Il provvedimento, benché persegua principalmente l’obiettivo dichiarato di rafforzare specifici diritti per le vittime (in particolare: informazione, assistenza, protezione e partecipazione) richiede che alla persona offesa venga assegnato un chiaro ruolo nel sistema di giustizia penale nazionale.
Inoltre, la Direttiva disciplina le prerogative di tutte le vittime, indicando le modalità di individuazione delle vittime vulnerabili e come tali meritevoli di particolari strumenti di tutela, pure disciplinati nel testo del provvedimento.
Nel nuovo sistema processuale delineato dal Legislatore europeo, il rafforzamento della posizione del soggetto leso passa innanzitutto attraverso l’estensione soggettiva della nozione di “vittima”, con cui la Direttiva indica “una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo,o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato”
Per contro,fino alla Riforma Cartabia,il Legislatore italiano non menziona mai la “vittima”, ancorato al secolare dualismo fra persona offesa, titolare dell’interesse protetto dalla norma penale violata, e la parte civile, che patisce le conseguenze patrimoniali e/o morali del reato.
Mentre al primo spettano diritti e facoltà finalizzati ad assicurare una partecipazione al procedimento e all’esercizio di attività di sollecitazione e di impulso probatorio, al solo danneggiato sono conferiti,invece, tutti i diritti e i poteri di una vera e propria parte processuale,ma solo dopo la sua formale costituzione di parte civile
Nonostante non sia questa la sede opportuna per dilungarsi sul percorso che ha condotto l'Europa a 'riscoprire' la vittima, basterà ricordare come essa sia stata il primo soggetto processuale a vedersi riconosciuta una protezione penale dal diritto comunitario, in forza della Decisione quadro 2001/220/GAI, peraltro mai attuata dall'Italia.
Nel recentissimo passato, poi, anche altri fondamentali testi sovranazionali hanno riguardato, a vario titolo, l'offeso e sono stati adottati sia in seno al Consiglio d'Europa (in particolare, le Convenzioni di Istanbul e di Lanzarote), sia in ambito europeo,unitario (come la Direttiva 2004/80/CE, relativa all'indennizzo delle vittime di reato, e quelle emanate nel 2011 sulla tratta degli esseri umani, la violenza sessuale e l'ordine di protezione penale).
Il 24 giugno 2020, la Commissione europea, sulla base della considerazione che le vittime di reato sono ancora impossibilitate a far valere pienamente i loro diritti, a causa di un incompleto recepimento e/o di un’errata attuazione, nei singoli ordinamenti giuridici nazionali, del complesso normativo adottato dall’Unione europea, aveva delineato una strategia per rafforzare i diritti delle vittime. Con il documento intitolato “Per una nuova strategia dell’UE in materia di diritti delle vittime 2020/2025 – For a new EU victims’rights strategy 2020/25”.
La Commissione aveva,così,definito le azioni che dovranno essere realizzate negli anni 2020/2025, incentrandole principalmente sulle seguenti cinque priorità:
1. Garantire una comunicazione efficace con le vittime e un ambiente sicuro affinché le vittime possano denunciare i reati;
2. Migliorare la protezione e l’assistenza delle vittime più vulnerabili;
3. Agevolare l’accesso delle vittime al risarcimento;
4. Rafforzare la cooperazione e il coordinamento tra tutti i soggetti competenti in materia di diritti delle vittime;
5. Rafforzare la dimensione internazionale dei diritti delle vittime. Pur continuando a verificare, nel frattempo, l’efficacia delle normative comunitarie nei singoli Paesi e le loro eventuali lacune,
Di certo la successiva Direttiva 2012/29/UE ha avuto il merito di delineare, per la persona offesa, una chiara posizione nell’ambito del procedimento penale, tanto da essere definita un autentico corpus juris dei diritti delle vittime di reato.
Senza soffermarsi oltre sul contenuto, ne commentiamo i passaggi più significativi e la normativa emanata dal Legislatore Italiano dopo il suo recepimento, sebbene non nella sua totalità,per quello che diremo oltre.
La Direttiva è organizzata in macro-aree, dedicate rispettiva mente al diritto della vittima all'informazione (artt. 3-7); al diritto di accedere ai servizi di assistenza (artt. 8-9); al diritto di partecipare al procedimento penale (artt. 10-17); e, infine, al diritto di ricevere protezione, individualizzata a seconda di eventuali, specifiche esigenze di tutela (18-23).
In conseguenza Il DLgs n. 212/2015, che ha recepito il provvedimento,ha modificato otto articoli del codice di rito penale (artt. 90, 134, 190-bis, 351, 362, 392, 398 e 498 c.p.p.),ed ha coniato quattro nuovi articoli (artt. 90-bis, 90-ter, 90-quater, 143-bis c.p.p.) e due norme di attuazione (artt. 107-ter e 108-ter disp. att. c.p.p.).
Sono state,inoltre,inserite due nuove disposizioni, che riconoscono alla persona offesa il diritto di essere informata in merito al procedimento penale anche nella lingua dello stesso se alloglotta..
