Va tutelato il diritto dei cittadini a non essere lesi nella reputazione come vittime delle ricostruzioni mediatiche di fatti delittuosi.
Martedi 10 Giugno 2025 |
Lo ha affermato, di recente, la Corte di Cassazione ponendo fine ad una sequela di affermazioni quanto meno irriguardose nei confronti di autori e presunti autori di reati, come pure delle stesse Vittime di tali episodi, che, tuttavia, alimentano una curiosità morbosa verso vicende sopite a causa della ricerca di nuove verità.
Un caso esemplare è quello di Garlasco da cui è scaturita una condanna definitiva, arrivata dopo due precedenti assoluzioni sulla quale la stessa Procura Generale aveva espresso i propri dubbi sull’identità del presunto assassino.
Tali dubbi basterebbero ad affermare che l’imputato non è stato condannato “oltre ogni ragionevole dubbio”, così come impone la legge, ma anche se così non fosse, è giusto che ogni imputato tenti in ogni modo di dimostrare la propria innocenza, utilizzando qualsiasi appiglio utile a far riaprire il proprio processo e ottene re una revisione dello stesso.
Nondimeno, altrettanto doveroso, ed anzi obbligatorio, dovrebbe essere che i Magistrati inquirenti, qualora emergano nuovi indizi tali da cambiare una verità giudiziaria, definitivamente accertata in precedenza, tornassero a indagare, esplorando tutte le ipotesi tralasciate, rileggendo i documenti, analizzando nuovamente i reperti, ordinando nuovi esami, soprattutto se la scienza attuale consentisse di pervenire a risultati diversi da quelli ottenuti in passato.
Esistono, tuttavia, alcune importanti regole di tali attività che devono essere osservate in questi casi, tra cui, sopratutto, il diritto dei cittadini coinvolti a non essere stritolati in un meccanismo mediatico che tutto travolge e stravolge in nome della ricerca della verità che, invece, dovrebbe seguire uno schema rigoroso ed un assoluto ed inviolabile riserbo processuale.
Quello che sta accadendo a Pavia fa invece scempio delle vite di persone che sono innocenti, fino a prova contraria, di presunti attori e comprimari, collocati nuovamente sulla scena del delitto e divenuti, da settimane, protagonisti della nuova indagine promossa dalla Procura sulla base di indiscrezioni, stralci di documenti, nuove consulenze, dichiarazioni di avvocati, di esperti o presunti tali.
Le indagini svolte in precedenza sarebbero state segnate da ritardi, sbagli, forse anche depistaggi, inciampi che potrebbero aver pesato in maniera determinante sull’esito dell’inchiesta, laddove il condizionale è d’obbligo.
Tuttavia, questo non impedisce che, sulla base di elementi davvero nuovi, si possa avviare una nuova indagine sulle modalità e i tempi del commesso reato ma, in questi casi, è indispensabile operare nel massimo riserbo quando si affronta un caso di questo genere per cui la cautela è obbligatoria.
Non è possibile, soprattutto, esporre all’attenzione dell’Opinione Pubblica le persone coinvolte alimentando sospetti sul loro conto, senza avere elementi probatori certi nei loro confronti.
Per contro, se emergessero nuovi elementi, sarebbe bene, comunque, non renderli noti per non danneggiare una nuova indagine che assegni ad essi una nuova rilevanza che potrebbe non avere avuto nel delitto giù giudicato tale.
In particolare occorrerebbe proteggere i nuovi accertamenti, e con essi, i destinatari dei provvedimenti, con una riservatezza che non ammette deroghe, ivi compresa la richiesta di sottoporsi al test del Dna a persone non indagate oppure a rispondere agli interrogatori su elementi che siano stati acquisiti nel corso dei nuovi accertamenti.
Numerose sono le i inchieste che sono state segnate, ma anche alterate, dalle fughe di notizie, sebbene tante altre si siano svolte nel segreto più assoluto, come impone la Legge, senza che mai si sapesse nulla di quanto stava accadendo sino a quando i Magistrati inquirenti non hanno deciso di avviare un nuovo processo oppure richiederne l’archiviazione.
