Con l’ordinanza n. 20518/2019, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al contenuto che devono avere gli accordi transattivi, ai fini della loro validità, nelle controversie tra datore di lavoro e lavoratore relativamente alla parte in cui quest’ultimo rinuncia ai sui diritti.
IL CASO: La vicenda sottoposta all’esame dei giudici di legittimità nasce dal ricorso promosso da un lavoratore nei confronti del suo ex datore di lavoro dopo aver risolto consensualmente il rapporto con quest’ultimo con un accordo transattivo. Con il ricorso, il lavoratore chiedeva al Giudice affinchè condannasse il suo ex datore di lavoro alla corresponsione di una somma di denaro a titolo di indennità per ferie non godute e di retribuzione per lavoro straordinario. Il ricorso veniva accolto dal Tribunale, mentre in sede di gravame la sentenza di primo grado veniva parzialmente riformata. La Corte territoriale riconosceva, infatti, al lavoratore il diritto ad ottenere la sola retribuzione per il lavoro straordinario e non anche l’indennità per le ferie non godute. Avverso la sentenza di secondo grado veniva interposto ricorso per Cassazione dal datore di lavoro, rimasto soccombente, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 c.p.c. e segg. del codice civile avendo la Corte di Appello erroneamente interpretato il contenuto dell’accordo transattivo sottoscritto disconoscendo quanto in esso previsto ed osservando che nel suddetto verbale il lavoratore aveva sostanzialmente rinunciato ad “ogni eventuale ulteriore credito o pretesa, anche di natura risarcitoria, comunque connessa al rapporto di lavoro”.
LA DECISIONE: Con la sentenza in commento, gli Ermellini ritenendo corretta la decisione impugnata, hanno rigettato il ricorso, osservando che l’accordo transattivo era da considerarsi valido ed efficace relativamente all’indennità di ferie maturate e non godute, dove vi era stata una espressa e puntuale rinuncia da parte del lavoratore e che il suddetto accordo non era stato impugnato nel termine di sei mesi previsto dall’art. 2113 del codice civile, mentre era da considerarsi nullo per ‘indeterminatezza dell’oggetto’ nella parte in cui faceva genericamente riferimento agli altri diritti derivanti dal rapporto di lavoro intercorso, in quanto con la transazione era stata adottata una formula del tutto generica e, pertanto, non idonea da consentire al lavoratore di esprimere una volontà che presupponesse una rappresentazione esatta dei suddetti diritti.