Una delle problematiche che sta suscitando un acceso dibattito sulla applicazione del nuovo Istituto processuale della Giustizia Riparativa è costituito dal consenso della Vittima sia o meno costituita Parte Civile in giudizio ed, in primo luogo,un punto cruciale è rappresentato dalla valenza di un eventuale diniego dell’offeso all’accesso ai programmi previsti per la riparazione del danno subito.
Venerdi 6 Settembre 2024 |
Come affermato in Dottrina,la introduzione del nuovo Istituto sposta il baricentro del processo in direzione (e dalla parte) della vittima,modificando il tradizionale assetto triadico del nostro processo penale fondato sulla dialettica pubblico ministero- imputato-giudice.
Ne consegue la necessità di verificare, in concreto,il ruolo ricoperto dalla Vittima nel “nuovo” processo e i diritti alla stessa riconosciuti dalla Riforma.
La tutela della Vittima nell’Unione Europea
A livello sovranazionale,il consenso informato della vittima è precondizione dello svol- gimento di restorative justice programs in funzione del richiamo,operato dalla Direttiva 2012/29/UE,alla tutela dell’esclusivo interesse della Vittima del fatto reato..
Invero, è stata la Decisione quadro 2001/220/GAI,relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale,a gettare le basi di una tutela generalizzata della stessa..
Tale provvedimento,anzitutto,ha fornito una prima definizione della vittima, individuan- dola nella persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro.
Il provvedimento,infatti,richiedeva che ciascuno Stato membro prevedesse nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime affinché alle stesse fosse garantito un trattamento rispettoso della dignità personale durante il procedimento giudiziario e, in conseguenza,la possibilità di porre in discussione i provvedimenti assunti inn favore dell’imputato ed in spregio degli interessi dllo stessso lessi. .
Tale Decisione,mai attuata in Italia,è stata sostituita nel 2012 dalla Direttiva 2012/29/UE che,statuendo norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime dei reati,rivede e integra i principi enunciati nella Decisione quadro.
In effetti,la Direttiva considera il reato come una violazione dei diritti individuali delle vittime,oltre che come fatto socialmente dannoso, e, dunque,stabilisce che i diritti in essa previsti vadano assicurati indipendentemente dal fatto che l'autore del reato sia identifi cato, catturato, perseguito o condannato e indipendentemente dalla relazione familiare tra quest'ultimo e la vittima.
Tra i diritti fondamentali riconosciuti alla vittima vi è,in primo luogo,quello di ricevere informazioni in modo agevolmente comprensibile sin dal primo contatto con le Autorità, al fine di poter prendere parte al procedimento e prevede che venga garantito un servizio di traduzione,se sia alloglotta.nonché un’assistenza legale gratuita, per il caso in cui la vittima non possa permettersi un difensore.
E’ previsto, altresì, il diritto della vittima ad essere assistita da ulteriori servizi gratuiti di supporto(non ancora istituiti in Italia) sin dal primo contatto con l'Autorità giudiziaria ed indipendentemente dalla presentazione di una formale denuncia/querela..
Sono previsti,inoltre,diversi diritti di partecipazione al processo penale ed, in particolare, per i reati più gravi, la possibilità per la vittima di impugnare le decisioni di non luogo a procedere ma non quello di dissentire dal provvedimento ammissivo alla Giustizia Riparativa dell’autore del reaato. .
Ulteriore previsione concerne il diritto al patrocinio a spese dello Stato, secondo le condizioni stabilite dal diritto nazionale,nonché il diritto all'assenza di contatti con l'autore del reato.
E' sancita,inoltre,una valutazione individuale delle singole esigenze di protezione delle vittime per alcune categorie che necessitano di particolare protezione oome per i minori, i disabili, le vittime del terrorismo, le vittime di violenza di genere, e coloro che abbiano relazioni strette con l'autore del reato anche per la propria incolumità.
Viene,da ultimo, individuata la necessità di istituire possibili forme di Giustizia Riparativa, quali la mediazione tra vittima e autore del reato, da attuarsi solo previa richiesta ed assenso della vittima stessa, oltre che nell'interesse di quest'ultima.
Più nel dettaglio,il presupposto per poter affermare tutti i diritti di partecipazione della vittima al processo penale previsti dalla Direttiva è che la vittima stessa sia messa in condizione di comprendere e di essere compresa per poter esprimere un consenso effettivo e libero al programma riparatio ovvero un proprio dissenso motivato dinanzi al Giudice del procedimento..
