La Corte di Giustizia Europea, Quinta sezione, con sentenza del 2 Ottobre 2025, ha stabilito che l'art. 12, § 2, della Direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato, dev'essere interpretato nel senso che esso osta a un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti che, per principio, escluda, per quanto riguarda il danno morale, qualsiasi indennizzo per il dolore e la sofferenza patiti da tali vittime.
Mercoledi 8 Ottobre 2025 |
In sintesi, la Corte ha stabilito che, sebbene la necessità di garantire la sostenibilità finanziaria dei sistemi nazionali di indennizzo, in modo tale che gli Stati Membri non devono necessariamente prevedere un ristoro completo del danno materiale e morale subito da tali vittime, un indennizzo equo ed adeguato, ai sensi di tale disposizione, richiede, in sede di determinazione di un siffatto indennizzo, di tener conto della gravità delle conseguenze in capo alle vittime, dei reati perpetrati, nonché del risarcimento che tali vittime possono ottenere a titolo della responsabilità da fatto illecito dello autore del reato.
Riportiamo di seguito le motivazioni della importante decisione
La Direttiva 2004/80 UE
Ai sensi dei considerando 2,10 e 14 della Direttiva 2004/80:
(2) La Corte di Giustizia ha statuito nella sentenza del 2 febbraio 1989, Cowan (186/87, EU:C:1989:47 che, allorché il diritto [dell'Unione] garantisce alle persone fisiche la libertà di recarsi in un altro Stato membro, la tutela della loro integrità personale in detto Stato membro alla stessa stregua dei cittadini e dei soggetti che vi risiedano costituisce il corollario della libertà di circolazione.
Dovrebbero concorrere alla realizzazione di tale obiettivo misure volte a facilitare l'indennizzo delle vittime di reato.(...)
(10) Le vittime di reato, in molti casi, non possono ottenere un risarcimento dall'autore del reato, in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito.(...)
(14) La presente Direttiva rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riaffermati in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea come principi generali del diritto [dell'Unione]. L'articolo 1 di tale Direttiva, intitolato «Diritto di presentare domanda nello Stato membro di residenza», così recita:
«Gli Stati membri assicurano che, se un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il richiedente l'indennizzo risiede abitualmente, il richiedente ha diritto a presentare la domanda presso un'autorità o qualsiasi altro organismo di quest'ultimo Stato membro».
L'articolo 12 di tale Direttiva, unico articolo del capo II della stessa, intitolato «Sistemi di indennizzo nazionali», dispone, al paragrafo 2:
«Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime».
L'articolo 18 della medesima Direttiva, intitolato «Attuazione», al suo paragrafo 2 enuncia quanto segue:
«Gli Stati membri possono prevedere che le disposizioni necessarie per conformarsi alla presente Direttiva si applichino unicamente ai richiedenti le cui lesioni derivino da reati commessi dopo il 30 giugno 2005».
La Direttiva 2012/29/UE
L'articolo 2 della Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (GU 2012, L 315, pag. 57), rubricato «Definizioni», prevede, al suo paragrafo 1, quanto segue:
«Ai fini della presente Direttiva si intende per: a) "vittima":
i) una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato;(...)».
Le questioni pregiudiziali
Il Giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se l'articolo 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80 debba essere interpretato nel senso che esso osta a un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti che, per principio, esclude, per quanto riguarda il danno morale, qualsiasi indennizzo per il dolore e la sofferenza patiti da tali vittime.
Occorre osservare, in via preliminare, che, mediante tale Direttiva, il legislatore ha previsto un regime di indennizzo sussidiario rispetto al risarcimento che tali vittime possono ottenere a titolo di responsabilità per fatto illecito dell'autore del reato.
Infatti, come risulta dal considerando da 10 di detta Direttiva, essa è stata adottata alla luce, tra l'altro, della constatazione che tali vittime in molti casi non possono ottenere un risarcimento dall'autore del reato, in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito.
In particolare, ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80,tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano la esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime.
