Diritto del soccombente al rimborso di quanto pagato sulla base di sentenza poi riformata e prescrizione

Diritto del soccombente al rimborso di quanto pagato sulla base di sentenza poi riformata e prescrizione

Con l’ordinanza n. 6942/2019, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla decorrenza del termine di prescrizione del diritto alla restituzione delle somme che il soccombente abbia versato in esecuzione della sentenza di primo grado, successivamente riformata.

Martedi 7 Maggio 2019

IL CASO: la vicenda approdata all’esame della Corte di Cassazione nasce dalla richiesta di restituzione delle somme che una società aveva versato in favore di un suo ex dipendente in ottemperanza della condanna ricevuta in primo grado nell’ambito di una controversia di lavoro promossa dal suddetto dipendente nei suoi confronti.

La richiesta di restituzione si fondava sul fatto che la sentenza di primo grado con la quale la suddetta società era stata condannata al versamento della somma in favore del suo ex dipendente era stata successivamente riformata e divenuta definitiva.

La richiesta veniva rigettata dal Tribunale, il quale dichiarava l’intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione in favore della società attrice. La sentenza di prime cure veniva confermata dalla Corte di Appello in sede di gravame interposto dall’originaria società attrice. Secondo la Corte territoriale, la prescrizione decennale del diritto alla restituzione delle somme decorreva dalla data di pubblicazione della sentenza di riforma che aveva comportato l’immediata caducazione della sentenza di primo grado.

Secondo i giudici di appello, poiché la sentenza dalla quale era sorto l’obbligo del versamento della somma in favore dell’ex dipendente era stata emessa nell’ambito di un giudizio in materia di lavoro, il dispositivo della sentenza è atto di rilevanza esterna, idoneo a conferire la giuridica possibilità di agire per ottenere la ripetizione dell’indebito da parte del lavoratore, prima ancora del passaggio in giudicato della sentenza.

Pertanto, il termine di prescrizione decennale per la richiesta di ripetizione dell’indebito decorreva dalla lettura del dispositivo.

La sentenza della Corte di Appello veniva impugnata dalla società, originaria attrice, con ricorso per Cassazione, la quale deduceva, fra l’altro, che il termine di prescrizione per procedere alla richiesta di restituzione delle somme è da considerarsi interrotto fino al passaggio in giudicato della sentenza che decide sull’intero giudizio.

LA DECISIONE: Con l’ordinanza in commento, i giudici della Suprema Corte di Cassazione, nel ritenere il ricorso infondato, lo hanno rigettato, ribadendo il principio secondo il quale, “il termine di prescrizione del diritto alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado comincia a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza di riforma, a mente dell’articolo 2935 c.c. e non dal momento, successivo, del passaggio in giudicato della stessa sentenza”. Ciò, in quanto con l’eliminazione, per effetto della legge 26 novembre 1990, n. 353, dell’inciso “con sentenza passata in giudicato” dal testo dell’articolo 336 c.p.c., comma 2, la sentenza di riforma (e di cassazione) ha una immediata efficacia sugli atti di esecuzione dipendenti dalla sentenza di primo grado riformata (ovvero d’appello cassata).
Secondo gli Ermellini:

  1. con la pubblicazione della sentenza di riforma, viene meno tanto l' efficacia esecutiva della condanna resa nel primo grado, tanto la giustificazione degli atti di esecuzione compiuti, a prescindere se effettuati spontaneamente o coattivamente e, di conseguenza sorge l’obbligo, da parte del soggetto che ha riscosso le somme, alla restituzione ed, in generale, al ripristino dello status quo ante;

  2. la notificazione dell’atto di appello, in generale, non costituisce atto interruttivo della prescrizione, con effetti permanenti fino al giudicato, anche della domanda di restituzione, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 2943 c.c., – commi 1 e 2 – e dell’articolo 2945 c.c., comma 2, salvo che nell’atto di appello (ovvero nel corso del giudizio d’appello, in caso di esecuzione avvenuta successivamente alla proposizione della impugnazione) sia stata effettivamente proposta una domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado;

  3. il dispositivo della sentenza, nel rito del lavoro non è, a differenza del rito ordinario, “un atto puramente interno, modificabile dallo stesso giudice fino a quando la sentenza non venga pubblicata, ma è atto di rilevanza esterna, che racchiude gli elementi del comando giudiziale i quali non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione, atteso che la sua lettura in udienza fissa in maniera immodificabile tale comando portandolo ad immediata conoscenza delle parti"(cfr. Cass. 7698/2008).

Allegato:

Corte di Cassazione|Sezione L|Civile|Ordinanza|11 marzo 2019| n. 6942

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