Uno degli elementi innovativi della Direttiva è stata pure l'affermazione del diritto della vittima ad essere protetta dal rischio di vittimizzazione secondaria nell'accesso a servizi di Giustizia riparativa (art. 12).
In effetti,alcune disposizioni della Direttiva sono dedicate alle misure di protezione delle vittime e dei loro familiari da ulteriori sofferenze derivanti dalla commissione dell'illecito con l'obiettivo è diminuire il rischio di vittimizzazione secondaria, ovvero di danni emotivi o psicologici scaturenti della denuncia del reato subito.
Si trattava,pertanto,di avviare un procedimento che permettesse alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente e,se vi consentono, liberamente,alla risoluzione delle questio ni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale c.d. facilitatore o mediato re appositamente formato.
A tal fine gli Stati sono stati invitati a:
salvaguardare la dignità della vittima durante gli interrogatori e le testimonianze e anche a proteggere fisicamente la vittima e i suoi familiari (art. 18);
provvedere anche relativamente ai locali in cui si svolge il procedimento penale per garantire il diritto della vittima a non avere contatti con l'autore del reato (art. 19).
Sempre in relazione alla partecipazione della vittima al procedimento penale, la Direttiva richiede agli Stati membri (art. 20) che:
dopo la presentazione della denuncia, la vittima sia ascoltata senza ritardo;
l’ascolto della vittima e le visite mediche della stessa siano previste solo se strettamente necessarie ai fini dell'indagine;
la vittima possa essere sempre accompagnata dal rappresentante legale o da persona di fiducia.
La Direttiva richiede,inoltre, che gli Stati garantiscano come presupposto essenziale ,che:
sia richiesto sempre il consenso della vittima e siano valutate come prioritarie le sue esigenze;
il consenso della vittima sia informato;
si possa ricorrere a tali istituti solo previo riconoscimento da parte dell'autore del reato delle sue responsabilità;
eventuali accordi siano raggiunti volontariamente;
il confronto tra le parti avvenga in modo riservato.
Le fonti citate in materia di restorative justice presuppongono,per l’accesso ai programmi anche il riconoscimento dei fatti essenziali del caso ad opera delle parti.
Sul punto la Direttiva 2012/29/UE richiede invece il riconoscimento al solo «autore del reato» (art. 12 §1 lett. c)) ma non trova alcun riscontro nella Legge di Riforma, stante la garanzia di non colpevolezza sino alla decisione finale prevista in Costituzione(’art 27)..
La Giustizia Riparativa introdotta dalla Riforma
Sta di fatto che,fra le proposte presentate dalla c.d. Commissione Lattanzi,istituita per contribuire iall’efficienza del processo penale, è stata inclusa l’emanazione di una legge organica in materia di Giustizia Riparativa «nel prevalente interesse della vittima» e con recepimento delle garanzie sovranazionali, compresa l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nei restorative justice programs (art. 9-quinquies).
In tale prospettiva, la Riforma Cartabia ha introdotto alcuni criteri direttivi per la possibilità di accesso delle parti ai programmi di giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale e durante l’esecuzione della pena,su iniziativa dell’Autorità giudiziaria competente, senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità, ma sulla base del consenso libero e informato della vittima del reato e dell’autore del reato e della positiva valutazione da parte del Giudice dell’utilità del programma in relazione ai criteri di accesso definiti dal Legislatore,senza, tuttavia. tenerne conto nella fase procedimentale, per quanto si dirà oltre. .
Tali principi sono stati recepiti nel testo dell’art.48 del DLgs 140/2022 che,con la intitola zione“Consenso alla partecipazione ai programmi di Giustizia Riparativa” sancisce:
Il consenso alla partecipazione ai programmi di giustizia riparativa è personale, libero, consapevole, informato ed espresso in forma scritta. È sempre revocabile anche per fatti concludenti.
Per la persona minore d’età che non ha compiuto gli anni quattordici, il consenso è espresso, previo ascolto e assenso della stessa, tenuto conto della sua capacità di discernimento, dall’esercente la responsabilità genitoriale o, nei casi di cui all’articolo 121 del codice penale, dal curatore speciale.