Per quanto riguarda l'ambito di applicazione dell'articolo 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80, la Corte ha precisato che tale disposizione conferisce il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato non solo alle vittime di reati intenzionali violenti commessi nel territorio di uno Stato membro che si trovano in una situazione transfrontaliera, ai sensi dell'articolo 1 di tale Direttiva, ma anche alle vittime che risiedono abitualmente nel territorio di tale Stato membro (sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C 129/19, EU:C:2020:566, punto 55).
Ai fini della determinazione di tale indennizzo, tenuto conto, da un lato, del margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri da detta disposizione per quanto riguarda tanto il carattere «equo ed adeguato» dell'importo dell'indennizzo quanto le modalità di determinazione del citato indennizzo e, dall'altro, della necessità di garantire la sostenibilità finanziaria dei sistemi nazionali di indennizzo, l'indennizzo stesso non deve necessariamente corrispondere al risarcimento dei danni che può essere riconosciuto, a carico dell'autore di un reato qualificato come reato intenzionale violento, alla vittima di tale reato.
Di conseguenza, l'indennizzo previsto all'articolo 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80 non deve necessariamente garantire un ristoro completo del danno materiale e morale subito dalla vittima. (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2024, Burdene, C 126/23, EU:C: 2024: 937, punto 57 e giurisprudenza citata).
In tale contesto, spetta in definitiva al Giudice nazionale garantire, alla luce delle disposizioni nazionali che hanno istituito il sistema di indennizzo di cui trattasi, che la somma assegnata a una vittima di un reato intenzionale violento in forza di tale sistema costituisca un indennizzo equo ed adeguato, ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 2, di tale Direttiva (sentenze del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C 129/19, EU:C:2020:566, punto 61 e del 7 novembre 2024, Burdene, C 126/23, EU:C:2024:937, punto 58).
Tuttavia, uno Stato membro eccederebbe il margine di discrezionalità accordato da tale disposizione se le sue disposizioni nazionali prevedessero un indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime (sentenze del 16 luglio 2020,Presidenza del Consiglio dei Ministri, C 129/19, EU:C: 2020:566, punto 63 e del 7 novembre 2024, Burdene, C 126/23, EU:C: 2024:937, punto 59).
Infatti, dal momento che l'indennizzo concesso a tali vittime rappresenta un contributo al ristoro del danno materiale e morale subito da queste ultime, siffatto contributo può essere considerato «equo ed adeguato» solo se compensa, in misura appropriata, le sofferenze alle quali esse sono state esposte (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C 129/19, EU:C:2020:566, punto 64, e del 7 novembre 2024, Burdene, C 126/23, EU:C:2024:937, punto 60).
Di conseguenza, per essere considerato «equo ed adeguato» ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80, un indennizzo concesso a titolo di un sistema nazionale di indennizzo di tali vittime deve essere fissato tenendo conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime, e deve quindi rappresentare un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C 129/19, EU:C:2020:566, punto 69, e del 7 novembre 2024, Burdene, C 126/23, EU:C:2024:937, punto 62).
Per quanto riguarda, più specificamente, il ristoro del danno morale patito da tali vittime, sebbene la citata disposizione non contenga alcun riferimento esplicito a un siffatto danno, occorre rilevare che la formulazione ampia di tale disposizione non limita in alcun modo la portata dell'indennizzo ivi previsto per quanto riguarda i danni che esso può contribuire a risarcire.
Peraltro, come la Corte ha indicato al punto 48 della sentenza del 7 novembre 2024,Burdene (C 126/23, EU:C:2024:937), la portata della nozione di «vittime»come esposta all'articolo 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80, è chiarita dalla definizione fornita dall'articolo 2, paragrafo 1,lettera a), della Direttiva 2012/29, che riguarda «una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato». Orbene, dalla formulazione di quest'ultima disposizione risulta chiaramente che essa riguarda tanto le vittime che hanno subito danni materiali quanto quelle che hanno subito danni morali.
In particolare, il fatto che detta disposizione riguardi i pregiudizi all'integrità sia fisica che mentale o emotiva conferma che i danni subiti da tali vittime comprendono anche il dolore e la sofferenza patiti da queste ultime.
Dalla giurisprudenza della Corte risulta quindi che non può essere operata alcuna distinzione a seconda dei tipi di danno che le vittime dei reati commessi possono aver subito o delle conseguenze alle quali tali vittime possono essere esposte.