La novella legislativa ha in questo senso ottemperato a quanto prescritto dal legislatore europeo, il cui dichiarato intento è quello di far sì che la vittima divenga un soggetto processuale a tutti gli effetti, consapevole e informato dei propri diritti e poteri ed in grado di gestirli ed esercitarli dentro e fuori la sede processuale.
La tutela dei soggetti vulnerabili
Altre significative novità apportate dal d.lgs. 212/2015 riguardano un tema particolarmente caro al legislatore europeo, vale a dire la condizione di particolare vulnerabilità in cui possono versare alcune vittime di reato in ottemperanza a quanto prescritto dall'art. 23 della Direttiva («Diritto alla protezione delle vittime con esigenze specifiche di protezione nel corso del procedimento penale»).
Tali innovazioni che sono relative all’informazione alla partecipazione, dall’assisten za alla protezione della Vittima, si collocano sul terreno dell’equo processo europeo non solo per chi commette il reato, ma anche per chi lo subisce (!!).
In particolare,in un’ottica di rafforzamento della posizione delle vittime di reato nonché di salvaguardia delle stesse rispetto a fenomeni di vittimizzazione secondaria, è stata introdotta, con l’articolo 90-quater, l’espressa definizione della condizione di vulnerabilità.
Sul punto si è ritenuto che, la “condizione di particolare vulnerabilità” della persona offesa è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede.
Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e “se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato».
Con riferimento all'esame della vittima in dibattimento, il legislatore è intervenuto sul comma 1-bis dell'art. 190-bis c.p.p., che ora estende il limite al diritto alla prova - costruito sull'ammissibilità dell'esame ‹‹solo se riguarda fatti o circo stanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze›› - a tutte le persone offese che versino in condizione di particolare vulnerabilità.
Tale nuova deroga all'art. 190 c.p.p. si affianca così a quella, già esistente, in favore del minore di anni sedici, in pendenza di alcuni reati di violenza sessuale e pedofilia.
Infine il d.lgs. 212/2015 ha modificato l'art. 498, comma 4-quater, c.p.p., eliminando quel limite oggettivo che riservava la possibilità di adottare modalità protette durante l'audizione della vittima particolarmente vulnerabile soltanto per i casi in cui si procedeva per i reati indicati al precedente comma 4-ter. Ora, invece, secondo la nuova formulazione dell'art. 498, comma 4-quater, c.p.p., indipendentemente dalla contestazione,qualora occorra procedere all'esame di una persona offesa che versi in condizione di particolare vulnerabilità.
In tali casi il Giudice, su richiesta dell'offeso,potrà disporre l'adozione di modalità protette, vale a dire l'impiego dell'esame schermato dal vetro specchio, l'esame condotto dal presidente o l'esame protetto secondo le forme previste dall'art. 398, co. 5-bis, c.p.p.
Altre modifiche introdotte riguardano la disposizione di un accertamento tecnico,in caso di dubbio sulla minore o maggiore età della vittima, prevedendo – ove il dubbio permanga – una presunzione di minor età (art. 90, comma 2-bis, c.p.p.);
Inoltre, è prevista l’estensione all’ incidente probatorio delle modalità protette alle vittime vulnerabili, indipendentemente dalla loro età e dal reato per cui si procede.
La normativa ha condiviso la necessità di riordinare le modalità di accesso all’incidente probatorio atipico, estendendolo ai casi di audizione della vittima vulnerabile, con l’introduzione del comma 1 ter dell’art. 392 c.p.p.
Del pari è stata riconosciuta è l’opportunità di aggiornare il testo del comma 1 bis dell’art. 190 bis c.p.p.
Infine, si è condivisa la scelta di ritoccare le disposizioni di cui agli artt. 351 e 362 c.p.p. prevedendo l’ausilio dell’esperto in ogni caso di audizione di una persona offesa vulnerabile.
Il provvedimento adottato non ha ritenuto di disporre l’obbligatorietà della video ripresa, sollecitata per gli artt. 351, 362 e 391 bis c.p.p., disponendo ad ogni modo che «In ogni caso (si) assicura che la persona offesa particolarmente vulnerabile (…) non abbia contatti con la persona sottoposta ad indagini e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessità dell’indagine.».
In tal senso, le buone prassi interpretative e applicative suggeriranno comunque il ricorso sistematico alla registrazione video, evitando di lasciare spazio a forme di documentazione meno garantite, inidonee perciò a salvaguardare tanto il diritto della vittima di non dover ripetere l’esame, quanto quello dell’incolpato di poter disporre del supporto video della deposizione incriminante.
Nondimeno la modifica dell’art. 134 c.p.p. non si esprime in termini di obbligatorietà atteso che il nuovo comma 4 dispone che, nel caso di audizione della persona offesa che versa in condizioni di particolare vulnerabilità, la riproduzione audiovisiva «è in ogni caso consentita, anche al di fuori delle ipotesi di assoluta indispensabilità».
Tuttavia nella Relazione accompagnatoria si legge che: «In accoglimento delle osservazioni formulate dalla II Commissione (Giustizia) della Camera, si consente al giudice di estendere alle persone offese particolarmente vulnerabili (in ragione della minore età, della infermità di mente o della natura del reato per cui si procede) le particolari cautele oggi previste solo per i procedimenti penali relativi a specifiche tipologie di reato, oggetto di preventiva elencazione da parte del legislatore.