Va sottolineato che, in queste ultime settimane, si è assistito ad uno spettacolo indecoroso con avvocati che si fronteggiano persino sui social, periti che anticipano l’esito delle consulenze, vecchi e nuovi investigatori che veicolano informazioni, con il chiaro intento di condizionare la nuova indagine avviata dalla Procura.
Occorre fermare questa sorta di “circo mediatico”e tocca alla Procura farlo, anche per non esporre l’indagine a possibili strumentalizzazioni sul funzionamento della giustizia.
Si tratta di un atto necessario ed urgente per il rispetto che si deve alla Vittima di questo omicidio ed ai suoi familiari ma anche per dimostrare che, davvero, si vuole fare chiarezza sul caso .
In tale contesto va annoverata una decisione della Corte di legittimità che cerca di fare chiarezza sui limiti di una corretta informazione.
La Cassazione è, quindi, intervenuta sul delicato argomento, che coinvolge l’esercizio della liberta di stampa, tutelata dalla Costituzione all’art 21,individuando i limiti della stessa.
In conseguenza, la Corte ha stabilito, con la sentenza n.19102/2025,un principio rilevante in base al quale “la pubblicazione di notizie anche oggettivamente diffamatorie è scriminata (ossia non costituisce reato) se il giornalista rispetta i limiti di verità, continenza e interesse pubblico” (v. Testo in calce).
La decisione, invero, ha riguardato il procedimento a carico di un giornalista e del direttore responsabile di una testata giornalistica per la diffamazione a mezzo stampa consumata, rispettivamente, con la pubblicazione di un articolo e con l’omesso controllo sul contenuto di esso.
Si legge nei commenti in Dottrina (v.ex multis A.Larussa, Libertà di stampa e tutela della reputazione su Altalex Giugno 2025) che l’esercizio del diritto di cronaca costituisce, come é noto, espressione della libertà di pensiero e di stampa riconosciute dall’art 21 della nostra Costituzione.
Si ratta di un diritto pubblico soggettivo che si sostanzia nel potere - dovere conferito al giornalista di portare a conoscenza dell’opinione pubblica fatti, notizie e vicende interessanti la vita associata.
L’esercizio di tale diritto presuppone, tuttavia, la fedeltà dell’informazione, al fine di”evitare che la stampa diventi “cassa di risonanza” delle contumelie e delle malevoli critiche di terzi!!” (v.Cass.Pen.Sez.V, sent.26 aprile 1999 n. 5313) e che, in un’ottica di bilanciamento con i diritti della personalità, va incontro ai seguenti limiti, definiti compiutamente dalla giurisprudenza di legittimità:
Limite della verità oggettiva, o anche soltanto putativa, della notizia purché frutto di un serio, diligente e accurato lavoro di ricerca e verifica circa la rigoro sa corrispondenza tra i fatti accaduti e i fatti narrati.
Tale verità non sussiste quando i fatti riferiti siano accompagnati da sottintesi, accostamenti, insinuazioni o sofismi obiettivamente idonei a creare, nella mente del lettore e o del telespettatore rappresentazioni della realtà oggettiva false.
La giurisprudenza ha più volte chiarito che non è peraltro sufficiente, affinché il giornalista possa sottrarsi alla responsabilità, un mero convincimento di tipo soggettivo, inteso come generico affidamento circa la veridicità dei fatti narrati: occorre che l’errore, per essere scusante, sia stato generato dalle risultanze, precise e concordanti, di un “serio e diligente lavoro di ricerca”, e che, in coseguenza, possa considerarsi incolpevole.
In altri termini, chi abbia propalato una notizia falsa può comunque andare esente da responsabilità in quanto abbia compiuto, prima di procedere alla pubblicazione, ogni più accurata verifica, idonea a vincere dubbi e incertezze.
Limite della continenza, ovvero della forma misurata e non trasmodante in offesa gratuita dell’esposizione dei fatti.
