Interessantissima sentenza della Corte di Appello di Genova. La sentenza è la n. 750/2024 che offre non pochi spunti di riflessione su alcuni temi e istituti che spesso vengono in rilievo nell’ambito di contenziosi che riguardano una presunta malpratica veterinaria.
Giovedi 22 Maggio 2025 |
Il fatto.
Un cane razza Bulldog Inglese di sei anni (nome di fantasia Pimpa) decede immediatamente dopo un operazione di parto cesareo programmato, dopo avere partorito tre cuccioli, anche loro morti dopo il parto. In primo grado il Tribunale, nel condannare il veterinario, riconosce il concorso di colpa del proprietario del cane qualificando -ex art. 1227 c.c. - nella misura di un quarto l’incidenza causale di tale condotta.
L’esame necroscopico aveva evidenziato la mancanza di esami ematologici di base preoperatori; di quelli biochimici; non risultavano esser stati eseguiti elettrocardiogramma ed ecocardiogramma quali accertamenti rilevanti per la razza Bulldog inglese, interessata da patologie cardiache non evidenti ad un esame clinico, come la miocardiopatia aritmogena, evidenziata proprio dall’esame autoptico. Non ultimo viene sottolineata la scelta di operare il cane oltre le 23 e le immediate dimissioni, che non avrebbero consentito di valutare il decorso post operatorio, impedendo così di porre rimedio alla situazione con un intervento urgente.
L’esame necroscopico accerta come la morte di Pimpa sia stata causata da una emorragia addominale conseguente alla insufficiente legatura dei vasi ovarici e/uterini, con conseguente collasso cardiocircolatorio. Chi ha consuetudine con la materia avrà riconosciuto nelle evidenze della necroscopia molti aspetti che perimetrano il campo di battaglia nei giudizi di malapratica veterinaria.
Tanto basta per poter affermare - secondo il più probabile che non - che la condotta del medico sia risultata la causa esclusiva della morte, non potendosi imputare ai proprietari un concorso nell’evento.
Tale aspetto porta la Corte a non riconoscere quel concorso di colpa riconosciuto invece dal giudice di primo grado. E che avrebbe trovato fondamento nel fatto che il proprietario avesse comunque anteposto l’interesse economico alla riproduzione pur sussistendo indici che avrebbero sconsigliato l’intervento quali le caratteristiche peculiari della razza Bulldog inglese che comportino di per sé gravi difficoltà respiratorie e rischi con riferimento all’anestesia (nello specifico Pimpa aveva già affrontato un parto cesareo in precedenza). Il comportamento del proprietario pur volto a trarre utilità economica dal previsto parto, a fronte della evidente colpa medica non assurge a concausa dell’evento secondo la Corte di appello.
Non viene accolta - a titolo di danno patrimoniale- la somma richiesta dall’appellante proprietario di Pimpa a titolo di mancato guadagno per l’impossibilità, in conseguenza dell’operato del veterinario, di sottoporre il cane ad un futuro successivo parto (somma stimata in euro 6.800,00). Per la Corte l’età del cane, sei anni, imponeva di escludere ulteriori parti, in considerazione anche della razza del cane, oltre alla circostanza che comunque già l’ultima gravidanza non aveva dato l’esito sperato.
La sentenza impugnata viene contestata laddove ha ritenuto insussistente e comunque non provato il danno non patrimoniale subito. E’interessante il ragionamento della Corte laddove evidenzia come il cane (Pimpa) sia di fatto stato trattato dal proprietario come animale riproduttivo (a dispetto finanche delle sue effettive condizioni di salute). Tanto è dimostrato dalla domanda relativa alla perdita di chance per la vendita di futuri cuccioli che evidenzia l’intenzione degli attori di sottoporre il cane ad ulteriore accoppiamento e parto ove non fosse perito nell’evento per cui è causa.
La Corte pur condividendo - questo è un altro passaggio importante- l’orientamento giurisprudenziale che afferma che il rapporto d’affezione con l’animale domestico sia elevabile al rango di diritto inviolabile della persona umana ai sensi degli artt 2,32 e 42 Cost., si allinea con la decisione del primo giudice che ha escluso nel caso in esame la sussistenza di tale danno non patrimoniale. Lo esclude perché il comportamento dell’appellante (il proprietario di Pimpa) esclude che sia emersa la prova della lesione di un interesse costituzionalmente protetto essendo invece emerso preminente il ruolo primario di fattrice di Pimpa.
La vicenda processuale scrutinata ha affrontato un altro tema apicale che è quello della violazione del consenso informato. Il proprietario del cane deceduto deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto circostanza pacifica la sussistenza del consenso informato al parto e alla sterilizzazione dell’animale. Parte appellante contesta di avere espresso la volontà di sterilizzare una volta partorito e a prescindere dagli esiti dell’intervento, assumendo di avere espresso la volontà di sterilizzare l’animale solo ed esclusivamente sul presupposto che il parto fosse andato bene.
Due sono le considerazioni della Corte che portano a ritenere privo di pregio il motivo di appello del proprietario di Pimpa.
Il consenso viene considerato espresso nella sottoscrizione del modulo nel quale era viene indicato il rischio anestesiologico “molto alto”, peraltro accettato; si riconosce che le necessarie indicazioni sulle modalità e i rischi dell’intervento siano tate fornite.
Poiché il modulo è stato sottoscritto da persona diversa dal proprietario ma solo detentore dell’animale, lo si considera comunque correttamente prestato dal momento che il codice deontologico veterinario all’art. 29 prevede che il consenso informato possa essere prestato anche dal detentore dell’animale. Su due ultimi aspetti non si può che registrare il punto di vista della Corte, senza che tanto significhi aderirvi.