Per la persona minore d’età che ha compiuto gli anni quattordici, il consenso è espresso dalla stessa e dall’esercente la responsabilità genitoriale o, nei casi di cui all’articolo 121 del codice penale, dal curatore speciale. Qualora l’esercente la responsabilità genitoriale o il curatore speciale non prestino il consenso, il mediatore, sentiti i soggetti interessati e considerato l’interesse della persona minore d’età, valuta se procedere sulla base del solo consenso di quest’ultima. Restano fermi i limiti inerenti alla capacità di agire del minore.
Nel caso di interdetto giudiziale, il consenso è espresso dal tutore, sentito l’interdetto. Nel caso di inabilitato, il consenso è espresso dallo stesso e dal curatore. Nel caso di persona sottoposta ad amministrazione di sostegno, il consenso è espresso da quest’ultima, da sola o con l’assistenza dell’amministratore di sostegno, sulla base delle specifiche indicazioni contenute nei provvedimenti di cui agli articoli 405 e 407, comma 4, del codice civile.
Il consenso per l’ente è espresso dal legale rappresentante pro tempore o da un suo delegato.
Il consenso viene raccolto nel corso del primo incontro dal mediatore designato, alla presenza del difensore della vittima del reato e del difensore della persona indicata come autore dell’offesa, quando questi lo richiedono.
Per contro,le prime applicazioni di tale disciplina denotano la tendenza a considerare non necessario tale consenso per l’emanazione dei provvedimenti ammissivi ai pro- grammi di Giustizia Riparativa in base ad una discutibile formulazione dell’art.129 bis CPP,che regola gli aspetti procedurali dell’Istituto,divenuto oggetto di molte critiche da parte della Dottrina prevalente..
Infatti,al comma 3 la controversa norma stabilisce che”L'invio degli interessati è disposto con ordinanza dal Giudice che procede, sentite le parti, i difensori nominati e, se lo ritiene necessario, la vittima del reato di cui all'articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, qualora reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l'accer tamento dei fatti. Nel corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato”.
Tale erronea impostazione, che contraddice l ‘obbligo del consenso della Vittima,ha già trovato alcuni riferimenti importanti nelle prime decisioni che si riportano a titolo esemplificativo..
La Corte di Assise di Busto Arsizio, dopo la sentenza di condanna di primo grado e in pendenza dei termini per presentare l’appello, ha disposto l’invio dell’imputato condannato al Centro per la Giustizia Riparativa del Comune di Milano,nonostante l’opposizione del Pubblico Ministero e delle parti civili costituite,che avevano manifestato l’assoluta indisponibilità ad incontrare l’imputato in sede riparativa..
Il provvedimento è stato analizzato sia sotto il profilo del ruolo della vittima aspecifica (“Un freddo provvedimento giudiziale che si limiti a prendere atto dell’indisponibilità dei familiari a partecipare a un percorso riparativo e contempli de plano, come equivalente funzionale, la rapida sostituzione delle vittime dirette con quelle aspecifiche brucia i tempi del dialogo, e probabilmente la disponibilità futura dei familiari della vittima a riporre fiducia nel sistema di giustizia”),sia sotto quello del potere valutativo dell’A.G. che, in assenza di una motivazione sull’effettiva utilità del programma nel caso concre-to, potrebbe “determinare iniziative giudiziarie prevaricatrici delle strategie difensive dell’imputato oppure poco attente alle ragioni della vittima diretta” (Cfr. Paola Maggio e Francesco Parisi: “Giustizia riparativa con vittima surrogata o aspecifica: il caso Maltesi-Fontana continua a far discutere”, in Sistema Penale, scheda del 19 ottobre 2023).
In un altro caso recente,la Corte di Assise di Appello di Bolzano non ha disposto l’invio dell’imputato che uccise i genitori occultandone i cadaveri, evidenziando la gravità dei fatti contestati, il “breve” lasso di tempo intercorso (meno di tre anni) dall’omicidio, i rapporti “fortemente dolorosi ed emotivamente contrastanti” con le persone offese, e il fatto che l’istanza era stata avanzata solo quattro giorni prima dell’inizio del processo d’appello ed anche in questo caso la sorella e le zie dell’imputato avevano fatto sapere di non sentirsi pronte ad un incontro.
In entrambi i casi, il consenso dell’offeso,stabilito dal’art 48,innanzi richiamato,non ha costituito un elemento di valutazione per la decisone,come il suo dissenso, comunque manife stato,all’accesso ai programmi riparativi,in spregio alla norma prescrittiva innanzi richiamata ed ai più generali principi di tutela della Vittima sanciti dlla UE.