La continenza non ricorre allorché le informazioni riportate dal giornalista si risolvano– per il lessico impiegato, per l’uso di espedienti stilistici, per la strumen talizzazione delle notizie nonché per la sostanza e la forma dei giudizi che le accompagnano –in un attacco personale e gratuito al soggetto cui si riferiscono: quando cioè, al di là dell’offensività della notizia e della negativa sua valutazione (che sono scriminate se veritiere e di interesse sociale), si realizzi una lesione del bene tutelato attraverso il modo stesso in cui la cronaca e la critica vengono attuate;
Limite della pertinenza, cioè dell’esistenza di un interesse pubblico alla cono scenza dei fatti, correlato alla rilevanza degli stessi, con la precisazione che l’interesse pubblico alla notizia non viene meno solo perché la persona coinvolta non è indagata, specie se si tratta di soggetti con funzioni di rilievo pubblico.
Pertanto, la delicata questione, sottoposta al vaglio della Corte, attiene alla verifica del corretto esercizio del diritto di cronaca nella vicenda sottoposta al suo esame.
La Corte ha condiviso con i Giudici di merito l’opinione che i fatti contestati avessero un’oggettiva valenza diffamatoria e fossero realmente lesivi della reputazione della persona offesa, essendo stata evocata, nell’articolo incriminato, una certa cointeressenza della persona offesa con ambienti mafiosi.
Nondimeno, nel caso all’esame, ha ritenuto che ricorresse l’esimente del diritto di cronaca giornalistica in quanto l’autore non si era discostato dagli esiti investigativi e dai conseguenti atti giudiziari divulgati, e non aveva travalicato, nelle modalità espositive, i limiti propri della continenza, avendo descritto, correttamente, le emergenze processuali, nell’interesse generale alla conoscenza del fatto.
La sentenza è, comunque, destinata a fornire un importante chiarimento sui limiti e le condizioni di esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, in particolare quando la notizia abbia un contenuto oggettivamente lesivo della reputazione altrui.
La Corte, infatti, ribadisce che l’esercizio del diritto di cronaca può giustificare una “oggettiva lesione della reputazione di un individuo”, purchè “la rappresentazione offerta risponda ad un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti narrati, tale da legittimare la compressione dei simmetrici diritti della persona, offra una descrizione della realtà coerente con la verità oggettiva, o anche soltanto putativa purchè frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, e sia rappresentata in forma “civile”.
La decisione chiarisce, inoltre, che qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, il criterio della verità si risolve nella necessaria coerenza della notizia divulgata rispetto al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria non solo sotto il profilo della mera correttezza formale dell’esposizione ma anche sotto quello, sostanziale, della complessiva rappresentazione dell’intero contesto investigativo, che deve essere condotta nel rispetto della necessaria presunzione di non colpevolezza.
Tuttavia, secondo la Corte, il giornalista deve attenersi rigorosamente ai termini delle indagini e non può rappresentare la vicenda in modo sbilanciato o sugge stivo.
Su tali presupposti, la Corte conclude che, poiché l’articolo incriminato, dopo aver ripetutamente chiarita l’estraneità della persona offesa rispetto alle indagini, si limi tava a dare atto, fedelmente, degli esiti di queste, la pubblicazione della noti zia oggettivamente diffamatoria fosse giustificata dal diritto di cronaca giorna listica.
Infine, sempre sul punto, la S.C. ribadisce che, in base alle decisioni pregresse, “non sono consentite al giornalista aprioristiche scelte di campo o sbilanciamenti di sorta a favore dell’ipotesi accusatoria, capaci di ingenerare nel lettore facili suggestioni, in spregio del dettato costituzionale di presunzione di non colpevolezza dell’imputato sino alla sentenza definitiva”(v. Cass. Pen., Sez. V, n. 3674/2011, citata dalla sentenza in commento).
A tanto va aggiunto che “In tema di diffamazione a mezzo stampa, non ricorre l’esimente di cui all’art. 51 del cod. pen., nell’ambito dell’esercizio specifico del diritto di cronaca giudiziaria, quando il giornalista si discosti dalla verità obiettiva dei fatti riferiti, alterando e modificando in senso diffamatorio le notizie riferite dalle fonti ufficiali, posto che, in tale ambito, il limite costituito dalla verità del fatto narrato - fermo restando il rispetto dei canoni della pertinenza e della continenza - deve avere un riscontro fenomenologico nella realtà obiettiva, in quanto nei confronti di tali accadimenti il giornalista si pone come semplice intermediario tra il fatto e l’opinione pubblica, nel senso che insieme al diritto-dovere di informare vi è quello dei cittadini ad essere correttamente informati” ( v.Cass. pen., Sez. V,4568/2004).
