Il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, con sentenza del 2 Ottobre 2025 m.12 ha stabilito che “Nell'accertamento della dipendenza da causa di servizio di patologie tumorali insorte in capo a militari esposti a uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, in occasione del servizio prestato all'estero o presso i poligoni di tiro sul territorio nazionale, non è necessario un riscontro effettivo del nesso eziologico: la legge ha considerato il rapporto di causalità come insito nel tipico rischio professionale, sicché grava sull'Amministrazione l'onere di dare la prova di una specifica genesi extra-lavorativa della patologia.
Venerdi 17 Ottobre 2025 |
La legge stabilisce una presunzione relativa, vincibile dal Ministero della difesa, dell'esistenza di un nesso eziologico fra patologie tumorali ed esposizione in servizio a uranio impoverito o nanoparticelle di metalli pesanti”.
Di tratta di una sentenza di particolare rilevanza per i militari Vittime dell’esposizione all’Uranio impoverito nei vari conflitti a cui il Nostro Paese ha partecipato come Forza di pacificazione tra i belligeranti poiché inverte l’onere della prova a carico del militare sulle causa della patologia sofferta ponendo a carico del Ministero la esclusione delle proprie responsabilità in tali casi.
Tuttavia, alcuni nostri militari in servizio nei teatri di guerra si sono visti rifiutare dal Ministero della Difesa un più che giusto risarcimento dei danni patiti con gravi conseguenze per la salute.
Tra i casi segnalati, vi è quello di un Operatore informatico dell’Esercito ma impiegato come fuciliere tra il 1999 e 2002 in Kosovo tra il 2007 e il 2009 in Libano, che si è ammalato di cancro.
L'equo indennizzo negatogli dal Ministero della Difesa, secondo il quale l’infermità non era dipendente dal servizio prestato, gli è stato, tuttavia, riconosciuto dal TAR del Friuli Venezia Giulia che ha accolto il ricorso proposto dal malcapitato.
A sostegno del ricorso, il nostro militare, aveva evidenziato che ll Comitato di verifica non aveva valutato l'aspetto epidemiologico e tutti i fatto ri di rischio connessi al servizio, come l'inquinamento e le condizioni operative in assenza di mezzi di protezione individuale, ambientali, atmosferiche, alimentari ed igienico-sanitarie nei Teatri operativi esteri, ma anche nel corso degli addestramenti nei poligono di tiro di Capo Teulada, del Dandolo, di Monte Romano, del Cellina Meduna e di Cao Malnisio.
In conseguenza, non era stato preso in considerazione dal Ministero il “nesso di causalità” tra fattori nocivi evidenziati, in particolare micro e nano-particelle di metalli pesanti derivanti dall'esplosione di munizioni allo uranio impoverito e la patologia sofferta.
Tra l'altro, come aveva sostenuto il difensore, gli esiti delle analisi eseguite aveva evidenziato un'altissima concentrazione di nano-particelle di metalli pesanti nel suo organismo, oltre ad alterazioni dovute alle vaccinazioni.
Il TAR del FVG, nella sentenza, ha tenuto conto delle Missioni all’Estero e delle esercitazioni a cui il militare aveva partecipato, ma anche della multipla somministrazione vaccinale a cui era stato lo stesso sottoposto sebbene i protocolli dettati dal Ministero della Salute impongano che i vaccini vadano effettuati almeno sei mesi prima dell'invio in Missione all'Estero e dopo una attenta verifica sulla situazione immunologica del soggetto.
In seguito, anche ll Consiglio di Stato, nel 2020, aveva evidenziato che nei militari inviati nella ex Jugoslavia erano state rilevate percentili più alte di esposizione all’agente patogeno dalle quali, per la natura ancora sconosciuta dei fattori oncogenetici, il Ministero non poteva prescindere nelle sue decisioni
Pertanto, secondo il Cds, la dipendenza da causa di servizio della patologia tumorale «non poteva essere negata sulla base di mere formule di stile, atteso che la correlazione tra operatività nei contesti caratterizzati dalla presenza dell'uranio impoverito e aumento del rischio di contrarre neoplasie doveva considerarsi accertata».
