L'articolo tratta l'argomento della modifica contrattuale del rapporto di lavoro, sia a tempo parziale, sia a tempo indeterminato, in particolar modo per quanto concerne la riduzione dell'orario di lavoro senza consenso scritto del lavoratore.
Giovedi 14 Maggio 2020 |
Le tipologie di contratto di lavoro a tempo indeterminato sono principalmente due ovvero il rapporto di lavoro a tempo pieno ed il rapporto di lavoro a tempo parziale (part-time), ma cosa accade se alle predette tipologie contrattuali vengono apportate modifiche, senza le modalità previste dal legislatore?
Iniziamo ad analizzare il caso in cui il datore di lavoro proponga una modifica delle condizioni contrattuali al lavoratore subordinato, più precisamente una trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. La norma di riferimento è l’art. 8, comma 2 del D. Lgs. n. 81/2015 che stabilisce che “Su accordo delle parti risultante da atto scritto è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale”.
Ai sensi della disciplina dettata dall’art. 5 del D.L. 726/84 è di fondamentale interesse per il lavoratore comprendere che l’accordo delle parti è una conditio sine qua non, in quanto tale trasformazione contrattuale non può avvenire a seguito della volontà unilaterale del datore di lavoro, necessitando, appunto, anche del consenso scritto del lavoratore subordinato (Cass. civ. sez. lav., 19/01/2018, n. 1375). Un’ ulteriore aspetto chiave sul quale è altresì opportuno soffermarsi è il requisito della forma ad substantiam, richiesto dalla natura particolare del contratto, e che pone come condizione necessaria per la validità del contratto, quanto stabilito dall’art. 1325 c.c. che nell’indicare i requisiti di validità di un contratto specifica che oltre ad accordo, causa ed oggetto, è necessaria la forma “quando risulta prescritta dalla legge sotto pena di nullità”.
Cosa accade nell’ipotesi di proposta di modifica unilaterale del contratto da parte del datore di lavoro, da tempo pieno a tempo parziale, seguito dal rifiuto del lavoratore, il quale tuttavia si adegua in concreto alla modifica unilaterale proposta? In tal caso, risulta illegittima la trasformazione in part-time del contratto a tempo pieno in quanto, il comportamento posto in essere dal prestatore di lavoro è comparato ad un erroneo mero consenso tacito (per facta concludentia), di conseguenza non è considerata legittima la predetta modifica contrattuale. Sulla base di tale principio è possibile fare riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione del 6 dicembre 2016, n. 25006 che si esprime a favore del lavoratore, nonostante il comportamento concludente di quest’ultimo.
La ragione sulla quale si basa la decisione della Corte di Cassazione ha come oggetto la modalità oraria essendo un elemento qualificante della prestazione oggetto del contratto a tempo parziale; infatti, la variazione, in aumento o in diminuzione, del monte ore pattuito costituisce una novazione oggettiva dell’intesa inizialmente concordata, e che quindi richiede una rinnovata manifestazione di volontà, pertanto non desumibile per facta concludentia dal comportamento successivo delle parti a norma dell’art. 1362 c.c. A tal proposito risulta indubbio come il ragionamento probatorio messo in atto dalla Corte territoriale, in mancanza di alcun accordo scritto in merito alla riduzione dell’orario di lavoro, ritenuta consensualmente concordata tra le parti proprio in base al comportamento concludente, non sia conforme ai principi di legge e di diritto dapprima enunciati e condivisi dalla Corte di Cassazione.
Per quanto concerne la riduzione dell’orario di lavoro dei contratti a tempo pieno è opportuno rimandare alla sentenza della Corte di Cassazione del 18 marzo 2004, n. 5518 che con la presente decisone ha rivisto i precedenti concetti attinenti alla suddetta materia. In particolare, si rimanda al rapporto di lavoro subordinato che in assenza di una prova scritta di un rapporto a tempo parziale (part-time), quest’ultimo si presume a tempo pieno in quanto l’obbligo di fornire la prova della consensuale riduzione della prestazione lavorativa è un onere che spetta al datore di lavoro. Inoltre, è opportuno rilevare come «il datore non possa unilateralmente ridurre o sospendere l’attività lavorativa e specularmente rifiutare di corrispondere la retribuzione: diversamente incorrendo nell’inadempimento contrattuale previsto in linea generale dalla disciplina delle obbligazioni corrispettive, secondo cui il rifiuto di eseguire la prestazione può essere opposto da un contraente (nella specie il datore di lavoro) soltanto se l’altra parte (il lavoratore) ometta di effettuare la prestazione da lui dovuta; ma non già quando questa sia impedita dalla volontà datoriale unilaterale, salva la prova a carico del medesimo di un’impossibilità sopravvenuta, a norma degli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c., fondata sull’inutilizzabilità della prestazione lavorativa per fatti non addebitabili al predetto, perché non prevedibili, né evitabili, né riferibili a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero ad un calo di commesse o a crisi economiche o congiunturali o strutturali, fatto salvo, ovviamente, un eventuale accordo tra le parti.» (Cass. 16 aprile 2004, n. 7300, id., Rep. 2004 cit., n. 1148).
In relazione a quest’ultimo aspetto ovvero alla prova di un tale accordo, la diversa forma contrattuale del rapporto a tempo pieno rispetto a quello a tempo parziale richiede una diversa e coerente modulazione dell’onere della prova. Esso può, infatti essere assolto, quanto alla modifica delle originarie condizioni contrattuali per facta concludentia, e ciò anche se il contratto sia stato stipulato per iscritto, fermo restando il divieto di unilaterale riduzione (Cass. 14 marzo 2006, n. 5496, id., Rep. 2006, n. 1263). In tal caso, è giusto ritenere, sotto il profilo di diritto, il ragionamento probatorio posto in essere dalla corte territoriale, che ha considerato la variazione in riduzione dell’orario lavorativo, in assenza di un accordo scritto, consensualmente pattuito tra le parti in base al loro comportamento concludente così come accertato sulla base delle scrutinate risultanze testimoniali.
In via riepilogativa e conclusiva, la Suprema corte ha ritenuto che la modalità di variazione in riduzione ovvero la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale è legittima, ai sensi del D. Lgs. n. 81 del 2015, ma solo sulla base di un accordo scritto fra il datore di lavoro e il lavoratore, risultando illegittima la trasformazione in part-time sulla base della determinazione unilaterale ovvero del mero consenso tacito (per facta concludentia) del prestatore di lavoro. In relazione a predetta modalità è richiesto il consenso scritto delle parti in caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale (part-time) in rapporto di lavoro a tempo pieno.
Altresì è stata riconosciuta illegittima la variazione, sia in aumento sia in riduzione, dell’orario di lavoro del contratto a tempo parziale (part-time), in quanto l’elemento principale di tale contratto è costituito dal monte ore originariamente pattuito, e di conseguenza necessita di una rinnovata manifestazione di volontà che non può essere rappresentata dal comportamento concludente del lavoratore che si adegua a predetta variazione dell’orario lavorativo. In merito all’articolazione interna al rapporto di lavoro a tempo pieno, la Suprema corte, ritiene che, fermo restando il divieto di modifica unilaterale del contratto da parte del datore di lavoro, è da ritenersi legittima la variazione in riduzione dell’orario di lavoro a cui il lavoratore acconsente per comportamento concludente.
Di conseguenza, è opportuno rilevare che trova applicazione solamente l’obbligo relativo all’onere della prova in capo al datore di lavoro, il quale deve appunto dimostrare che si sia formato il consenso del lavoratore sulla riduzione oraria in peius, ancorchè per facta concludentia.