La norma processuale,inoltre,non fa alcun riferimento alla Vittima in quanto tale bensì solo alla parte offesa,ossia alla Vittima costituitasi parte civile (!!).
Durante la vigenza del precedente codice, la persona offesa dal reato aveva il compito di fornire al pubblico ministero informazioni utili per lo svolgimento della ’istruzione,nonché,attraverso la propria testimonianza,la prova a carico dell’imputa to in conformità con il modello prevalentemente inquisitorio di quel tempo, finaliz- zato alla ricerca della verità e poco attento alla tutela di interessi personali e individuali della Vittima..
Un cambiamento di rotta si è registrato con l’avvento del nuovo Codice di procedura penale, con la rafforzata la posizione della persona offesa dal reato a cui è stata attribuita la qualifica di soggetto processuale,mediante il riconoscimento di specifici diritti e “facoltà”,tra cui il diritto all’informazione, come innanzi ricordato.
Ma la vera e propria svolta verso un compiuto processo di valorizzazione della vittima, invece, si ravvisa nella lunga serie di imput promananti dall’Europa, a cui stanno,ancora, facendo seguito altri interventi normativi da parte del nostro Legislatore.(v.A.Zanpaglione,Alcune importanti innovazioni del DLgs 150/2022 in Riv Penale).
Come afferma l’Autore citato,nell’attuale e rinnovato assetto processuale, la persona offesa,nella sua veste di soggetto del procedimento, può esercitare i diritti e le facoltà espressamente riconosciuti dalla legge (art. 90, comma 1, CPP).
L’intervento riformatore ha investito anche l’art.90bis c.p.p. che contiene l’elenco di informazioni che devono essere fornite alla persona offesa sin dal primo contatto con l’autorità procedente.
Tra i poteri rientrano vi sono quelli meramente“sollecitatori”dell’attività dell’Autorità inquirente,come il presentare memorie o l’indicare elementi di prova nel corso del procedimento, ad eccezione del giudizio di cassazione.
Essa,inoltre, svolge il ruolo di accusa penale privata, accessoria e adesiva, rispetto a quella riservata al pubblico ministero,a cui spetta,in via esclusiva, il potere di azione.
La norma,quindi,da un lato,mira ad assicurare gli obblighi imposti dalla normativa europea e,dall’altro,evidenzia la inidoneità della Riforma ad inserire la Vittima del reato, in quanto tale,nell’alveo dei soggetti ammessi nelle dinamiche processuali,ed in ultima analisi,ad esercitare un proprio diritto di difesa,anche se non costituita parte civile.
Tuttavia,il Legislatore ha inserito,all’interno del Codice di rito penale,l’art. 90bis.1,che sancisce che anche la Vittima del reato deve essere informata in una lingua a lei comprensibile della facoltà di svolgere un programma di giustizia ripartiva, senza prevedere alcun rimedio sul suo dissenso..
Si riconosce in tal modo, anche a tale soggetto,ove non coincida con la persona offesa,il diritto di essere parte del programma di giustizia ripartiva,benché una vera parte-. cipazione al processo viene garantita unicamente con l’assunzione del ruolo di persona offesa e parte civile.
In conseguenza,da un lato,per la Direttiva europea “vittima”è la“persona fisica che abbia subito un danno,anche fisico, mentale o emotivo o perdite economiche che siano stati causati direttamente dal reato” mentre,dall’altro,il D.lgs. n. 150/ 2022 fornisce una definizione di Vittima,anzi una “nuova definizione”,da utilizzarsi solo nell’ambito della Giustizia Riparativa, identificandola con la persona fisica che abbia subito qualsiasi danno,dunque patrimoniale e non patrimoniale, nonché il familiare nel caso di morte (art. 42, comma 1, lett. b).come vittima aspecifica.
In questo assetto, appare evidente che il consenso informato da acquisire è unicamente quello della parte offesa e non più della Vittima in quanto tale,che costituisce una limitazione incompatibile conla più generale tutela sancita dalla UE(!!).
Nondimeno,a giustificazione della carenza normativa, si ritiene che,in tal caso,non vada sottovalutata la forte incidenza,sulle dinamiche e sull’esito dell’accertamen- to,della costituzione di parte civile della persona offesa,che sia anche soggetto “danneggiato” dal reato, poiché vede senza dubbio accrescere la propria posizione nella “fase processuale”.
