La Cassazione, con l’ordinanza n. 23443 del 18 agosto 2025, ha stabilito che l’assegnazione della casa familiare al genitore convivente con figlio maggiorenne disabile richiede una convivenza stabile e attuale: non basta la prospettiva di un futuro rientro.
Giovedi 28 Agosto 2025 |
La tutela del figlio fragile resta centrale, ma deve fondarsi su un accertamento concreto e presente, evitando che la casa diventi un diritto automatico del genitore.
Con l’ordinanza n. 23443 del 18 agosto 2025 la Prima Sezione civile della Cassazione ha fissato un principio destinato ad incidere in maniera significativa sulle future pronunce in materia di diritto di famiglia.
Il caso trae origine dal divorzio tra due coniugi, la cui figlia, portatrice di handicap grave, era stata ricoverata sin dal 2018 in strutture residenziali specializzate. Nonostante ciò, il Tribunale e la Corte d’appello di Ancona avevano confermato l’assegnazione della casa familiare alla madre, ritenendo che l’abitazione dovesse restare a disposizione della figlia in quanto centro degli affetti e ambiente domestico originario, con l’ulteriore prospettiva che un giorno, al termine del percorso terapeutico, potesse farvi ritorno. Il padre aveva impugnato la decisione, sostenendo che, in assenza di una convivenza effettiva, non sussistessero i presupposti per mantenere l’assegnazione, e la Suprema Corte ha accolto le sue ragioni.
La Cassazione ha chiarito che le disposizioni dettate a tutela dei figli minori si applicano integralmente anche ai figli maggiorenni portatori di handicap grave, come previsto dall’art. 337 septies c.c., ma ha puntualizzato che il presupposto indefettibile per l’assegnazione della casa familiare è la verifica, in concreto e nell’attualità, di un legame stabile e continuativo tra il figlio disabile, l’abitazione e il genitore convivente che vi provvede quotidianamente alla sua cura e assistenza. Non è quindi sufficiente valorizzare la memoria affettiva del luogo né ipotizzare un futuro rientro incerto: la tutela deve fondarsi sulla realtà presente. La Corte ha cassato la sentenza di appello, rinviando ad un nuovo esame della vicenda che tenga conto del principio di diritto espresso.
La decisione è di grande rilievo pratico perché evita che l’assegnazione della casa familiare si trasformi in una sorta di diritto automatico o preventivo del genitore, scollegato dall’interesse concreto del figlio. L’orientamento mira a garantire che la protezione della persona fragile sia effettiva e calata nella realtà del momento, impedendo che la casa resti assegnata sulla base di scenari ipotetici e futuribili. In questo modo, la Cassazione rafforza l’idea che il diritto all’abitazione familiare non sia un beneficio astratto ma uno strumento di tutela strettamente ancorato alla convivenza reale e attuale.
La pronuncia si pone dunque come un punto fermo nella materia, ribadendo che la centralità della persona con disabilità deve essere coniugata con la verifica concreta delle sue esigenze di vita e di relazione, perché il diritto alla casa familiare vive solo se vive la convivenza.