Le diposizioni introdotte consentono, in particolare, di adeguare l’ordinamento interno alle previsioni di cui all’articolo 23 della Direttiva.
Si interviene anche in tema di protezione prevedendo un freno alla ripetibilità delle audizioni del vulnerabile (art. 190-bis c.p.p.) e la puntualizzazione del regime speciale di assunzione delle dichiarazioni (artt. 134, 351, 362 392, 398 e 498 c.p.p.), rappresentano interventi doverosi, che, tuttavia, filtrano attraverso maglie assai strette il diritto al confronto dell’imputato; di qui, probabilmente, la scelta di un innesto normativo ridotto ai minimi termini.
Il Decreto del Governo ha stabilito che gli strumenti a tutela dei soggetti vulnerabili, in conformità alla direttiva 29/2012, siano indirizzati alle sole vittime e non anche aii testimoni; così come l’estensione dell’obbligo di avviso di cui all’art. 415- bis c.p.p. per tutte le persone offese.
In tale contesto è stata,infine,introdotta la facoltà di esercitare i diritti della persona offesa deceduta anche per il convivente legato da relazione affettiva, pur in assenza di matrimonio (art. 90, comma 3, c.p.p.);
Sono queste le pietre angolari su cui si è basato il recepimento della Direttiva n. 2012/29/UE che hanno rafforzato la posizione dell'offeso nell'ambito del rito penale oggetto di Riforma.
La Riforma Cartabia e la Vittima di Reato
Con introduzione della Riforma Cartabia per la prima volta è entrata nel codice la definizione di "vittima", benché la stessa,a parere della Dottrina prevalente, non trovi il necessario rilievo nella partecipazione al procedimento ed, in particolare, all’accesso alla Giustizia Riparativa in posizione di parità con l’imputato, come emerge nel prosieguo della trattazione..
Tuttavia il termine “vittima di reato” è entrato nel lessico legislativo a fatica posto che nel codice penale e in quello di procedura penale si ritrova solo nell’art. 498, 4° ter comma, c.p.p. e nell’art. 90- bis1 c.p.p., quest’ultimo introdotto proprio dalla legge Cartabia.
È solo nelle fonti internazionali la locuzione vittima di reato di violenza di genere e vittima di reato in generale trova la sua dimensione e la sua affermazione.
Nella Convenzione di Istanbul , sottoscritta dall’Italia in data 11 maggio 2011 e ratificata dal nostro Paese con l. 27 giugno 2013, n. 77, “la vittima di reato è qualsiasi persona fisica di sesso femminile che subisce gli atti che si concretizzano in violenza fisica, psicologica, economica, sessuale, assistita”.
A tale definizione si aggiunge quella contenuta nella Direttiva comunitaria laddove l’ art. 2 afferma che per «vittima» si intende «una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono state causati direttamente da un reato», e ne estende la definizione includendovi anche la c.d. vittima indiretta, ossia «il familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona», per «familiare» intendendo non solo il coniuge, ma anche il convivente more uxorio, nonché «i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle”.
Il ruolo propulsore della vittima nell’inizio del procedimento penale
Nel procedimento penale la vittima-persona offesa di reato assume un ruolo propulsore. Infatti, è presente in molti reati attinenti la violenza di genere.
Si fa riferimento agli artt. 609-bis, 612-bis, 615-ter, 570, 570-bis, 581, 582 c.p., salvo l’eventuale sussistenza di aggravanti o le particolari condizioni della vittima di reato.
Quanto all’art. 582 c.p. va sottolineato che la legge Cartabia ha introdotto la perseguibilità a querela per le lesioni personali con prognosi di guarigione entro i quaranta giorni (art. 2, 1° comma, lett. b) n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) lasciando invariata la competenza del Giudice monocratico per le lesioni personali concretizzanti la violenza di genere.
Per molte delle fattispecie di reato sopra indicate è possibile la remissione di querela mentre l’unico reato rimasto perseguibile d’ufficio, a prescindere dalle aggravanti rimane il delitto di cui all’art. 572 c.p. ossia il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi.
Tale scelta trova sicuramente il suo fondamento nell’essere tale reato un reato abituale, caratterizzato dal ripetersi nel tempo di comportamenti vessatori, che non necessariamente integrano ipotesi di reato, ma che rendono intollerabile per la vittima la prosecuzione della convivenza.
Le altre novità introdotte dalla legge Cartabia
Il Titolo VI del Libro I del c.p.p. è dedicato alla persona offesa-vittima di reato.
Si tratta una serie di norme introdotte principalmente dal d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 che ha recepito la direttiva comunitaria sulle vittime di reato.
Si passa dall’art. 90 c.p.p. che disciplina i diritti e le facoltà della persona offesa, la quale può, in ogni stato e grado del procedimento, presentare memorie e, con esclusione del giudizio di Cassazione, indicare elementi di prova e, novità della legge Cartabia, può dichiarare o eleggere domicilio o indicare una casella di posta elettronica certificata dove ricevere le comunicazioni poiché l’art. 90-bis c.p.p., stabilisce un elevato numero di informazioni che devono essere fornite dalla persona offesa nel momento del primo contatto con l’autorità procedente.,
La Legge aggiunge una serie di comunicazioni relative alla dichiarazione o elezione di domicilio, al suo mutamento, alla nomina di un difensore, alla possibilità che il procedimento sia definito con remissione di querela o mediazione e l’avviso che la mancata presentazione senza giustificato motivo della persona offesa, che abbia proposto querela, all’udienza alla quale sia stata citata in qualità di testimone, comporta la remissione tacita di querela.
