In tema di convivenza more uxorio, un'attribuzione patrimoniale a favore del partner convivente può configurarsi come adempimento di un'obbligazione naturale allorchè la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens.
Lunedi 12 Luglio 2021 |
E' questo il principio enunciato dalla Cassazione, Sezione VI Civile, con l'ordinanza n. 18721, depositata il primo luglio scorso, attraverso la quale ha confermato la decisione della Corte d'Appello di Trieste, la quale aveva qualificato l'erogazione di somme di denaro, per l'esecuzione di lavori come obbligazioni naturali.
Il ricorrente citava innanzi al Tribunale di Udine la ex compagna convivente per chiedere la restituzione di quanto pagato per l'esecuzione di una serie di lavori nell'immobile di proprietà della convenuta. Il Tribunale, in accoglimento della domanda attorea, condannava la ex convivente a corrispondere la somma complessiva di € 82.583,83 ritenendo gli esborsi effettuati dall'ex compagno non riconducibili alla solidarietà conseguente alla comunanza di affetti, anche tenendo conto della consistenza della somma impiegata rispetto al suo reddito e al suo patrimonio complessivo e dell'esclusivo vantaggio ricevuto dalla proprietaria dell'immobile.
Quest'ultima, impugnava la predetta sentenza innanzi alla Corte di Appello di Trieste la quale accoglieva il gravame, qualificando le prestazioni effettuate dall'uomo come obbligazioni naturali(1) giustificate dai doveri di solidarietà e di reciproca assistenza sia nei confronti della partner che della figlia.
La Corte d'Appello sottolineava che l'appellato stesso avesse favorito il verificarsi del cosiddetto squilibrio patrimoniale in quanto si era reso parte attiva dei lavori di ristrutturazione dell'immobile, scegliendo gli impianti e gli arredi da utilizzare nella casa della donna, destinata a diventare residenza familiare. Avverso la decisione del giudice territoriale, la difesa dell'uomo proponeva ricorso, articolato in due motivi:
1. la “violazione o falsa applicazione della norma di cui all'art. 2041 c. c., “ per non avere la sentenza impugnata, tenuto conto che le prestazioni effettuate trovano la loro ragione nel programma di vita comune condiviso con la ex convivente che, tuttavia, era venuto meno dopo quattro anni. La base di partenza della decisione della Corte d'appello, vale a dire l'inconciliabilità tra la convivenza more uxorio e l'azione di arricchimento senza causa nel caso di prestazioni rese da un convivente a favore dell'altro, si pone in netto contrasto con la giurisprudenza di legittimità la quale più volte si è espressa circa la sussistenza del diritto dell'ex convivente ad esperire l'azione di ingiustificato arricchimento laddove le elargizioni, per quanto spontanee, abbiano portato ad un vantaggio dell'altro ed esorbitino i limiti di proporzionalità e di adeguatezza, tenuto conto che la volontarietà del conferimento è non solo a vantaggio del partner proprietario esclusivo ma alla fruizione del bene comune, escludendo che il conferimento possa configurarsi alla stregua di un'attribuzione spontanea a favore dell'accipiens.
2. La “violazione o falsa applicazione della norma di cui all'art. 2034 c. c. e per omesso esame di un fatto decisivo”, per non avere la Corte d'Appello considerato che le prestazioni oggetto di controversia non erano andate a vantaggio della prole ma solo della ex convivente, avendo incrementato e migliorato il valore di un bene di sua proprietà senza essere strumentali alle esigenze della quotidianità.
La Suprema Corte ha ritenuto il primo motivo infondato, il secondo inammissibile ed ha rigettato il ricorso.
Riguardo al primo, la Cassazione evidenzia che, coerentemente con la giurisprudenza (2) secondo la quale “un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un'obbligazione naturale allorchè la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens”, la sentenza impugnata ha affermato che l'importo delle operazioni effettuate dovesse ricondursi all'adempimento di un dovere morale e sociale, sì da rientrare nella previsione di irripetibilità di cui all'art. 2034 c.c., “in quanto non esorbitante dalle esigenze familiari e rispettoso dei minimi di proporzionalità ed adeguatezza di cui alla medesima disposizione”.
“L'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa ” e, pertanto, a parere della Suprema Corte, non è possibile “invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa”, qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale. La prestazione del ricorrente è da considerarsi come l'adempimento di un'obbligazione naturale in quanto sussisteva un rapporto di proporzionalità tra le opere realizzate e l'adempimento dei doveri morali e sociali da lui assunti nell'ambito della convivenza di fatto, caratterizzata anche dalla presenza della minore. Inoltre, la doglianza sollevata dal ricorrente è volta ad una rivalutazione dei dati processuali non deducibili in sede di legittimità.
Quanto al secondo motivo, la Corte evidenzia che esso esorbita o, addirittura, non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata riguardo l'inquadramento della fattispecie nell'ambito concettuale dell'obbligazione naturale, “ravvisata nella riconduzione delle prestazioni rese nei doveri di carattere morale e civile di solidarietà e reciproca assistenza nei confronti del partner e, soprattutto, dei figli, in considerazione del fatto che i due conviventi avevano in vista il proposito, poi, realizzato, di vivere insieme e creare una famiglia”, decidendo di rendere l'immobile di proprietà esclusiva della donna, in linea con le esigenze della coppia e della minore.
Per tutti i motivi esposti, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile.
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Note
1. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che è possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte del convivente nei confronti del partner solo nell'ipotesi di “prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e adeguatezza”: Cass., n. 11330/2009
2. Cfr. Cassazione n. 3713 del 13.03.2003., Cassazione n. 14732 del 07.06.2018., Cassazione n. 11303 del 12.06.2020.