Anche supponendo che la formulazione dell'articolo 18, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80, che, nelle sue versioni in particolare in lingua francese e rumena, si riferisce alle sole «lesioni», possa suggerire l'esistenza di una siffatta distinzione, occorre rilevare che, in varie altre versioni linguistiche di tale disposizione, il termine «danni» non è corredato da alcun aggettivo diretto a limitarne la portata.
Orbene, secondo una giurisprudenza consolidata, le disposizioni del diritto dell'Unione devono essere interpretate e applicate in modo uniforme alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue dell'Unione europea e, in caso di divergenza tra queste diverse versioni, la disposizione di cui trattasi deve essere interpretata in funzione dello impianto sistematico e della finalità della normativa di cui essa costituisce un elemento (v.sentenza del 17 gennaio 2023, Spagna/ Commissione, C 632/20 P, EU:C:2023:28, punto 42 e giurisprudenza citata).
A tal riguardo, da un lato, nessun'altra disposizione della Direttiva 2004/80 consente di ritenere che debba essere operata una distinzione tra i tipi di danni o di pregiudizi subìti dalle vittime che rientrano nel suo ambito di applicazione.
Dall'altro lato, dal considerando 2 di tale Direttiva risulta che le misure volte a facilitare l'indennizzo delle vittime di reato dovrebbero contribuire alla realizzazione dell'obiettivo di garantire la protezione dell'integrità delle persone interessate. Inoltre, come indicato dal considerando 14 di detta Direttiva, quest'ultima rispetta i diritti fondamentali e i principi riaffermati in particolare dalla Carta. Orbene, come risulta dall'articolo 3, paragrafo 1, della Carta, l'integrità della persona deve essere intesa come sia fisica che psichica.
Pertanto, occorre considerare che l'indennizzo previsto all'articolo 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80 deve essere idoneo, se del caso, a contribuire a risarcire qualsiasi danno morale, compreso il danno per il dolore e la sofferenza patiti.
A tale titolo, come rilevato, in sostanza, dal Giudice del rinvio nello ambito della quinta questione pregiudiziale, un reato di aggressione violenta come quello subita da LD può dar luogo a gravi conseguenze, sia per il danno materiale sia per il danno morale, segnatamente a causa del dolore e della sofferenza patiti, circostanza che deve riflettersi nell'importo riconosciuto.
Pertanto, nel caso di specie, l'indennizzo del danno subìto da LD non può, salvo verifica da parte del Giudice del rinvio, costituire un indennizzo equo ed adeguato ai sensi di tale articolo 12, paragrafo 2, in particolare se un danno morale come quello di cui al punto precedente ne fosse escluso, in quanto tale indennizzo coprirebbe solo parzialmente i danni subiti dalla vittima del reato di cui trattasi e non si potrebbe ritenere che esso tenga conto della gravità delle conseguenze del reato in capo a detta vittima.
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, l'articolo 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80 deve essere interpretato nel senso che esso osta a un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati inten zionali violenti che, per principio, escluda, per quanto riguarda il danno morale, qualsiasi indennizzo per il dolore e la sofferenza patiti da tali vittime.
Nonostante la necessità di garantire la sostenibilità finanziaria dei sistemi nazionali di indennizzo, di modo che gli Stati membri non devono necessariamente prevedere un ristoro completo del danno materiale e morale subito da tali vittime, un indennizzo equo ed adeguato, ai sensi di tale disposizione, richiede, in sede di determinazione di un siffatto indennizzo, di tener conto della gravità delle conseguenze, in capo alle vittime, dei reati perpetrati, nonché del risarcimento che tali vittime possono ottenere a titolo della responsabilità da fatto illecito dell'autore del reato.
Conclusioni
Secondo la Dottrina prevalente, a causa della ricorrente mancanza di mezzi finanziari nel Bilancio dello Stato occorrerebbe attingere le risorse dell’ingente patrimonio rappresentato dai beni e dalle aziende confiscate alle Mafie, che Eurispes quantifica in oltre 32 miliardi di euro, quasi il 2% del Pil, al netto del valore dei beni mobili, dei titoli e delle liquidità confiscate, quantificato intorno ai 4,3 miliardi, che così assumerebbe una valenza sociale ed economica siccome frutto di reati.
