Jobs Act e tutela reale: effetti della mancata preventiva contestazione disciplinare

Avv. Franco Rindone.
Jobs Act e tutela reale: effetti della mancata preventiva contestazione disciplinare
Lunedi 12 Giugno 2017

Una sentenza del Tribunale di Taranto in data 21.04.2017, tra le poche intervenute dopo l'entrata in vigore del contratto a tutele crescenti, sancisce che il difetto della preventiva contestazione disciplinare del fatto è equiparabile alla sua insussistenza materiale, con la conseguente applicazione della tutela reale attenuata che prevede il reintegro e il risarcimento del danno in misura di 12 mensilità.

 Una recente sentenza della giurisprudenza di merito [1] costituisce occasione per tornare sul tema dei licenziamenti e in particolare su quelli disciplinari.

L'attuale regime normativo.

Come è noto, attualmente detta disciplina, con riferimento alle aziende con più di 15 dipendenti corre su due binari, quello della c.d. Legge Fornero[2] per tutti i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 e quello del contratto a tutele crescenti[3] (Jobs Act) per i lavoratori assunti successivamente. Per il primo binario l'intenzione del legislatore era quella di sostituire alla vecchia alternativa applicabilità/inapplicabilità dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, un sistema in cui la regola in caso di licenziamento disciplinare illegittimo è la tutela risarcitoria che si sostanzia:

  • in un risarcimento da 12 a 24 mensilità per i casi di vizi sostanziali;

  • in un risarcimento da 6 a 12 mensilità per i vizi formali.

Eccezioni a predetta regola con applicazione della tutela reale con il “reintegro”, (escludendo il caso del licenziamento strumentale che invece nasconde una discriminazione, quello di violazione di norme imperative o del motivo illecito), sono rappresentate da:

- l'insussistenza del fatto contestato;

- una sproporzione tra sanzione e contestazione espressa dal caso in cui contrattazione collettiva (o regolamento disciplinare) applicati in azienda prevedano per lo stesso fatto sanzioni più lievi.

Il secondo binario, con efficacia limitata ai soli lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, prevede (al di là dei casi di licenziamento discriminatorio, contrario alla legge o determinato da motivo illecito) per il caso dei licenziamenti disciplinari dichiarati illegittimi, il reintegro per il solo caso dell'insussistenza materiale del fatto contestato[4]; per tutte le altre ipotesi in cui si accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo o della giusta causa è previsto il solo risarcimento in misura di due mensilità per ogni anno di anzianità[5].

E' abbastanza evidente come il trattamento per i lavoratori in caso di licenziamento illegittimo risulti sicuramente (e forse troppo) deteriore rispetto al passato: invero, viste le conseguenze collegate alla eventuale dichiarazione di sua illegittimità (due mensilità per ogni anno di anzianità) non è chi non veda come per dipendenti con anzianità aziendale fino a quattro/cinque anni la strada del licenziamento possa costituire una soluzione appetibile per liberarsi di lavoratori semplicemente non più graditi; v'è così da chiedersi se nell'ipotesi ora evidenziata abbia ancora valenza effettiva nel nostro ordinamento il principio sancito dall'art. 1 della Legge 604 del 1966 secondo il quale "il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 del Codice civile o per giustificato motivo."  

L'intervento giurisprudenziale qui in esame.

Si inserisce in questo quadro la sopra citata sentenza del Tribunale di Taranto[6] che, tra le poche intervenute dopo l'entrata in vigore del contratto a tutele crescenti, sancisce che il difetto della preventiva contestazione disciplinare del fatto è equiparabile alla sua insussistenza materiale con la conseguente applicazione della tutela reale attenuata che prevede il reintegro e il risarcimento del danno in misura di 12 mensilità.  

Il ragionamento è in sintesi il seguente. Poiché il testo di legge (D.Lgs 23/2015) parla di insussistenza materiale del fatto contestato, la contestazione non è solo essenziale per l'esercizio del diritto di difesa ma è PRE CONDIZIONE necessaria affinché possa discorrersi di fatto materiale sussistente: ne consegue che l'omessa contestazione (specifica, tempestiva e antecedente rispetto al provvedimento del licenziamento) degli addebiti disciplinari esclude in radice la sussistenza del fatto materiale … con conseguente applicazione della tutela reintegratoria.

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Ora, ovviamente non sono in grado di affermare se la sentenza del Tribunale di Taranto troverà seguito nelle altre Corti d’Italia; posso però affermare che sicuramente essa rappresenta il tentativo di dare una risposta alla perplessità sopra esposta e cioè che il D.Lgs 23/2015, in molti casi, abbia introdotto nella sostanza un regime di libera recedibilità in favore del datore di lavoro. Pur non potendo fare previsioni, prendendo atto di quanto precede, prudenzialmente, non posso che  suggerire di applicare (correttamente) la procedura disciplinare prima di irrogare il licenziamento, ovviamente avendo prima adottato in azienda le opportune misure atte a renderla valida.

[1] Tribunale di Taranto 21.04.2017 Giudice Cosimo Magazzino

[2] Legge 28.06.2012 n. 92 comma 42 e ss

[3] Decreto Legislativo 4.03.2015 n. 23

[4] Decreto Legislativo 4.03.2015 n. 23 art. 3 comma 2

[5] Decreto Legislativo 4.03.2015 n. 23 art. 3 comma 1

[6] Vedasi nota 1

Allegato:

Tribunale Taranto del 21-04-2017

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