Va sottolineata l’introduzione della nuova norma art. 90-bis1 c.p.p. che prevede che la vittima del reato,di cui l’art. 42, 1° comma, lett. b), del decreto legislativo attuativo della l. 27 settembre 2021, n. 134, sin dal primo contatto con l’autorità procedente deve essere informata,in una lingua a lei comprensibile, della facoltà di svolgere un programma di giustizia riparativa che si aggiunge al generale diritto all’informazione in lingua già introdotto dal Legislatore..
Da tutto ciò emerge il ruolo assoluto di protagonista della persona-vittima del reato che assume nel procedimento penale: la persona-vittima del reato che, ha ulteriori diritti e facoltà nell’ambito del procedimento.
Particolare attenzione e tempestività è riservata nell’ascolto della persona offesa-vittima di violenza di genere, durante le indagini preliminari. Le norme di riferimento sono gli artt. 351 e 362 c.p.p., a seconda se le sommarie informazioni siano assunte dalla Polizia Giudiziaria o dal Pubblico Ministero.
Di regola si procede a tale acquisizione probatoria quando la persona offesa può riferire circostanze utili ai fini delle indagini non sussistendo un obbligo in tal senso, ma una scelta degli investigatori.
Tale obbligo sussiste, invece, quando si tratta di persona offesa o di soggetto che ha presentato denuncia, querela o istanza in tema di reati di violenza di genere. Il legislatore con la l. 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. Codice Rosso) ha previsto un termine stringente per assumere tali sommarie informazioni, stabilendo il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela dei minori degli anni diciotto o della riservatezza delle indagini anche nell’interesse della persona offesa .
La norma opera una distinzione in ordine alle modalità di ascolto della vittima di violenza di genere a seconda se sia persona offesa minore o persona offesa anche maggiorenne in condizione di particolare vulnerabilità, prevedendo in questi casi l’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile.
Per tali soggetti si assicura che in occasione della richiesta di sommarie informazioni, non abbiano contatti con la persona sottoposta ad indagini e non siano chiamati più volte a rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessità per le indagini.
Tale previsione rende necessario procedere per queste categorie di persone offese con l’assunzione delle sommarie informazioni con la forma dell’incidente probatorio raccordandosi tale comma con quanto previsto dall’art. 392, 1°-bis comma, c.p.p., anticipando così l’assunzione della prova nel suo luogo ordinario, ossia il dibattimento.
La legge Cartabia introduce, ancora,il 1°-quater comma sia nell’art. 351 c.p.p. che nell’art. 362 c.p.p., prevedendo un ulteriore avviso da fornire alla persona offesa, ossia quello che la persona offesa ha diritto di ottenere ove ne faccia richiesta che le dichiarazioni rese siano documentate mediante riproduzione fonografica.
La notifica dell’informazione di garanzia ex art. 369 c.p.p. alla persona offesa-vittima di violenza di genere «Solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il Pubblico Ministero invia per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa una informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia».
L’avviso in caso di archiviazione del procedimento (art. 408 c.p.p.)
Entro i termini previsti dagli articoli precedenti, il Pubblico Ministero, se la notizia di reato è infondata, presenta al giudice richiesta di archiviazione.
Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari. L’avviso della richiesta è notificato, a cura del Pubblico Ministero, alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l’eventuale archiviazione.
Per i delitti commessi con violenza alla persona e per il reato di cui all’art. 624-bis c.p., l’avviso della richiesta di archiviazione è in ogni caso notificato, a cura del Pubblico Ministero, alla persona offesa ed il termine di cui al 3° comma è elevato a trenta giorni.
Come pure viene introdotto l’obbligo di un avviso alla persona offesa di chiusura delle indagini preliminari per i reati di cui agli artt. 572, 612-bis c.p.
La persona offesa nel processo
Nel momento in cui il Pubblico Ministero esercita l’azione penale si apre la fase del processo.
Se è vero che la persona offesa-vittima del reato è il soggetto titolare del bene giuridico tutelato con la norma e che il danneggiato civilmente dal reato, è colui che subisce un danno (patrimoniale o non patrimoniale, economicamente apprezzabile) come conseguenza del reato, la persona offesa che è anche danneggiata dal reato si può costituire parte civile nel processo penale .
Gli artt. 74 e ss. c.p.p. stabiliscono modalità e tempi per la costituzione civile nel processo davanti al Giudice sia quello dell’udienza preliminare che quello dell’udienza collegiale o monocratica .
Certamente la persona offesa può decidere di non costituirsi parte civile, pur avendo la veste di danneggiata ed affrontare il processo in tale sua veste.
La persona offesa nei processi di violenza di genere assume nella maggior parte dei casi il ruolo anche di testimone.