Una delle questioni più rilevanti, alla base del contenzioso in materia, è sempre stata la incertezza scientifica nella attribuzione della responsabilità civile al Ministero della Difesa.
Sul punto era intervenuta la decisione assunta dal Consiglio di Stato Sez. 4,30 novembre 2020, n. 7560 (Esposizione all’uranio impoverito dei mili tari in missione all’Estero) che aveva stabilito che :
1. Il regime della responsabilità civile è volto ad attribuire le conseguenze dannose dell’illecito in capo al soggetto normativamente “meritevole” di subirle, vuoi perché ha operato con dolo o colpa (art. 2043 c.c.) (criterio generale), vuoi perché versa in condizioni oggettive (artt. 2047,2048,2049,2050,2051,2052,2053 c.c.)( come criteri sussidiari) che, comunque, rendono più congruo porre a carico dell’Amministrazione l’evento dannoso, fatta salva, in talune ipotesi, la residuale facoltà probatoria, a carico della stessa, di dimostrare, in sostanza, di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno e salva, in ogni caso, la non imputabilità del danno ove si dimostri che sia derivato da caso fortuito.
2. Al dovere del militare di esporsi al c.d. pericolo bellico si contrappone lo speculare dovere dell’Amministrazione di proteggere nostri militari in servizio da altre forme prevedibili di pericoli non strettamente dipendenti da azioni belliche, in primis apprestando i necessari presidi sanitari di prevenzione e cura e dotandolo di un equipaggiamento adeguato o, quanto meno, non del tutto incongruo rispetto al contesto.
In sostanza, nel caso delle missioni all’Estero, il militare ha il dovere di esporsi al rischio bellico (sempre latente in tali contesti) ma l’Amministrazione ha il dovere di circoscrivere al massimo, in un’ottica di precauzione, i diversi ed ulteriori rischi concretamente ed oggettivamente prevenibili.
3. La prova liberatoria non può consistere semplicemente nell’invocare il fattore causale ignoto, ma deve spingersi sino a provare il fattore causale fortuito, ossia quello specifico agente, non prevedibile che ha provocato l’evento dannoso.
Nel quadro di una responsabilità contrattuale posta a garanzia di beni primari, nell’ambito di un Ordinamento di settore connotato dall’insindacabilità degli ordini, nel contesto di una missione in un teatro operativo interessato da recenti eventi bellici ed ancora pervaso da plurimi, insidiosi e multifattoriali fattori di pericolo, il rischio causale ignoto grava sull’Amministrazione, non già sul singolo militare.
4. Pertanto, sul nesso di causalità e sulla conoscibilità della pericolosità dell’esposizione dei militari all’uranio impoverito nelle zone considerate a rischio, l’Amministrazione della difesa, per evitare l’addebito della responsabilità, dovrebbe provare la sussistenza, in concreto, delle circostanze straordinarie non prevedibili che hanno causato il danno al militare.
Infatti, come correttamente, ha evidenziato lo stesso Consiglio di Stato, se all’interessato basta dimostrare l’insorgenza della malattia in termini probabilistici-statistici, l’Amministrazione è gravata da un onere d’istruttoria e di motivazione assai stringente circa la sussistenza in concreto delle circostanze straordinarie esimenti la propria responsabilità.
Secondo il CdS «alla luce della peculiarità dello specifico contesto operativo, del carattere contrattuale della responsabilità dell’Amministrazione, dei valori primari in gioco, della mancata adozione degli accorgimenti pur apprestati dagli Alleati a beneficio del proprio personale, dell’impegno prettamente operativo e “sul campo” svolto, grava sulla Amministrazione l’onere di fornire un principio di prova circa l’intervento di un fattore oncogenetico alternativo e diverso rispetto all’esposizione ai metalli pesanti».