Più in particolare, nella utilizzazione dei mezzi di informazione, fatti e notizie “debbono (…) essere riferiti con correttezza, non potendosi ricomprendere nell’interesse sociale che giustifica la discriminante dell’esercizio del diritto di cro naca giornalistica inutili eccessi ed aggressioni all’interesse morale della perso na. La valutazione di tale requisito, però, va effettuata con riferimento non solo al contenuto letterale dell’articolo ma anche alle modalità complessive con le quali la notizia viene data, sicché decisivo può essere l’esame dei titoli e sottotitoli, lo spazio utilizzato per sottolineare maliziosamente alcuni particolari, l’utilizzazione eventuale di fotografie, con la conseguenza che l’eventuale valutazione negativa della correttezza farebbe venir meno il requisito della continenza e quindi la configurabilità dell’esimente del diritto di cronaca”(v.Cass. pen., sez. V, sent. 31 agosto 1993, n. 8374).
Alla luce di quanto affermato nella sentenza in commento si possono trarre alcune conclusioni, facendo propria l’opinione più diffusa in Dottrina (v CanestriniLex, a commento alla sentenza).
Qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, il criterio della verità si risolve nella necessaria coerenza della notizia divulgata rispetto al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria, non solo sotto il profilo della mera correttezza formale dell'esposizione, ma anche sotto quello sostanziale, della complessiva rappresentazione dell'intero contesto investiga tivo, che deve essere condotta, costantemente, nel rispetto della necessaria presunzione di non colpevolezza, garantita dalla Costituzione.
Tanto più nella delicata fase delle indagini preliminari, dove è doveroso un racconto asettico, senza enfasi od indebite anticipazioni di colpevolezza, non essendo consentito al giornalista aprioristiche scelte di campo o sbilanciamenti di sorta a favore dell'ipotesi accusatoria, capaci di ingenerare nel lettore facili suggestioni, in spregio del dettato costituzionale di innocenza dell'imputato (ed a fortiori dell'indagato) sino alla sentenza definitiva.
Una condotta oggettivamente diffamatoria può essere giustificata laddove sia essa stessa, espressione di un altro parallelo diritto, di pari rango costituzionale, quale, nello specifico, il diritto di cronaca giornalistica, espressione della libertà di pensiero e di stampa, riconosciute dall'art. 21 Cost..che si sostanzia nel potere-dovere conferito al giornalista di portare a conoscenza dell'opinione pubblica fatti, notizie e vicende interessanti,
In tal caso, essendo il giornalista un semplice intermediario tra il fatto e l'opinione pubblica, la divulgazione della notizia lesiva deve essere giustificata da un oggettivo interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti e resa con l'adozio ne di modalità espressive adeguate allo scopo informativo.
Entro questi limiti, il bilanciamento tra l'interesse individuale alla tutela di diritti della personalità quali l'onore, la reputazione e la riservatezza, e quello, costituzionalmente protetto, alla libera manifestazione del pensiero deve risolversi in favore di quest'ultimo, avuto riguardo al prevalente diritto dell'Opinione pubblica ad essere informata in ordine a vicende di rilevante interesse collet tivo.
Se, infatti, il cronista non è certamente tenuto a verificare la fondatezza della accusa dovendo, piuttosto, controllarne rigorosamente i termini di formulazione, parimenti non può indulgere ad alcuna preconcetta opzione di responsabilità, rendendo una ricostruzione in chiave colpevolista.
In conseguenza, se, non gli si può impedire di avere, al riguardo, un'opinione da manifestare, non gli è consentito rappresentare la vicenda in termini diversi da ciò che è realmente accaduto attorno ad ipotesi d'illecito e di penale responsa bilità, tutte ancora da verificare in concreto fino alla sentenza definitiva.