Con la sentenza n. 21436 del 30 agosto 2018 la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, individua la parte su cui deve gravare l'onere di provare la qualità di erede.
Il caso: L'INPS otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di I.O., che decedeva senza proporre opposizione nei termini di legge; successivamente l'INPS invitava I.A., quale chiamata all'eredità del de cuius, ad adempiere al pagamento del credito sostenuto dal titolo esecutivo, ovvero a rappresentare ed allegare la rinuncia all'eredità; nell'inerzia di I.A, l'INPS chiedeva ed otteneva altro decreto ingiuntivo nei confronti di I.A. avente ad oggetto il pagamento della stessa somma di cui era debitore I.O; la ingiunta proponeva quindi opposizione al decreto ingiuntivo, eccependo in primis la carenza di legittimazione passiva.
L''impugnazione veniva rigettata prima dal Tribunale e successivamente anche dalla Corte d'appello: i giudici di secondo grado ponevano a fondamento del proprio giudizio la circostanza che, pur a seguito dell'invito ad allegare eventualmente la rinuncia all'eredità, fatto in sede di richiesta di pagamento da parte dell'INPS sulla base del titolo esecutivo nei confronti del de cuius, l'erede I.A. non aveva dimostrato la sua estraneità all'asse paterno e, dunque la oggettiva rinuncia alla eredità.
I.A. Ricorre in Cassazione, lamentando la violazione degli artt. 459,474,754 e 2697 c.c, poichè la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto che, pur in assenza della accettazione dell'eredità da parte dell'erede, la stessa fosse legittimata passiva rispetto all'azione da parte dell'Inps di recupero del credito del de cuius.
Erroneamente, quindi, il Giudice del gravame aveva posto a suo carico l'onere di dimostrare la carenza di legittimazione passiva, così invertendo i principi in tema di rispettivi oneri probatori.
La Suprema Corte, nel ritenere fondata la doglianza, osserva quanto segue:
in tema di successioni "mortis causa", la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sè sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, essendo necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione, mediante "aditio" oppure per effetto di "pro herede gestio;
ne consegue che, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del "de cuius", incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c, l'onere di provare l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità;
il disinteresse dimostrato dalla ricorrente all'invito dell'Inps, la mancata allegazione di una effettiva rinuncia all'eredità, e la mancanza di fatti idonei ad escludere la accettazione dell'eredità, non costituiscono indicatori dell' accettazione tacita della eredità, come ritenuto erroneamente dalla Corte territoriale;
ai fini della tacita accettazione possono essere significative attività di concreta gestione dei beni del de cuius che esplicitino il chiaro interesse dell'erede a subentrare nell'asse ereditario, mentre attesta un contrario atteggiamento il disinteresse manifestato dal chiamato all'eredità rispetto ad azioni di terzi dirette a rivendicare il pagamento di debiti del de cuius;
nel caso in esame, l'Inps, avendo interesse a individuare l'erede, avrebbe dovuto far ricorso alla previsione dell'art. 481 c.c, che prevede che “chiunque abbia interesse, può richiedere all'autorità giudiziaria la fissazione di un termine entro il quale il chiamato all'eredità dichiari se accetta o rifiuti la stessa”.
pertanto, la attuale ricorrente, al momento della emissione del decreto ingiuntivo a lei diretto, risultava priva della legittimazione passiva, in quanto non risultava erede dell'originario debitore dell'Inps non avendo manifestato la sua scelta in tal senso e non essendo neppure intervenuti comportamenti qualificabili come concludenti nel senso sopra descritto. Il motivo risulta quindi fondato.
Esito: Cassazione con rinvio
Cassazione civile Sez. lavoro Sentenza n. 21436 del 30/08/2018