Sempre sull’onere probatorio gravante sull’Amministrazione, il CdS avevaa evidenziato che «la prova liberatoria non può consistere semplicemente nell’invocare il fattore causale ignoto, ma deve spingersi sino a provare in maniera convincente il fattore causale fortuito, ossia quello specifico agente, non prevedibile e, comunque, non prevenibile, che ha provocato l’evento di danno».
Anche alla luce di quanto innanzi esposto, il Consiglio di Stato, in Adunanza Plenaria, è nuovamente intervenuto con la sentenza in commento, per chiarire il punto controverso ossia la prova del nesso di causalità invertendo l’onere della prova stabilendo che “Nell'accertamento della dipendenza da causa di servizio di patologie tumorali insorte in capo a militari esposti a uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, in occasione del servizio prestato all'estero o presso i poligoni di tiro sul territorio nazionale, non è necessario un riscontro effettivo del nesso eziologico: la legge ha considerato il rapporto di causalità come insito nel tipico rischio professionale, sicché grava sull'Amministrazione l'onere di dare la prova di una specifica genesi extra-lavorativa della patologia”.
Inoltre, in presenza di patologie connotate da multifattorialità, come in particolare quelle tumorali, il rischio in questione tenderebbe a tradursi in un "diabolico" onere della prova.
Si profilerebbero così potenziali vuoti di tutela e ambiti di sostanziale irresponsabilità dell'Amministrazione datrice di lavoro, nondimeno soggetta all'obbligo - sancito dall'art. 2087 del codice civile - di tutelare l'integrità fisica del lavoratore secondo «l'esperienza e la tecnica» e dunque di adeguarsi costantemente a queste ultime.
Ad una disposizione di legge, quale quella ora citata, in cui l'obiettivo di protezione del lavoratore è posto in correlazione con il progresso scientifico, in funzione della realizzazione di livelli crescenti di tutela a favore di quest'ultimo, verrebbe quindi a contrapporsi un sistema amministrativo di tutela di carattere indennitario costantemente imperniato su regole e criteri di giudizio insensibili alle nuove acquisizioni della conoscenza umana in ambito medico.
Non ammettere in quest'ultimo una "presunzione relativa sulla sussistenza del nesso di causalità" comporterebbe tuttavia una carenza nell'Ordinamento giuridico, per le più agevoli condizioni di accesso al rimedio risarcitorio rispetto a quello di carattere indennitario, malgrado del primo quest'ultimo costituisca un minus.
Solo in sede di domanda ex art.2087 del codice civile l'evoluzione scientifica si presterebbe infatti a fungere da "fattore di spinta" sul datore di lavoro nella direzione dell'innalzamento dei livelli di tutela a favore del lavoratore, con il connesso onere di fornire la prova di avere adottato tutte le cautele imposte dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, una volta che il lavoratore abbia dimostrato la nocività dello ambiente di lavoro e la riconducibilità ad esso della patologia contratta sul piano causale.
Per contro, poiché ai fini dell'equo indennizzo previsto dal d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, occorre individuare in positivo lo specifico fattore patogenetico della malattia, l'evoluzione tecnico-scientifica recederebbe a circostanza irrilevante per il giudizio medico-legale sulla causa di servizio come altrettanto irrilevante sarebbe anche la mancata adozione da parte datoriale di misure preventive adeguate allo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche.
Quindi, con riguardo specifico all'accertamento della dipendenza da causa di servizio di una malattia occorsa al lavoratore, può costituire in astratto un obiettivo legittimo sul piano normativo quello di ridurre il poc'anzi richiamato rischio della causa ignota, quando esso si traduca nella sostanza in una preclusione generalizzata all'accesso del dipendente alle provvidenze previste in caso di compromissione del suo stato di salute, e dunque divenga socialmente inaccettabile sulla base del livello delle conoscenze medico-scientifiche raggiunto in un determinato momento storico.
