Quello della medicina veterinaria è un tema delicato. Spesso ignorato. Sottovalutato per le conseguenze. Non esente da critiche. Chi è il paziente in medicina veterinaria? Tutto parte da qui. Il paziente è un animale, un non soggetto, giuridicamente parlando. Il suo compagno umano è invece il cliente del veterinario e di fatto fisiologico “portavoce” dell’animale stesso.
Martedi 27 Maggio 2025 |
Vengo alla vicenda che ha originato la sentenza n. 2066/2024 emessa dal Tribunale di Genova. Interessante perchè vengono affrontati alcuni temi che spesso ricorrono quando il problema si trasferisce dal tavolo operatorio all’aula di giustizia. Si tratta di una vicenda di presunta malpratica veterinaria originata dalla morte di un cane.
Ripercorriamola. Tizio contatta telefonicamente il veterinario Caio in data 16.11.2020 (le date sono importanti in questa narrazione) a causa di uno stato di malessere del proprio cane. Il giorno successivo (17.11.2020) il cane viene visitato due volte. Caio si limita ad eseguire alcun esami ed è proprio questa la colpa che Tizio attribuisce al veterinario il quale, a dire di Tizio, non avrebbe effettuato una corretta diagnosi della patologia del cane (mediante accertamenti clinici più approfonditi) e non avrebbe proceduto chirurgicamente nonostante il cane presentasse sintomi evidenti di occlusione intestinale. Tizio si rivolge il giorno 18.11.2020 ad altro veterinario (Sempronio) il quale in data 19.11 sottopone il cane a laparoscopia rinvenendo un corpo estraneo (un nocciolo di pesca) che occludeva l’intestino tenue. Purtroppo il cane muore la notte stessa dell’intervento per arresto cardiaco. La vicenda finisce in Tribunale.
Caio, il primo veterinario, sostiene che dagli esami svolti (ecografia addominale e radiografia) non era emersa la presenza di nessun corpo estraneo né risultavano segni di peritonite quali conseguenze di perforazione intestinale da corpo estraneo. Non solo. Caio avrebbe indicato a Tizio due centri veterinari presso i quali portare il cane per la prosecuzione delle cure dal momento che il proprio studio non disponeva della struttura necessaria per un ricovero. Nonostante tale invito Tizio avrebbe rifiutato di portare il cane presso le strutture indicate.
Una versione, quella prospettata dal veterinario, che Tizio smentisce. Invero solo a seguito di insistenze telefoniche anche del di lui figlio, il veterinario avrebbe suggerito di rivolgersi alle due strutture veterinarie senza peraltro farsi parte attiva per contattarle. Sul punto anticipo che il Tribunale dirà che se è consuetudine chiamare prima i colleghi non vi è alcuna regola che imponga tale comportamento.
Sempronio, il secondo veterinario al quale si rivolge successivamente Tizio il 18.11.2020, affermerà in giudizio di avere visitato il cane a domicilio e di avere constatato condizioni abbastanza critiche (il cane non mangiava, aveva vomito e non andava di corpo). Motivo per cui aveva rappresentato a Tizio l’urgenza di una laparotomia esplorativa. Anche qui anticipo il pensiero del Tribunale laddove non accoglie l’eccezione d’incapacità, ex art. 246 c.p.c., sollevata da Caio (primo veterinario) in riferimento a Sempronio. Quest’ultimo non appare infatti, a parere del Tribunale, titolare di un interesse personale, concreto ed attuale tale da legittimare la sua partecipazione al giudizio. Si tratta di una eccezion ricorsiva quella sollevata da Caio nella pratica quotidiana.
Chiarite le rispettive posizioni delle parti in causa (Tizio e Caio), veniamo alle risultanze della CTU. Questa certifica che la morte del cane non è causalmente ascrivibile, in termini di preponderante probabilità scientifica, al comportamento di Caio. Al momento della visita il cane presentava abbattimento e tachicardia, sintomi aspecifici. Caio procedeva eseguendo esami ed analisi alla ricerca della causa del malessere del cane e contemporaneamente somministrava terapie per correggere le alterazioni riscontrate. Nonostante la scelta degli esami e delle terapie fosse corretta, Caio non formula una diagnosi eziologica. Il cane nella serata del 19/11/2020 morirà dopo un intervento chirurgico effettuato da altro veterinario (Sempronio) 48 ore dopo l’ultima visita del primo veterinario. Altra situazione ricorsiva nella pratica quotidiana.