In effetti i beni confiscati alle Mafie sono considerati giustamente come una opportunità di promozione della coesione sociale di un territorio, opportunità che si concretizza soprattutto quando il bene è affidato in gestione alle organizzazioni del Terzo Settore, e al tempo stesso, può costituire un volano di sviluppo della economia civile e un simbolo di ripristino della legalità grazie anche all’apporto dell’Agenzia Nazionale per i beni confiscati.
Tuttavia, il procedimento attuale attraverso il quale il bene e l’azienda vengono destinati a scopi socialmente utili è particolarmente complesso.
Migliaia di immobili stazionano nei patrimoni comunali per anni senza che sia decisa la loro valorizzazione.
Le varie leggi regionali tentano di rispondere a questa criticità, prevedendo apposite risorse per un uso efficace dei beni confiscati sebbene rispetto al reale fabbisogno, queste risorse non sono sufficienti.
Il Governo, attraverso l’ufficio del Commissario straordinario per il recupero e la rifunzionalizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, ha destinato un budget di 300 milioni per il finanziamento di 254 progetti.
Si tratta di progetti finalizzati ad attività di infrastrutturazione sociale (servizi sociali, accoglienza, formazione, inclusione, etc.), in grandissima parte realizzati senza il coinvolgimento degli enti del terzo settore, come avrebbe dovuto essere in ossequio al principio della co-progettazione, con la conseguenza che anche questo è ancora un risultato parziale, dovendosi chiudere il processo con la successiva assegnazione del bene per la sua concreta gestione.
Occorrerebbe, quindi, attvare un modello di gestione che non si limiti a svolgere funzioni di carattere amministrativo, ma che preveda interventi di carattere finanziario e di accompagnamento che facciano incontrare efficacemente la “domanda” di beni provenienti dagli ETS con la “offerta” espressa dai Comuni.
In tal modo, si potrebbero, tra l’altro: finanziare progetti, frutto anche del coinvolgimento del Terzo Settore; assegnare temporary manager alle imprese sequestrate e confiscate per preservare la continuità aziendale; offrire garanzie per le imprese confiscate nei confronti degli istituti di credito; assicurare sostegno al reddito e ri-orientamento dei lavoratori delle imprese sequestrate; restituire, in caso di revoca del sequestro o della confisca, le somme sequestrate o il corrispettivo economico dei beni confiscati, sottraendo tale onere ai Comuni destinatari dei beni; offrire strumenti assicurativi per i danni da ritorsioni.
Inoltre, ai fini degli indennizzi da corrispondere alle Vittime, decisiva sarebbe l’utilizzazione almeno di una parte delle risorse finanziarie del Fondo Unico Giustizia (Fug), che è alimentato da titoli e liquidità confi scate.
In ogni caso, al Fondo Unico potrebbero attingere le Vittime di reato in caso di incapienza del reo stante l’obbligo di indennizzo da parte dello Stato, come affermato dalla sentenza in commento.
Sul punto, lo stesso Governo in carica ha dovuto ammettere che ci siano pochi fondi a disposizione per risarcire le vittime di reati, soprattutto quelli violenti.
Tale affermazione è emersa da un recente fatto di cronaca ormai noto, il femminicidio della giovane studentessa di 22 anni, Giulia Cecchettin, per chiedere al Governo di fare di più per il risarcimento nei confronti delle vittime e dei loro parenti.
In particolare, l’insufficienza di risorse è emersa a seguito della condanna all’ergastolo nei confronti dell’ex fidanzato Filippo Turetta a cui si era aggiunto anche il pagamento di 760 mila euro“tra provvisionali e risarcimento dei danni arrecati ai familiari”.
Sono tutte somme dovute che Turetta non potrà mai pagare perché al momento della condanna “risultava studente universitario, senza beni né stipendio” benché tali somme costituiscono un importante titolo giudiziale per i parenti delle vittime.
Se il soggetto condannato non può pagare, la legge del 2016 prevede che le vittime si possano rivalere sullo Stato per richiedere almeno una parte dei danni subiti.