La disciplina della materia è contenuta nel DPR 3.3.2009 n. 39-”Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all’Estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali, a norma dell’articolo 2, commi 78 e 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”, che ha sostituito la precedente normativa di riferimento.
Con la pubblicazione del citato Regolamento, i militari che hanno partecipato a missioni internazionali di pace e aiuto umanitario e che hanno contratto patologie derivanti dalla continua esposizione alle nano-particelle di metalli pesanti (particolato ultra fine da aggregati di natura atomica) contenenti elementi metallici con alta massa atomica tra i quali il mercurio, il cadmio, l'arsenico, il cromo, il tallio, il piombo, il rame, lo zinco oltre ai c.d. Metalli di transizione (metalli che comprendono sia l'uranio che il plutonio) potranno avanzare la domanda per il riconoscimento della causa di servizio e di risarcimento con l'equo indennizzo.
I beneficiari che rientrano nell'elargizione prevista sono individuati tra il personale militare e civile italiano in forza nelle missioni estere, il personale militare e civile impiegato nei poligoni di tiro e stoccaggio di munizionamenti, i cittadini italiani impiegati nella cooperazione o nelle O.N.G.
In ambito di programmi aventi luogo nei teatri di conflitto, i cittadini italiani aventi residenza adiacente (nel raggio di 1,5 km. Dalla base) a basi militari italiane ove è depositato o stoccato munizionamento pesante, i familiari superstiti nelle persone del coniuge, il convivente, i figli superstiti ovvero i fratelli conviventi risultanti a carico nel caso in cui questi ultimi risultino gli unici superstiti.
Nel caso in cui sia stata accertata la causa di servizio la Commissione medica competente dovrà specificare il grado di invalidità riconosciuto secondo quanto indicato dalla tabella allegata al Decreto 39.
Il massimo risarcimento erogato nel caso in cui si determini un riconoscimento del 100% non potrà essere superiore a 200.000 euro.
Per invalidità riconosciute in misura inferiore si procederà all'indennizzo calcolando 2.000 euro a punto percentuale.
Le domande devono essere presentate, a pena di decadenza secondo i termini indicati nell'articolo 3 del Decreto che fissa il termine in 6 mesi dall'entrata in vigore del Decreto 39 (riferendosi presumibilmente a fatti pregressi) mentre per gli eventi dannosi (patologie contratte a causa dei metalli di cui all'articolo 1) verificatisi successivamente all'entrata in vigore del decreto il termine viene fissato entro i 6 mesi successivi
In ordine all’indennizzo, il Legislatore ha ritenuto di adottare, in materia, i criteri previsti dalla legislazione nazionale in materia di danni riportati dalle vittime di azioni di terrorismo e di criminalità organizzata, disciplinati agli artt.1 e ss. della legge n.302 del 1990, in quanto caratterizzati dalla medesima ratio indennitaria e risarcitoria ravvisabile anche nella fattispecie delle Vittime dell’Uranio impoverito.
Adottando tale criterio di calcolo, va osservato che alcune Consulenze Tecniche hanno determinato una percentuale del 60 /65 % nei casi di invalidità derivante dal danno biologico subito dall’ interessato, dando la possibilità di individuare un valore mediano dal 62,5% quale criterio di punti percentuali di invalidità risarcibile.
La proposta di risarcimento va effettuata dall’Amministrazione, ai sensi del comma 2 dell’articolo 35, entro il termine di 120 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica della sentenza nei casi in contenzioso.
Rimangono, tuttavia, ancora due questioni da evidenziare.
il Consiglio di Stato, nella sentenza innanzi citata, si è pronunciato sull’eccezione di difetto di competenza territoriale del T.A.R.
Il Consiglio di Stato, ritiene di condividere quanto affermato dal T.A.R. in alcune decisioni secondo le quali l’ipotesi di competenza funzionale presuppone l’attualità del rapporto di servizio e, pertanto, deve applicarsi l’ordinario criterio generale dell’estensione territoriale della Regione di residenza del ricorrente all’epoca dell’introduzione del giudizio.
