valere il diritto di proprietà o altri diritti patrimoniali e a salvaguardare tali diritti davanti ad un giudice imparziale (art. 24 ); devono essere assicurate misure appropriate per garantire tali diritti sia attraverso restituzioni sia attraverso l'ottenimen-to di risarcimento» .
Altro essenziale riferimento normativo è costituito dall’104-bis c.1 della disp. Att. CPP che prevede che “in tutti i casi di sequestro preventivo e confisca restano comunque salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno, con effetto generalizzato a decorrere dal 30 dicembre 2022 a tutte le confische statali, comprese quelle di prevenzione”.
Del resto, sottolineano le Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità non ha mai dubitato della possibilità di opporre in sede di prevenzione i crediti derivanti da fatto illecito, nemmeno le pronunce che esprimono i diversi indirizzi interpretativi.
La stessa giurisprudenza penale è in linea con i principi elaborati in sede civile, in tema di ammissibilità del credito al passivo fallimentare laddove l'art. 150 del Codice della crisi d'impresa non distingue, infatti, fra categorie di creditori, stabilendo il generalizzato divieto di esecuzione individuale dopo l'apertura della procedura per consentire la liquidazione dei crediti, a prescindere dalla fonte dell'obbligazione, in sede concorsuale.
Sul punto va, infine, sottolineato che l’art. 52 del Codice Antimafia, stabilisce che la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro.
I criteri per la verifica dei crediti e la formazione dello stato passivo, ai fini della liquidazione dei terzi pregiudicati dalla confisca di prevenzione, devono essere effettuati dal Giudice penale «secondo un modello che ricalca quello dell'accertamento dei crediti e dei diritti nel passivo fallimentare».
Per l'individuazione delle regole applicabili, l'indagine ermeneutica deve muoversi, per le Sezioni Unite, nella logica complessiva del sistema, tenendo conto, in particolare, dei principi dettati per il procedimento di prevenzione e, in quanto compatibili, per la procedura concorsuale di liquidazione dei crediti in ambito civile.
Va dunque precisata dal Legislatore la portata del principio di anteriorità del credito da fatto illecito ai fini dell'ammissione al passivo.
Si tratta di una evidente lacuna legislativa che, tuttavia, non giustifica l'esclusione dei terzi titolari di crediti derivanti da fatto illecito dalla platea dei soggetti legittimati all'insinuazione al passivo.
Ne consegue che, in assenza di una espressa preclusione normativa, i crediti derivanti da fatto illecito del proposto devono ritenersi inclusi fra quelli astrattamente tutelabili, attraverso la procedura di verifica.
In definitiva, l'anteriorità del titolo o dell'acquisto del credito rispetto al momento del sequestro, di cui all’art.52 del Codice Antimafia, indica la necessità che sia accertato che il relativo diritto sia sorto - in ragione tanto di un atto o un negozio lecito, quanto di un fatto illecito - prima dell'applicazione della misura cautelare del sequestro di prevenzione, e ciò indipendentemente dal fatto che quel diritto sia divenuto certo, liquido ed esigibile in un momento successivo.
Nel caso di atto illecito, l'insorgenza del diritto al risarcimento del danno o alla restituzione è riferibile al momento della commissione dell’illecito e questo rafforza le legittime doglianze della Vittima e della tutela della stessa.
Di qui l’affermazione dei principi di diritto sopra indicati in conformità dei quali il ricorso della Vittima di turno è stato accolto relativamente all’ammissione del credito da fatto illecito dalla innovativa sentenza.