Tuttavia il Fondo per gli indennizzi in favore delle vittime di reato non è “adeguato rispetto ai danni subiti” e, quindi, non sembra esserci una adeguata tutela risarcitoria in favore dei parenti delle vittime.
Lo stesso Ministro della Giustizia ha ammesso che i soldi previsti sono pochi e spesso i risarcimenti richiesti sono molto superiori a quelli previsti dalla legge posto che “l’ammontare di tale indennizzo sia sovente inadeguato considerato che il decreto ministeriale adottato in attuazione di tale normativa primaria ha indicato degli importi fissi a seconda del tipo di reato che viene in rilievo, subordinandone poi l’erogazione alle disponibilità del fondo stesso”.
Secondo le Tabelle vigenti infatti, per le lesioni gravissime al massimo si può ottenere un indennizzo di 25 mila euro,50 mila per l’omicidio,60 mila per i crimini domestici in favore dei figli.
Per tutti gli altri reati le spese mediche arrivano a 15 mila euro, per un ammontare annuo stanziato in Bilancio di 3 Milioni di Euro.
Inoltre, in base a quanto stabilito dall’art. 12 della L. 122/2016, le condizioni imprescindibili che devono sussistere al fine di vedersi riconoscere il risarcimento del danno subito a seguito di reati violenti sono le seguenti:
– il reddito annuo della vittima non deve essere superiore a quello previsto per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
– l’azione esecutiva da parte della vittima nei confronti dell’autore del reato deve essere risultata negativa;
– la vittima non deve aver concorso, anche colposamente, al verificarsi del reato;
– la vittima non deve essere stata condannata o sottoposta a procedi menti penali;
– la vittima non deve aver percepito, per il medesimo fatto di reato, somma da parte di soggetti pubblici o privati.
La domanda di risarcimento dovrà esser presentata entro 60 giorni dalla sentenza definitiva o dal compimento dell’ultimo atto dell’azione esecu tiva infruttuosamente esperita.
Peraltro, il Legislatore italiano ha emanato infatti una legge che si presenta palesemente iniqua, discriminatoria ed anticostituzionale, in quanto limita a pochissime persone (specificamente alle sole vittime che abbiano un reddito non superiore ad una determinata soglia) l’accesso al Fondo istituito dallo Stato Italiano.
La legge italiana rappresenta, infatti, una palese violazione del principio di eguaglianza tra le vittime, ponendo dei limiti ingiusti al relativo accesso.
E’ inconcepibile che il diritto al risarcimento del danno venga vincolato a limiti reddituali e che dunque la persona vittima di un reato violento debba fare i conti con il proprio reddito prima di sapere se otterrà mai la giustizia che gli è stata riconosciuta in sede giudiziaria.
Proprio l’inadeguatezza della legge italiana, ha causato una nuova condanna della Corte di Giustizia Europea (dopo la precedente sentenza del 11.10.2016), volta a ripristinare un sistema paritario di trattamento in favore di tutte le vittime di reati violenti.
Con la sentenza in commento la Corte di Giustizia Europea ha ribadito il principio che anche l’Italia deve adeguarsi alle regole degli altri Stati comunitari “garantendo al cittadino dell’unione europea il diritto a ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite sul nostro territorio”.
Gli Stati membri devono garantire alle vittime non soltanto l’accesso a un indennizzo secondo il principio di non discriminazione, ma anche un livello minimo di indennizzo per qualsiasi tipologia di reato violento
Sicché, nella speranza che l’Italia emani in tempi brevi una nuova legge ispirata all’eguaglianza tra le vittime di reato violenti e non ancorata a limiti reddituali, ciò che le vittime di questo genere di reati possono fare è quello di rivolgere le loro richieste ai Tribunali ordinari, facendo valere l’inadempimento dello Stato Italiano o adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come è già avvvenuto
Occorrerà, dunque, mettere mano ad una Riforma che individui una nuova fonte finanziaria che sopperisca alle carenze attuali sia pure attraverso il ricorso ai beni confiscati alle Mafie.
Una simile riforma rappresenterebbe davvero una svolta e l’affermazione della vittoria dello Stato sulla criminalità organizzata lascerebbe finalmente il piano della retorica.