Una questione non trattata dalla sentenza, invece, è quella relativa alla giurisdizione su tali richieste risarcitorie che, nel recente passato, è stata spesso contesa dal Giudice amministrativo e da quello Ordinario.
Secondo l’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, il riparto della giurisdizione, rispetto ad una domanda di risarcimento danni per la lesione della integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza, è strettamente subordinato all’accertamento della natura giuridica della azione di responsabilità proposta in concreto.
In conseguenza se viene fatta valere la responsabilità contrattuale dell’Ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo mentre, se è stata dedotta una responsabilità extra-contrattuale, la giurisdizione spetta al Giudice ordinario.
Quindi, appartiene alla giurisdizione del Giudice amministrativo la domanda proposta da un militare italiano nei confronti del Ministero della difesa per il risarcimento dei danni alla salute subiti in conseguenza dell’esposizione all'uranio impoverito «essendo stata dedotta quale condotta colposa dell’Amministrazione nell’averlo fatto operare in un ambiente irreversibilmente inquinato senza fornirgli le necessarie dotazioni di sicurezza e senza averlo informato dei rischi connessi all’esposizione e perciò sulla base di una condotta che non presentava un nesso meramente occasionale con il rapporto di impiego, ma costituiva la diretta conseguenza dell’impegno del militare in un “teatro operativo”, senza adempiere, secondo l’assunto, all’obbligo di provvedere alla tutela del personale impiegato nelle operazioni»
Le sentenze commentate definiscono, quindi, i limiti della responsabilità dell’Amministrazione della difesa per i danni subiti dal militare nello ambito dell’esercizio delle proprie funzioni, derivanti dall’esposizione ad una sostanza tossica e cancerogena come quella dell’uranio impoverito.
Tali decisioni, confermando la responsabilità dell’Amministrazione per i danni subiti dai militari in servizio, forniscono una interessante definizione dei rispettivi doveri nel rapporto tra Amministrazione della difesa e il militare impiegato nelle missioni “di Pace” all’Estero.
Nelle analisi viene delineata una responsabilità dell’Amministrazione a cui si ricollega un preciso dovere di proteggere il cittadino-soldato da ogni forma prevedibile e prevenibile di pericolo (non strettamente dipendente da azioni belliche) garantendogli i più adeguati strumenti di tutela per la sua salute e adottando ogni misura idonea ad evitare i danni derivanti da lesioni alla sua integrità fisica e morale oltre che biologica.
Per quanto riguarda i doveri del militare in servizio, invece, esso avrebbe il dovere giuridico di esporsi ad una serie di pericoli connessi alla sua presenza in un contesto di guerra (c.d. rischio bellico), ossia il pericolo recato dalle forze nemiche; i rischi inevitabilmente connessi con l’uso, il maneggio e la conservazione del materiale bellico, l’ontologica insidia recata dalla permanenza fisica in contesti operativi instabili e in quanto tali pericolosi, benché formalmente pacificati.
Tuttavia, tale dovere del militare di esporsi al c.d. rischio bellico non può essere inteso come base per affermare che sul militare gravi ogni tipo di rischio dipendente dalla sua presenza fisica nel teatro delle operazioni, poiché ad esso si contrappone il dovere della Amministrazione di proteggere il cittadino-soldato dagli altri pericoli in loco, ossia quelli non strettamente dipendenti dalle azioni belliche, dotandolo dei necessari presidi sanitari e di equipaggiamenti adeguati.
Pertanto, se sul militare grava il c.d. rischio bellico, sull’Amministrazione grava l’insieme dei diversi e ulteriori rischi connessi alla presenza del militare in tale contesto, sempre che siano rischi concretamente ed oggettivamente prevenibili, oltre al conseguente risarcimento dei danni patiti e patiendi dal militare o dai suoi Familiari superstiti.