La parte civile,infatti,non si limita a introdurre la domanda risarcitoria,ma diviene inevitabilmente una vera e propria accusa privata interessata all’accertamento della responsabilità penale dell’imputato quale presupposto della responsabilità civile.
Tale accusa,avendo un“interesse personale e diretto alla condanna dello imputato, risulta spesso più accanita di quella pubblica, finendo per generare un evidente squilibrio fra le parti processuali con una difesa posta di fronte di due accusatori, uno pubblico e uno privato (v autore citato)..
Ma vi è di più.
La norma procedurale introdotta dal Legislatore con l’art.129 bis suscita ulteriori perlessi- tà da parte della Dottrina oltre a dubbi di incostituzionalità ,come ricordato in questa Rivi sta dallo scrivente.
Come sostengono alcuni Autori (v.Bouchard, Commento al titolo IV del DLgs 150/2022 in Questione Giustizia)si tratta dell’unica norma ad aver suscitato qualche polemica nel merito a partire dalla sua collocazione nel Codice di Rito,dopo l’obbligo di immediata declarato ria delle cause di non punibilità ex art 127 CPP..
In base a siffatta norma, sia la Vittima che l’imputato, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale, possono presentare richiesta di accesso a un programma ripartivo.
L’istanza verrà presentata al pubblico ministero o al giudice a seconda della fase del pro cedimento penale.
Il Giudice, sentite le parti ed i difensori nominati, provvede con una Ordinanza motivata, ma discrezionale e non impugnabile,come sancito dalla Cassazione in recenti sentenze oggetto di commento su questa stessa Rivista..
Durante le indagini preliminari,il Pubblico Ministero provvede con decreto ma non è chiaro se abbia, anch’egli, l’onere di sentire gli interessati al percorso riparativo .
È auspicabile,quindi,che, provenendo la richiesta dall’indagato,lo stesso P.M. abbia cura di sentire la vittima al fine di acquisirne l’eventuale dissenso.
In entrambi i casi,la carenza della norma viene giustificata,nei commenti,con l’obbligo del Mediatore designato di raccogliere il consenso della vittima(art 48,comma 6) anche in forma scritta in sede di avvio delle attività previste dall’art 54 del provvedimento ammissivo nonché quello di ,accertare la fattibilità dei programmi previsti, salvo a chiudere il procedimento anticipatamente in caso di dissenso della Vittima ex art 57. Che stabilisce che “Il mediatore comunica all’autorità giudiziaria procedente anche la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo, fermo restando quanto disposto dall’articolo 58”
Dalle norme citate,emerge chiaramente che il mancato consenso manifestato in udienza dalla Vittima al Giudice finisce clon l’essere riconfermato al Mediatore e l’intero procedimento regredisce alla fase iniziale,stante l’esito ripartivo negativoin spregio alla celerità del processo voluta dal Legislatore per la introduzione della nuova disciplina..
Quello che pure occorre osservare è che,nei casi di dissenso manifestato in udienza,qua-
le sia la ragione che abbia indotto il Legislatore a consentire l’avvio di un programma riparatorio del tutto in conferente.
Come pure non si comprende la ragione di un accesso consentito a tutti senza individuare i reati più gravi che escludano il ricorso a tale strumento e, soprattutto, in quale fase processuale esso possa trovare una trmpestiva applicazione ai fini della riduzione della pena.
Manca infine un calcolo tabellare del risarcimento del danno patito dall’offeso o dai suoi familiari per poter assentire all’invio alla Mediazione penale delle parti coinvolte.
Sta di fatto che anche lo schema applicativo, come elaborato dalla CdA di Milano non fornisce migliore indicazione in proposito, atteso che esso stabilisce :
che l’accesso ai programmi sia consentito per qualsiasi tipo di reato a prescindere dall’individuazione in concreto di una vittima ovvero dall’assenso del consenso della vittima individuata.
che le parti siano sentite, in udienza o con contraddittorio cartolare, sui presupposti del rinvio ( utilita? del programma riparativo alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato e assenza di pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti) e che l’accertamento in ordine al consenso dell’autore e della vittima sia demandato in via esclusiva al Centro (in caso di diniego della vittima se ne fara? menzione nell’Ordi nanza di invio, affinché gli operatori del Centro ne siano informati e ne tengano conto).