Nella fase dibattimentale per le vittime dei reati di violenza di genere sono stabilite apposite cautele. In particolare l’art. 498, 4°, 4°-bis, 4°-ter, 4°-quater comma, c.p.p. «L’esame testimoniale del minorenne è condotto dal presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti.
Nell’esame il presidente può avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile.
Il presidente, sentite le parti, se ritiene che l’esame diretto del minore non possa nuocere alla serenità del teste, dispone con ordinanza che la deposizione prosegua nelle forme previste dal Codice di Rito.
Prima dell’entrata in vigore della legge Cartabia il legislatore già attribuiva un significato processuale all’assenza del querelante in udienza.
Erano infatti vigenti sia l’art. 555, 3° comma, c.p.p., che prevedeva una verifica da parte del Giudice nel caso di reato perseguibile a querela.della disponibilità della persona offesa di rimettere al querela e del querelato ad accettare la rimessione, norma oggi abrogata dalla Riforma Cartabia, l’art. 90 bis, 1° comma, lett. n) c.p.p. prevede la possibilità di definizione del procedimento con la remissione di querela, nel caso di perseguibilità a querela.
A tale norma è stato oggi aggiunta la lett. n bis che stabilisce che la mancata comparizione senza giustificato motivo della persona offesa che abbia proposto querela all’udienza e che è stata citata in qualità di testimone, comporta la remissione tacita di querela.
Si è voluto recepire in una previsione normativa il principio di diritto già enunciato dalla Suprema Corte ossia quello che «integra remissione tacita di querela la mancata comparizione all’udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal Giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela”.
La vittima, persona offesa nei reati di violenza di genere viene investita di una ulteriore responsabilità, quale quella di decidere di concludere il processo non presentandosi all’udienza quando è anche testimone.
Da ultimo va ricordato che la Riforma ha introdotto con il D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150,dopo l’art. 129 cod. proc. pen., un ulteriore articolo, vale a dire l’art. 129-bis cod. proc. pen., volto a regolare l’accesso ai programmi di Giustizia Riparativa.
La norma introdotta si commenta da sé e merita un approfondimento.
Nel primo comma è disposto che, in “ogni stato e grado del procedimento l’Auto rità giudiziaria può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima del reato al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l’avvio di un programma di giustizia riparativa”.
L’autorità giudiziaria può disporre l’invio dell’imputato e della vittima del reato al Centro dalle indagini preliminari sino al giudizio di cassazione”(v. Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, 2/11/2022, in sistemapenale.it, p. 16).
Nel primo caso, procederà il pubblico ministero, per la semplice ragione che è il soggetto che conosce il fascicolo e può dunque effettuare la valutazione sulla sussistenza dei presupposti indicati nel terzo comma della norma, mentre, durante il processo, la competenza spetta al “giudice che procede, il quale viene opportunamente specificato dal nuovo art. 45-ter disp. att. c.p.p.: a seguito dell’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio sarà il giudice per le indagini preliminari fino a quando il decreto, unitamente al fascicolo, non è trasmesso al giudice a norma dell’articolo 553, comma 1, c.p.p..
Dopo la pronuncia della sentenza e prima della trasmissione degli atti a norma dell’art. 590 c.p.p., provvede il giudice che ha emesso la sentenza mentre durante la pendenza del ricorso per cassazione, provvede il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.
.Quanto appena esposto, infine, può avvenire pure d’ufficio, e quindi non è neces sariamente richiesta un’apposita istanza di parte.
Quindi, ove la richiesta – affinché l’imputato e la vittima del reato siano avviati al Centro di riferimento per l’avvio di un programma di giustizia riparativa – sia formulata da uno di questi, nel caso in cui sia prospettata dal legale di costoro, non è sufficiente la nomina, essendo per contro necessario il conferimento di un’apposita procura speciale, “venendo in rilievo un diritto personale, rispetto al quale la parte – sia essa la vittima o la persona indicata come autore dell’offesa – è chiamata a esprimere dinanzi al mediatore, e non all’Autorità giudiziaria, un consenso personale, libero, consapevole, informato ed espresso in forma scritta, da raccogliere prima di avviare il programma” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, Rel. n. 2/2023 del 5/01/2023, p. 319).
Il comma terzo dispone che l’“invio degli interessati è disposto con ordinanza dal giudice che procede, sentite le parti, i difensori nominati e, se lo ritiene necessario, la vittima del reato di cui all’articolo 42, comma 1, lettera b), del decreto legislativo attuativo della legge 27 settembre 2021, n. 134,” qualora reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti”, fermo restando che nel “corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato”.
Dunque, compete al Giudice(o al Pubblico Ministero)“valutare, in positivo, se il programma di giustizia riparativa sia utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto di reato ed escludere, in negativo, che l’invio possa comportare pericolo concreto per gli interessati o frustrare l’acquisizione della prova in funzione dell’accertamento dei fatti” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, op. cit., p. 321).
Fermo restando che, stante il principio di tassatività delle impugnazioni, non è possibile proporre alcuna impugnazione avverso il provvedimento atteso che il precetto normativo non ne prevede alcuno.
