La Corte Costituzionale salva le preclusioni del rito unificato familiare: nessuna violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost.
| Martedi 11 Novembre 2025 |
La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 473-bis.17 c.p.c., sollevata dal Tribunale di Genova in riferimento agli artt. 3,24 e 111 Cost., confermando la legittimità delle preclusioni processuali introdotte nel rito unificato per le persone, i minorenni e le famiglie.
La Corte ha escluso profili di irragionevolezza o disparità, ritenendo che la scansione dei termini processuali rientri nella discrezionalità del legislatore e che la specialità del rito familiare — caratterizzato da esigenze di celerità e poteri officiosi del giudice — giustifichi la maggiore concentrazione delle difese.
Con sentenza pubblicata a seguito dell’ordinanza del Tribunale di Genova del 4 settembre 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 473-bis.17 c.p.c., norma che disciplina le preclusioni processuali nel rito unificato in materia di persone, minorenni e famiglie, introdotto dal d.lgs. 149/2022 (riforma Cartabia).
La questione aveva ad oggetto la tenuta costituzionale dei termini e delle preclusioni stabiliti nel nuovo rito, ritenuti da parte della dottrina e della giurisprudenza eccessivamente stringenti, in particolare per l’attore, che dispone di soli dieci giorni per replicare all’eventuale domanda riconvenzionale proposta dal convenuto.
Il Tribunale di Genova aveva sollevato dubbi di compatibilità con gli articoli 3 (eguaglianza), 24 (diritto di difesa) e 111 (giusto processo) della Costituzione, evidenziando un possibile squilibrio tra le parti nel contraddittorio processuale.
La Consulta, tuttavia, ha rigettato le censure, riaffermando un principio consolidato:
«La scansione temporale degli atti processuali rientra nelle scelte di opportunità del legislatore, sindacabili solo in caso di manifesta irrazionalità o disparità di trattamento.»
Nella motivazione, la Corte ha escluso ogni irrazionalità del sistema, richiamando la specialità del rito familiare, caratterizzato da esigenze di celerità e concentrazione, nonché dalla possibilità per le parti di prevedere le potenziali domande riconvenzionali (ad esempio, domande di addebito, assegno o divorzio in risposta a una separazione).
La Corte ha sottolineato che, a differenza di altri procedimenti civili, le controversie familiari – specie quando coinvolgono diritti indisponibili dei minori – sono assistite da poteri officiosi del giudice (art. 473-bis.19 c.p.c.), i quali attenuano il rigore delle preclusioni e consentono l’introduzione di nuove domande o mezzi di prova anche oltre i termini, qualora emergano nel corso dell’istruttoria.
Ne consegue che la stretta tempistica prevista per le memorie (venti, dieci e cinque giorni prima dell’udienza) non comporta una limitazione irragionevole del diritto di difesa, bensì rappresenta una scelta legislativa funzionale alla celerità del processo e alla tutela dei soggetti più deboli, in primis i minori.
La sentenza conferma l’orientamento della Corte volto a non sostituirsi al legislatore nelle scelte di tecnica processuale, purché non arbitrarie.
Pur riconoscendo la gravosità dei termini per le parti, specie per l’attore, la Consulta ha ritenuto che il rito unificato – nel bilanciamento tra esigenze di difesa e rapidità decisionale – risponda a criteri di ragionevolezza e proporzionalità.
In definitiva, la decisione ribadisce la tenuta costituzionale del nuovo rito familiare, chiarendo che la concentrazione delle difese e delle prove, lungi dal comprimere il diritto di difesa, mira a garantire una giustizia più rapida e coerente con la natura delle controversie in materia di relazioni familiari.
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