che il Giudice possa indicare al Centro per la giustizia riparativa un arco temporale, di norma ricompreso tra i 3 e i 6 mesi ritenuto congruo per l’elaborazione e lo svolgi mento del programma.
che la graduazione delle riduzioni di pena in caso di esito riparativo può variare in funzione della valutazione da parte dell’Autorita? giudiziaria della ragionevolezza e della proporzionalita? dell’esito riparativo raggiunto.
che in caso di proscioglimento l’imputato possa presentarsi autonomamente presso il Centro di Giustizia Riparativa, producendo la sentenza, senza alcuna richiesta preventiva all’autorita? giudiziaria.
che nella fase dell’esecuzione, in cui l’esito riparativo può essere valutato ai fini dell’affidamento in prova al servizio sociale, l’invio sia disposto con provvedimento informale del magistrato di sorveglianza e non del direttore dell’istituto.
che in questa fase l’accesso sia “ampio e indiscriminato” ma “con valutazione dei presupposti solo in capo al magistrato di sorveglianza.
Tale schema individua anche il Giudice competente nel passaggio da una fase all’altra del processo e dà atto che le Linee guida sono state elaborate grazie alla collaborazione del Centro per la Giustizia riparativa del Comune di Milano al quale possono essere inviati i casi,in attesa dell’attuazione della ricognizione dei Centri di G.R.esistenti ad opera della Conferenza Locale(v.art. 92 D. Lgs. 150/22).
Inutile aggiungere che anche il Decreto correttivo di tali disposizioni (n.31/2024) non ha
provveduto ad eliminare le discrepanze innanzi segnalate e tanto meno la più recente Giurisprudenza della Cassazione sull’obbligo di informazione delle partecipazione sancito dalla Direttiva Europea innanzi citata...
L’orientamento della Cassazione
La Cassazione. ha. infatti,affermato che le nuove previsioni contenute negli artt. 129-bis e 419, comma 3-bis, c.p.p.“non contemplano alcuna ipotesi di nullità nel caso di mancata applicazione“ e che in particolare, l’art. 129-bis c.p.p. “nel prevedere la possibilità che il Giudice disponga d’ufficio l’invio delle parti ad un Centro per la mediazione, si limita a disciplinare un potere. essenzialmente discrezionale, riconoscuito al Giudice, senza intro durre espressamente un obbligo di attivarsi”.
Inoltre ,in relazione al contenuto della valutazione del Giudice,ha affermato che “l’opzione circa la sollecitazione del procedimento riparativo è dettata da una serie di valuta zioni che attengono alla tipologia del reato, ai rapporti tra l’autore e la persona offesa, all’idoneità del percorso ripartivo a risolvere le questioni che hanno determinato la commissione del fatto”, e che l’avviso (alle parti) “ha solo una finalità informativa e, peraltro, si inserisce in una fase in cui l’imputato beneficia dell’assistenza difensiva, con la conseguenza che dispone già del necessario presidio tecnico finalizzato alla migliore valutazione delle molteplici alternative processuali previste dal codice,ivi compresa quella di richiedere l’accesso al programma di giustizia riparativa“.
Si tratta di una decisione in contrasto con un’altra Sezione della stessa Suprema Corte che,sul punto,afferma la nullità del procedimento in mancanza dell’avviso alle parti.
Va sottolineato, comunque che,al di là della valutazione del Giudice,l’imputato può prendere parte autonomamente ad un programma di Giustizia Riparativa e può farlo, evidentemente, anche su suggerimento di terzi o del suo difensore,in qualunque fase del processo e, comunque, prescindendo dal consenso della Vittima, come stabilito da altre sentenze che escludono persino la impugnabilità delle Ordinanze ammissive da parte dell’offeso ,come innanzi ricordate sulla base di una ritenuta separazione del procedimento riparatorio da quello primario da cui, pure, scaturisce..
Anzi,si ritiene che lo stesso Giudice potrebbe suggerire all’imputato di rivolgersi ad uno dei Centri per la giustizia riparativa esistenti ed operanti in molte Regioni e potrebbe valutare l’eventuale percorso effettuato dall’imputato in precedenza nel determinare l’entità della pena ai sensi dell’art. 133 C.P..