Ad ogni modo, a “dispetto dell’apparente perentorietà dell’invio, non si tratta (…) che di un’autorizzazione, posto che la vittima e l’imputato possono senza dubbio rifiutarsi di iniziare il programma: in attuazione di consolidati principi internazionali, il d.lgs. n. 150 chiarisce, per un verso, che il consenso alla partecipazione ai programmi di giustizia riparativa si atteggia a canone fondamentale (art. 43, comma 1, lett. d) e, per altro verso, che esso è «personale, libero, consapevole, informato ed espresso in forma scritta», nonché «revocabile anche per fatti concludenti» (art. 48, comma 1)” tenuto conto altresì del fatto che, “in forza della clausola di chiusura generale dell’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 150, «la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non producono effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa»”.
Sempre contando su una amichevole composizione,nel successivo comma,la norma dispone che, nel “caso di reati perseguibili a querela soggetta a remissione e in seguito all’emissione dell’avviso di cui all’articolo 415-bis, il giudice, a richiesta dell’imputato, può disporre con ordinanza la sospensione del procedimento o del processo per lo svolgimento del programma di giustizia riparativa per un periodo non superiore a centottanta giorni”.
Va da sé che la norma in esame presuppone che il Giudice abbia già deciso di avviare le parti presso i centri di riferimento e sia stato già individuato un programma da svolgere, sulla bontà del quale, evidentemente, il giudice non si pronuncia” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, op. cit., p. 323) ma restano molti dubbi in proposito(!!).
Ad ogni modo, la “sospensione del procedimento ex articolo 129-bis comma 4 c.p.p. deve essere comunque richiesta dall’imputato – anche perché determina la sospensione del decorso del termine di prescrizione – e potrà essere disposta quando il giudice accerti che vi sono effettivamente le condizioni per uno svolgimento proficuo del programma di giustizia riparativa” (così: la relazione illustrativa).
Infine la stessa norma stabilisce che al “termine dello svolgimento del programma di giustizia riparativa, l’Autorità Giudiziaria acquisisce la relazione trasmessa dal mediatore”...“di cui dovrà tener conto in ambito processuale, nei limiti di utilizzabilità stabiliti nella disciplina organica” (così: la relazione illustrativa), fermo restando che siffatta acquisizione si pone “in linea con quanto previsto, più in generale, nella disciplina organica della giustizia riparativa agli artt. 57 e 58 del d.lgs. n. 150 del 2022., laddove la Rerlazione tarasmessa dal Mediatore al termine del programma contenga la descrizione delle attività svolte e dell’esito riparativo raggiunto” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, op. cit., p. 324)
I Centri di Giustizia Riparativa
La Giustizia Riparativa è definita dall’art. 42 del DLgs 150/2022 come «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore».
Le sue attività, se attuate attraverso le modalità indicate dal legislatore, sono dunque riconosciute quali legittimi strumenti di gestione dei reati. Modalità di accesso ai programmi ed effetti giuridici di questi ultimi sono espressamente regolamentati dalla legge
Nella G.U. n. 174 del 27 luglio 2023 è stato pubblicato il D.M. 25 luglio 2023, n. 97 recante il "Regolamento relativo alla disciplina del trattamento dei dati personali da parte dei Centri per la giustizia ripartiva”, ai sensi dell'articolo 65 , comma 3, del DLgs n. 150 e ss, di attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134.
Si tratta dell'ultimo decreto attuativo che ancora doveva essere adottato dal Ministro della Giustizia in attuazione della riforma Cartabia in materia di giustizia riparativa.
Due precedenti decreti, relativi ai mediatori esperti (formazione e istituzione dell'elenco per l’esercizio dell’attività) sono stati pubblicati il 9 giugno 2023, oltre alla costituzione della Conferenza nazionale e di quelle locali.
Invero,il testo del Regolamento si compone di 9 articoli improntati al trattamento dei dati personali nell’ambito delle attività demandate ai Centri di Giustizia Riparativa istituiti con ìn DLvo n.150 del 2022.
Per quanto concerne la istituzione dei Centri il Regolamento richiama,nelle note,la normativa del DLvo 150 senza nulla aggiungere a quanto in esso contenuto .
Occorre rivolgere attenzione sulle norme istitutive contenute negli artt.li da .63 a 67 del citato Decreto.
Nel primo si enuncia “I Centri per la giustizia riparativa sono istituiti presso gli enti locali, individuati a norma del presente articolo.(…)
All'attuazione delle attività di cui al presente articolo le amministrazioni provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. La partecipazione alle attività della Conferenza locale per la giustizia riparativa non dà diritto a compensi, gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi di spese di qualunque natura o comunque denominati.
Nel successivo articolo si stabilisce che “I Centri possono avvalersi di mediatori esperti dell'ente locale di riferimento.
Possono, altresì, dotarsi di mediatori esperti mediante la stipula di contratti di appalto ai sensi degli articoli 140 e ss. del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 ovvero avvalendosi di enti del terzo settore, individuati mediante procedura selettiva, stipulando con essi una convenzione ai sensi degli articoli 55 e 56 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”.
In ogni caso, il personale che svolge i programmi di giustizia riparativa deve possedere la qualifica di mediatore esperto ed essere inserito nell'elenco di cui all'articolo 60.
