Con l’ordinanza n. 33596 dello scorso 18 dicembre 2019, la Corte di Cassazione torna sul tema dei limiti all’estensione degli accertamenti bancari ai conti correnti intestati ai soci della società, cassando la pronuncia dei giudici di secondo grado e ribadendo un indirizzo più garantista della giurisprudenza sull’argomento.
Sabato 28 Marzo 2020 |
Nel caso sottoposto alla Suprema Corte si trattava di esaminare alcuni avvisi di accertamento emessi nei confronti di una s.r.l., poiché in detti atti larga parte dei ricavi accertati in capo alla società erano stati desunti dall’Ufficio dagli accreditamenti ed addebitamenti transitati sui conti correnti intestati ai soci della medesima società verificata.
In particolare, i giudici della CTR Sicilia, sezione distaccata di Messina, avevano accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, argomentando che l'accertamento presuntivo sui conti correnti bancari non solo della società, ma anche dei singoli soci, non avrebbe richiesto una specifica motivazione. L’accertamento delle operazioni effettuate dai soci doveva quindi ritenersi legittimo – come per definizione – secondo i giudici d’appello, essendo rivolto ad individuare operazioni fiscalmente rilevanti non assoggettate a tassazione da parte della società, ai sensi dell'art. 32 d.P.R. 600/1973 e dell’art. 51 d.P.R. 633/1972, e cioè in virtù della presunzione recata dalle citate norme che sia i prelevamenti che i versamenti non giustificati costituiscono ricavi non dichiarati, tanto ai fini del recupero dell’IRES che dell’IVA nei confronti della società.
Tale assunto della sentenza è stato duramente criticato dalla Cassazione, non essendo minimamente conforme ai principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di estensibilità dell’accertamento fiscale ai rapporti bancari intestati a terzi.
L’erroneità della sentenza ha così indotto i giudici della Cassazione a spiegare nuovamente quale sia il senso delle citate norme, e a specificare come solo in determinate circostanze operazioni riferibili a soggetti terzi, rispetto all’ente verificato, possano presumersi ragionevolmente come imputabili quest’ultimo, alla stregua di redditi sottratti a tassazione.
Anzitutto, osservano i giudici che il potere di accertamento dell’Ufficio non ha di per sé un’estensione tale da ricomprendere nell’accertamento dei redditi di una società anche le movimentazioni dei conti correnti bancari intestati ai soci e amministratori della società stessa.
Affinché sussista tale possibilità per l’Ufficio di estendere gli accertamenti bancari di cui all'art. 32 e 51 cit., anche ai rapporti intestati a soggetti terzi rispetto all’ente societario, non basta neppure che il terzo possegga la qualità di socio – diversamente da quanto statuito dai giudici nella sentenza –, bensì è necessario che l’Ufficio verifichi la sussistenza (o meno) di elementi presuntivi che facciano emergere la riferibilità alla società anche dei conti correnti dei soci.
L’accertamento dei conti correnti bancari dei soci, ai fini della loro imputabilità alla società verificata, non può quindi prescindere della prova dei suddetti “ulteriori elementi presuntivi” da parte dell’Amministrazione, secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità ormai consolidatasi nel tempo.
Puntualizzano i giudici che se, ad esempio, nelle società a ristretta base sociale e familiare l’Ufficio può procedere all'accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati ai soci, quali soggetti terzi rispetto alla società, è solo perché si ravvisa nel rapporto familiare un fondato elemento e motivo (presuntivo) per ritenere che le operazioni riscontrate sui conti correnti privati possano essere connesse e inerenti al reddito della società.
Ciò accade, segnatamente, quando la società a ristretta base sociale non operi con conti correnti propri, ma con quelli intestati ai familiari e soci della società.
Per il resto, in tutte le altre tipologie di società di persone e di capitali, spetta all’Ufficio addurre gli “elementi presuntivi” in virtù dei quali vi è un fondato motivo di credere che i conti correnti privati siano effettivamente connessi all’attività e ai redditi della società.
In particolare, i fattori presuntivi che si richiedono devono evidenziare una commistione fra i soggetti tale che le risultanze dei conti correnti privati, appartenenti ai singoli soci, appaiano inidonee ad essere imputate alla produzione di redditi della società.
Per utilizzare le stesse parole della Suprema Corte, l’Ufficio può addebitare alla società le movimentazioni riscontrate sui conti correnti dei soci, e cioè le movimentazioni di soggetti terzi rispetto alla medesima società, “purché provi adeguatamente che quei determinati movimenti risultanti sul conto personale del socio siano in realtà riferibili ad operazioni poste in essere dalla società (Cass. Civ., 20 maggio 2011, n. 11145; anche Cass. Civ., 14 novembre 2003, n. 17243; Cass. Civ., 28 giugno 2001, n. 8826)”, ovvero dimostri, anche tramite presunzioni che “il carattere fittizio dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente” dei conti personali dei soci (Cass. Civ., 18 settembre 2003, n. 13819).
In proposito, rammenta la Corte che possono esser varie e diverse le fattispecie che denotano una connessione soggettiva, e che perciò legittimano l’estensione degli accertamenti bancari ai conti correnti dei soci (ad esempio, il caso in cui la società operi attraverso i conti correnti intestati ai soci; l’assenza di autonome fonti di reddito in capo ai soci, diversi dal reddito della società; o ancora il possesso da parte del socio di libretti di risparmio in assenza di significative attività lucrative).
Tuttavia, in mancanza di tali elementi “ulteriori” rispetto alla mera qualifica di socio, è strettamente vietato all’Ufficio verificare i conti correnti personali delle persone fisiche appartamenti alla compagine sociale della società verificata, ed ancor di più è vietato imputare le risultanze di tali conti correnti alla stessa società, quali presunti redditi non dichiarati da quest’ultima.
In conclusione, l’avviso di accertamento deve contenere una specifica motivazione per accedere a un simile iter presuntivo di maggiori ricavi in capo alla società – atteso che questo si basa su elementi estranei (i.e. conti correnti intestati a terzi) che devono pur sempre essere ricondotti alla società, anche attraverso elementi presuntivi. E, più precisamente, deve rendere note le ragioni – in maniera chiara e riscontrabile dal contribuente e dal giudice adito – in base alle quali si procede alla verifica delle posizioni finanziarie dei soci, pur nell’ambito dell’accertamento incentrato sulla società.
In conclusione, in assenza di elementi, anche solo presuntivi, che giustifichino l’estensione delle indagini bancarie anche nei confronti dei soci della società, l’avviso di accertamento dovrà essere dichiarato nullo per assenza dei necessari presupposti motivazionali richiesti dall’orientamento della Cassazione ormai consolidato e riaffermato anche nella recente ordinanza n. 33596/2019.
Corte di Cassazione Sezione TRI Civile Sentenza 18 dicembre 2019 n. 33596