Non essendo stata eseguita autopsia (o comunque in mancanza di un referto di esame autoptico prodotto) il CTU afferma non essere possibile stabilire con certezza la causa della morte del cane. Parimenti, prosegue la relazione peritale, non è noto se l’ostruzione fosse completa o parziale o da quanto tempo fosse presente all’interno dell’intestino del cane. Altro motivo spesso dirimente nella vicende di ritenuta malpratica veterinaria è proprio quella di un naturale rifiuto del proprietario dell’animale a farlo sottoporre all’esame necroscopico. Sotto il profilo dell’accertamento de fatti è però spesso decisiva l’autopsia.
Prosegue la CTU affermando che il primo veterinario (Caio) ha avuto modo di visitare ed esaminare il cane solamente il giorno 17/11/2020 e in quella occasione formulava diagnosi funzionale (stasi intestinale) senza individuarne la causa primaria che sarebbe forse potuta essere individuata tramite accertamenti aggiuntivi come analisi contrastografiche, radiografie seriali o altro già nelle ore successive se il cane fosse stato trasferito, come da consiglio, in una struttura aperta 24 ore su 24 ed attrezzata per affrontare situazioni di emergenza e ricoveri. Il cane moriva il 19/11 dopo aver subito intervento chirurgico non privo di potenziali complicazioni. Per queste motivazioni, si legge nella relazione peritale, la morte dell’animale non può essere causalmente ascrivibile, in termini di preponderante probabilità scientifica, a Caio.
Invero si legge sempre nella relazione peritale il primo veterinario somministrava terapie (antibiotico, antiemetico e liquidi endovenosi) adeguate a contrastare i sintomi presenti ed a prevenirne l’aggravamento consigliando il trasferimento del cane in struttura attrezzate per ricoveri ed urgenze con requisiti più appropriati alla situazione. A ciò si aggiunga che la morte del cane è sopraggiunta due giorni dopo l’ultima visita da parte del primo veterinario (Caio) e circa 10/12 ore dopo che il cane era stato sottoposto ad intervento chirurgico intestinale (rischioso) da parte di un altro veterinario. Non è dunque dimostrato né dimostrabile che il corpo estraneo rinvenuto (nocciolo pesca) nell’intestino del cane in data 19/11/2020 fosse già presente nell’intestino in data 17/11/2020. A ciò si aggiunga che Tizio non seguiva le indicazioni di entrambi i veterinari (Caio e Sempronio); il primo peraltro suggeriva ricovero del cane già in data 17/11/2020, e il secondo suggeriva intervento chirurgico urgente già nella serata del 18/11/2020 ed eseguito invece per voler di Tizio il giorno successivo. In tale modo è stata ritardata la possibilità di risoluzione dello stato patologico del cane provocandone un aggravamento.
Sempre il CTU evidenzia come nel caso di specie l’omessa diagnosi non integra responsabilità professionale dal momento che la diagnosi di alcune patologie (e in particolare quella oggetto di causa) potrebbe aver bisogno di più tempo e più esami. Una diagnosi precisa nelle prime 8 o 10 o 24 ore consente un più tempestivo intervento chirurgico qualora si rendesse necessario; se l’intervento chirurgico fosse stato anticipato di 24 o 36 ore, vi sarebbero state forse più probabilità di risolvere la patologia ma non avendo nessun tipo di dato pre-chirurgico né chirurgico (ad es. circa danni all’intestino etc. non essendo stata eseguita l'autopsia) non è possibile quantificare tale probabilità.
Il Tribunale non essendo emersa la prova di un nesso di causa fra la condotta del medico e il decesso del cane non può che respingere le domande di parte attrice (Tizio). La natura della controversia e i motivi della decisione inducono alla integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. In buona sostanza viene fatta applicazione della giurisprudenza più recente in tema di malpratica professionale medico-veterinaria.