Con l'ordinanza n. 10453 del 31 marzo 2022 la Corte di Cassazione torna ad analizzare le vicende familiari che possono legittimare la revoca dell'assegnazione della casa coniugale al genitore collocatario dei figli.
Lunedi 4 Aprile 2022 |
Il caso: il Tribunale di Padova pronunciava lo scioglimento del matrimonio tra Tizio e Mevia, assegnando la casa coniugale - di proprietà di Tizio - all'ex coniuge quale genitore collocatario del figlio minore; su ricorso di Tizio, il Tribunale di Padova revocava l'assegnazione della casa familiare, osservando che:
- dal 2018 la madre svolgeva attività lavorativa come medico presso struttura universitaria di altra città, disponendo ivi di un immobile;
- il figlio frequentava la scuola in altra sede e i loro rientri nella città di origine erano stati sporadici, a nulla rilevando che la stessa madre avesse un progetto professionale, ipotizzando di tornare ad abitare nella predetta città.
La Corte d'Appello respingeva il reclamo di Mevia, rilevando che:
- l'abitazione familiare ha perso la funzione di abitazione principale per la madre e il minore, il quale vi aveva soggiornato solo dal 2018 al Natale 2020;
- il trasferimento avvenuto nel 2018 in altra città aveva comportato la definitiva perdita per l'immobile della qualità di casa familiare, avendo il figlio vissuto per un periodo continuativo e in modo stabile in altra città, figlio al quale non occorreva assicurare l'ambiente domestico dove aveva vissuto fino alla separazione dei genitori;
- non era altresì prospettabile che, a seguito delle recenti decisioni della madre, l'ex casa familiare potesse tornare ad assumere la funzione avuta in passato, ma persa nel 2018, non essendo essa suscettibile di reviviscenza per effetto del trasferimento di scuola del gennaio 2021 e della più recente modifica della sede lavorativa della madre.
Mevia ricorre in Cassazione, che, nel respingere il ricorso, ribadisce i seguenti principi:
a) in materia di divorzio, l'assegnazione della casa familiare all'ex coniuge affidatario prevista dall'art. 6, comma sesto, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall'art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74) risponde all'esigenza di conservare l'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare;
- ne consegue che, ove manchi tale presupposto, per essersi i figli già sradicati dal luogo in cui si svolgeva la esistenza della famiglia - indipendentemente dalla possibilità di una ipotetica riunione degli stessi al genitore già affidatario - viene meno la ragione dell'applicazione dell'istituto in questione, che non può neanche trovare giustificazione nella circostanza che il coniuge già affidatario sia comproprietario dell'immobile in questione, salvo che ricorra un accordo, anche tacito, tra le parti in tal senso, rimanendo, in caso contrario, i rapporti tra gli ex coniugi regolati dalle norme sulla comunione, e, in particolare, dall'art. 1102 cod. civ.;
- peraltro, la misura in discorso non può assolvere alla funzione sua propria di preservare la continuità delle abitudini e delle relazioni domestiche dei figli nell'ambiente nel quale durante il matrimonio esse si sviluppavano in ogni caso in cui, a seguito della separazione, la casa familiare abbia cessato di essere tale, con conseguente preclusione della possibilità di reviviscenza del diritto all'assegnazione della casa.