Infine,nell’art 67 si stabilisce che “Le Regioni e le Province autonome, le Città metropolitane, le Province, i Comuni e la Cassa delle Ammende, nel quadro delle rispettive politiche e competenze, possono concorrere, nei limiti delle risorse disponibili nell'ambito dei propri bilanci, al finanziamento dei programmi di giustizia riparativa”.
Da tale impostazione si evince
a) una sorta di privatizzazione della Giustizia Riparativa affidata dagli Enti Locali alle Associazioni del Terzo Settore,senza indicare quali, dove dovrebbero svolgere la loro attività Mediatori Esperti formati ed inseriti negli Elenchi tenuti dal Ministero,che allo stato sono ancora in via di formazione.
b) la impossibilità di avviare in tempi ristretti le attività dei Centri istituiti sul Territorio privando gli imputati ma anche le malcapitate Vittime di usufruire delle attività previste.
c) la assoluta mancanza di gestire i Centri con l’obbligo previsto di trattare i dati personali anche appartenenti alle categorie di cui agli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, strettamente necessari all'esercizio delle competenze e al raggiungimento degli scopi di cui al presente decreto, per le finalità di rilevante interesse pubblico di cui all'articolo 2 sexies, comma 2, lettera q) del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e assumono la qualità di titolari del trattamento.
d) la materiale impossibilitò dei Mediatori Penlii formandi a svolgere il Tirocinio presso i Centri mancando ancora gli stessi.
e) la mancanza di sufficienti garanzie per la sicurezza della Vittima
A parte le doglianze circa i tempi da considerare per le operazioni di Giustizia Riparativa,appare evidente come la scelta del Legislatore appaia quanto meno intempestiva rispetto alla facoltà dei soggetti coinvolti di ricorrere alla Giustizia Riparativa e, comunque, priva di sufficiente operatività e delle garanzie di riservatezza che essa richiede..
Si può dunque discutere, come ha fatto la dottrina, se fosse questa la sede più appropriata e gli obiettivi che la Giustizia Riparativa si propone di raggiungere,in conformità con le altre finalità prese di mira dal decreto e cioè con «l’efficienza del processo penale» e soprattutto con la «celere definizione dei procedimenti giudiziari».
Benché la «Relazione illustrativa al decreto» affermi che tale scelta «concorre all’efficienza della giustizia penale in vario modo», è evidente che altri e di più ampio respiro sono i suoi obiettivi e che lo svolgimento dei programmi riparativi richiede un tempo adeguato di elaborazione, non del tutto compatibile con esigenze di celerità delle procedure
Nondimeno va riconosciuto che un impianto normativo ormai esiste con tutti i limiti innanzi evidenziati ma il suo effettivo radicamento dipenderà dalla reale volontà del Legislatore di garantire, anche sul piano strettamente organizzativo, l’attuazione in concreto della Giustizia Riparativa come alternativa al Giudizio Penale ed alla deflazione del carico esistente,nonostante nuoni propositi. ..
Sin qui una norma destinata a suscitare ampi commenti ed interpretazioni.
Non va sottaciuto,comunque, il ruolo marginale e non essenziale assegnato dalla norma introdotta alla Vittima di Reato ai fini della decisione dell’A.G. di procedere ad una mediazione penale nell’ambito della lesione dei propri diritti ma ancor più che l’intero procedimento è privo di parametri di riferimenti e di calcoli tabellari per stabilire nella trattativa con l’imputato quali siano i margini di una qualche disponibilità ad una Giustizia veramente Riparativa e non pretesto per inutili quanto dolorose discussioni.
Merita infine di essere segnalata una grave mancanza nella Legge Cartabia….
Con la Direttiva 2012/29/UE oltre al diritto della vittima alla comprensione viene introdotto un diritto funzionale all’esercizio di altri diritti riconosciuti utili ed al ristoro dei danni subiti.
Infatti,la Corte Europea di Strasburgo, nell’interpretare la norma, ha stabilito che il diritto al risarcimento a carico dello Stato costituisce esso stesso un diritto civile soggettivo e,quindi,ogni istanza connessa deve essere sottoposta ai principi dell’art.6 CEDU (v. sentenza del 27/5/1997 Rolf Gustafson c/ Svezia)
In tale direzione,con il Trattato sull’Unione Europea, i Paesi dell’UE si sono impegnati a rispettare i diritti fondamentali dell’uomo quali quelli garantiti dalla Convenzione Europea e dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario (art. F, para grafo 2).
Sl punto,già dal 1977 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha approvato una Risoluzione (77/27) sul “risarcimento delle vittime dei crimini” che costituisce una disciplina di diritto convenzionale finalizzata all’impegno degli Stati aderenti ad introdurre ed a sviluppare regimi di risarcimento in favore delle vittime da parte dello Stato sul cui territorio siano stati commessi reati violenti, segnatamente per i casi in cui l’autore del reato fosse ignoto o privo di mezzi (incapiente), precisando anche i livelli minimi per la tutela efficace delle vittime.
A tale risoluzione fece seguito la “Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti”, resa a Strasburgo il 24 novembre 1983, mai ratificata dall’Italia,che venne recepita da molti Paesi dell’area europea.
