Con la sentenza n. 376/2024 del 21/10/2024, pubblicata sul sito web Codice Deontologico Forense in data 22/04/2025,il Consiglio Nazionale Forense si è pronunciato sul valore probatorio dei messaggi whatsapp nei procedimenti disciplinari contro gli avvocati.
Venerdi 23 Maggio 2025 |
IL CASO: La vicenda esaminata nasceva da un esposto presentato da un ex cliente nei confronti di un avvocato, il quale deduceva di aver conferito incarico a quest’ultimo di assisterlo nell’ambito del giudizio di separazione giudiziale da promuovere contro la moglie.
Con l’esposto, il cliente evidenziava di:
aver consegnato al legale un acconto di euro 700,00;
di aver ricevuto nelle successive settimane rassicurazioni a mezzo di messaggi telefonici in merito all’avvenuto deposito del ricorso e di essere in attesa della fissazione dell’udienza;
di aver accertato successivamente che il ricorso non era mai stato depositato e di aver, pertanto, richiesto all’avvocato la restituzione dell’acconto;
che alla richiesta della restituzione dell’acconto, il legale aveva risposto con un messaggio « whatsapp » richiedendo il codice iban.
A fondamento di quanto dedotto, il cliente allegava copie e trascrizioni di diversi messaggi WhatsApp a conferma dei rapporti e delle conversazioni intercorsi con il legale.
Il giudizio incardinato innanzi al Consiglio Distrettuale di Disciplina si concludeva con l’irrogazione a carico del legale della sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per due mesi.
La decisione veniva impugnata dal legale il quale, tra i motivi del gravame, deduceva l’erronea valenza probatoria attribuita ai documenti prodotti dall’ex cliente, avendo il Consiglio Distrettuale di Disciplina acriticamente ritenuto veritiere le dichiarazioni dell’esponente e la ricostruzione dei fatti da questi operata, oltre ad attribuire efficacia probatoria alla riproduzione cartacea di istantanee dello schermo di uno smartphone contenenti conversazioni whatsapp.
LA DECISIONE: La decisione impugnata è stata ritenuta corretta dal Consiglio Nazionale Forense il quale, nel rigettare il ricorso promosso dal legale, ha osservato che:
il Consiglio Distrettuale di Disciplina non aveva acriticamente conferito valore a messaggi WhatsApp, ma aveva compiutamente valutato le dichiarazioni rese in dibattimento dal teste-esponente all’esito di una articolata audizione, rapportandole alle risultanze emergenti dalla documentazione allegata all’esposto e considerando il comportamento processuale assunto dall’incolpato;
anche per la giurisprudenza di legittimità “i messaggi ‘whatsapp’ e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 cod. proc. pen., non versandosi nel caso di captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì nella mera documentazione ‘ex post’ di detti flussi” (Cass. Sez. Pen. 3, n. 8332 del 05/11/2019, dep. 02/03/2020);
nei processi innanzi l’autorità giudiziaria penale, è considerata legittima l’acquisizione come documento di messaggi sms o whattapp inviati dall’imputato sul telefono cellulare della madre della persona offesa e da questa fotografati e consegnati alla polizia giudiziaria, mediante la realizzazione di una fotografia dello schermo di un telefono cellulare sul quale gli stessi sono leggibili.