Tale affermazione sottintende che l’approccio al nuovo Istituto dovrebbe permeare,in generale, i rapporti interpersonali e, al di là del suo innesto nel processo e degli effetti sulla pena e dovrebbe connotare l’area penale rientrando a pieno titolo nel modello della giustizia di comunità che comprende ogni Istituto che preveda la presa in carico dell’autore di reato e della Vittima e l’organizzazione dei relativi servizi sul territorio, benché ancora inattuati come pure i Centri da istituire per la Mediazione penale. .
In realtà,come sostiene Bouchard(v opera citata),se una critica deve essere mossa, essa non attiene tanto alle garanzie dell’accusato quanto alla tutela della vittima(!!).
È curioso che, di fronte a una disciplina organica della giustizia riparativa che «si affianca, senza sostituirsi, al processo penale, nell’interesse della vittima di reati» (come afferma il comunicato ufficiale del Ministero della giustizia del 5 agosto 2022), nessuno abbia commentato l’art. 129-bis CPP rispetto al ruolo dell’offeso ed al diritto da riconoscere allo stesso di opporsi, per ragioni giustificate e giustificabili.
Il Giudice,infatti, in vista dell’invio, è tenuto a sentire le parti e i difensori nominati ma. non la Vittima, benché l’accesso ai programmi presuppone la loro pari dignità.
Ancor più preoccupante è la spiegazione di tale scelta,fornita dalla Relazione al Decreto
Attuativo (D.Lgs 150(2022)che sarebbe quella di «non appesantire eccessivamente il procedimento onerando il giudice della ricerca della vittima e della sua audizione»,con buona pace delle indicazioni della UE
Conclusioni
In definitiva,come affermato da alcuni Autori (v.E. Guido,Vittima di reato e tutela proce ssuale a due facce,in Archivio Penale) l’atto di mettere al centro del procedimento penale la Vittima ha comportato due effetti.
Il primo è che continuando a utilizzare la definizione tradizionale dell’offeso dal reato come colui che riveste un ruolo secondario nel procedimento penale, non dà luogo ai diritti della Vittima in quanto tale..
Il secondo deriva dalla consapevolezza del fatto che la Vittima,per come viene definita e protetta a livello europeo,va tutelata dalla giustizia penale quale soggetto passivo del reato a cui compete il diritto di esprimere o meno il proprio consenso/dissenso alla procedura riparatoria come parte essenziale della stessa e non come spettatore silente di decisioni inappropriate alla gravità del reato o alle conseguenze economiche e morali sofferte dalla stessa neppure quantificabili..
Si muovono, ma non a sufficienza,nell’alveo di un necessario cambiamento culturale gli interventi normativi che,a partire dalla Direttiva UE,si sono susseguiti nell’intento di un maggiore rafforzamento dei diritti delle vittime, soprattutto di quelle ritenute in sé vulnerabili, come pure l’introduzione, in attuazione dell’art. 1 comma 18 della Legge delega e del titolo IV del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, di una disciplina organica della Giustizia Ripartiva che si conformi alle prescrizioni della UE..
Proprio la prospettiva europea obbliga,infatti,a rivedere la posizione di chi subisce il fatto criminoso sotto un’altra luce: nell’aspetto connesso alla tradizione giuridica di ciascun Paese membro,con l’obiettivo di tutelare la vittima tout court ed i suoi diritti di informazione, di assistenza e di protezione nel e dal processo.
In una tale ottica ,la implementazione dei diritti da riconoscere alle vittime vengono inevitabilmente a intersecarsi con i principi cardine del nostro processo penale:
principio di legalità (art. 111 comma 1 Cost.);contraddittorio, quale connotato della giurisdizione (art. 111 comma 2 Cost.) e metodo di accertamento del fatto di reato e della responsabilità dell’imputato (comma 4);la difesa (art. 24 comma 2 Cost.) e la presunzione di non colpevolezza (art. 27 comma 2 Cost.).
In definitiva, l’interesse della Vittima, e/o della persona offesa non è soltanto che sia avviato l’accertamento dei fatti così da vedere realizzata la propria pretesa punitiva,questione , questa,su cui il legislatore della Riforma è,comunque,intervenuto..
L’interesse della Vittima non è soltanto ricevere tutela dal e nel processo,sul presuppo sto che esso può rivelarsi esperienza suscettibile di acuire il trauma dell’illecito subito.
Il suo interesse è avere riparazione dell’offesa patita ed é questa specifica protezione la vera ragion d’essere ma non l’unica della Giustizia Riparativa.