In particolare, la Convenzione,entrata in vigore il 1 Febbraio 1988, ha stabilito l' obbligo risarcitorio a carico degli Stati di carattere sussidiario,essendo l’intervento statale limitato ai casi in cui non risultasse possibile l’escussione del colpevole, perché ignoto od incapiente.
Tanto non è bastato a motivare il Legislatore ad impostare una visione complessiva della normativa vigente e tanto meno ad apportare le necessarie modifiche alla Carta Costituzionale per introdurre la cd “Responsabilità oggettiva dello Stato per le Vittime di Reato”, come richiesto da più parti.
Va segnalato,tuttavia,che la legge Cartabia ha introdotto il meccanismo della rimessione tacita di querela, allorché la persona offesa-vittima di reato venga risarcita dall’autore dello stesso come correttivo della mancata attuazione della Direttiva..
Peraltro,la “carta dei diritti della vittima”, innanzi commentata, ha previsto una serie di avvisi connessi all’esito del procedimento tra cui l’obbligo di informare la persona offesa circa le modalità di rimborso delle spese sostenute per partecipare al procedimento (lett. l) e la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni derivanti da reato (lett. m).
Tale obbligo di legge, benché apprezzabile sul piano degli intenti, finisce con l’avere una scarsa incidenza pratica atteso che informare la vittima del suo diritto al risarcimento dei danni subiti ha senso se poi, in concreto, ci sono strumenti per adempiere all’ obbligazione posto che un simile automatismo, nel nostro ordinamento, manca stante l’assenza di un fondo di solidarietà statale a favore delle vittime, cui acce dere nei casi –assai frequenti – di insolvenza del reo.
Le ulteriori modifiche da apportare al quadro normativo
L’entrata in vigore del Decreto Legislativo 212 del 2015 e la successiva Riforma della Giustizia hanno,invero, segnato certamente un importante passo avanti nel sistema di tutele poste dall’ordinamento processuale in favore della vittima di reato e,nel contempo, ha costituito l’occasione per un generale riordino della materia delle dichiarazioni delle persone offese deboli.
Si può riconoscere che il recepimento della Direttiva ha consentito l’ingresso nel dalle Associazioni che si occupano dei diritti delle vittime di reati violenti e degli operatori del diritto preposti all’assistenza delle stesse..
L’innovativo sistema di tutele per le vittime necessita, tuttavia,di essere accompagnato sia da una attenta attività di formazione di tutti gli operatori, a partire da quelli della Polizia Giudiziaria, sulle tematiche introdotte,sia l’avvio di rete capillare rete di servizi extraprocessuali di carattere assistenziale, che dovrà coinvolgere l’intero territorio nazionale.
Va sottolineato,sul punto,che sempre la “carta dei diritti della vittima” in base all’art. 90-bis, lett p), c.p.p.,impone che la vittima riceva informazioni sulle strutture sanitarie presenti sul territorio, le case famiglia, i centri antiviolenza e le case rifugio cui rivolgersi e soprattutto una Rete efficace di Sportelli di ascolto cui rivolgersi in grafo di sopperire con equipe qualificate alle carenze attuali in tema di assistenza e tutela delle vittime di reato..
Va pure sottolineato,sull’argomento, che la Commissione ha sempre auspicato la creazione di una linea telefonica di emergenza, o di una rete di linee di emergenza, che per unire i diversi servizi di assistenza per le vittime,disponibile in tutte le lingue europee, disposizione che non ha avuto alcuna attuazione in Italia.
Attualmente,appare allarmante: l’accessibilità agli attuali servizi,frequentemente vincolati alla denuncia della vittima; gli obblighi informativi spesso non vengono assolti con conseguente proliferazione di episodi di vittimizzazione secondaria con la conseguenza che permane un grave deficit di sincronizzazione tra vertici e operatori, tra reti formali e informali.i.
Sussistono,poi,numerosi problemi di ordine pratico: la reperibilità degli operatori, l’organizzazione capillare su tutto il territorio dei servizi,la necessità di creare numeri unici,sempre attivi e raggiungibili, ma soprattutto i tempi decisionali troppo lunghi.
Invero,il Governo, contrariamente a quanto disposto dalla Direttiva Europea, non ha ritenuto di prevedere il c.d. “sportello delle vittime” presso i Tribunali ,«non essendo imposto dalla Direttiva che richiede,peraltro,una sinergia fra diverse amministrazioni, con conseguenti valutazioni di impegno economico, non componibile in sede di adozione del presente decreto”.
Per realizzare tale ambizioso progetto, sebbene oggetto di specifiche disposizioni della Direttiva, sarà,quindi, necessario avviare una riflessione congiunta tra Stato e Regioni, funzionalmente coinvolte in materia,come appare auspicabile allo stato dell’opera ma di incerta indicazione. ..
Per concludere va detto che i diritti delle Vittime sono stati rafforzati con innesti (quasi sempre) coerenti con quella prospettiva protezionistica avanzata che l’Europa ha suggerito ma occorre andare oltre con interventi ancora più specifici e fattuali per l’assistenza delle Vittime sia nel Procedimento Penale che sul Territorio..