Danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno: i criteri di liquidazione

Avv. Giovanni Stefano Messuri.
Danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno: i criteri di liquidazione

Liquidazione del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno: critica al criterio della percentualizzazione dell'incapacità lavorativa specifica

Venerdi 19 Settembre 2025

L'ordinanza della Cassazione Civile Sez. III n. 22584/2025 demolisce il criterio di liquidazione del danno patrimoniale basato sulla percentualizzazione dell'incapacità lavorativa specifica, definendolo "giuridicamente, concettualmente e medicolegalmente erroneo".

La Suprema Corte stabilisce che l'accertamento deve avvenire attraverso un procedimento articolato che prevede l'accertamento dei postumi permanenti, la verifica della compatibilità con le mansioni specifiche e la valutazione dell'effettiva riduzione patrimoniale, escludendo ogni automatismo tra grado di invalidità e sussistenza del danno economico.

Cassazione Civile Sez. III, Ord. n. 22584 del 5 agosto 2025, Pres. Rubino, Cons. rel ed est. Rossetti.

L’ordinanza del Cons. Marco Rossetti offre una chiara e rigorosa analisi dei criteri di liquidazione del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno, apportando un (ulteriore) significativo contributo all’evoluzione giurisprudenziale in materia. L’analisi dell’ordinanza si concentra sui profili sostanziali e risarcitori. La pronuncia tuttavia riveste notevole interesse anche per gli aspetti processuali relativi alle questioni prospettabili in sede di legittimità, e ai modi della deduzione dei vizi, tematiche che meriterebbero un approfondimento autonomo per la loro rilevanza sistematica nell’ambito del diritto processuale civile.

Riassunto della vicenda Con l’ordinanza in commento la Suprema Corte di Cassazione affronta una complessa controversia risarcitoria originata da un infortunio occorso il 13 febbraio 2004 a bordo di un autobus del servizio pubblico gestito da AMTAB. Il passeggero A.A. riportò una frattura dello scafoide a seguito di una brusca frenata che lo fece cadere sul pavimento del mezzo. La vicenda processuale - sviluppata attraverso un articolato iter giudiziario - ha visto il Tribunale di Bari rigettare inizialmente la domanda nel 2013, la Corte d’Appello accoglierla nel 2016, una prima cassazione nel 2020 e infine il giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza impugnata del 2024. Il caso presenta particolare interesse per i principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte in materia di liquidazione del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno, tema di centrale rilevanza nella prassi risarcitoria contemporanea.

Le questioni giuridiche.

1. Liquidazione equitativa del danno patrimoniale. La Corte conferma la legittimità del ricorso alla liquidazione equitativa ex art. 2056 c.c. quando il danneggiato presenta un reddito talmente esiguo da essere sostanzialmente equiparabile a un disoccupato. Nel caso di specie, il reddito di 184 euro mensili ha giustificato l’applicazione del criterio del triplo dell’assegno sociale, conformemente a quanto previsto dall’art. 137, comma 3, del Codice delle Assicurazioni (D. Lgs. 7 settembre 2005, n. 209).

2. Critica al Criterio della “Incapacità Lavorativa Specifica” Il cuore dell’ordinanza risiede nella demolizione sistematica del criterio di liquidazione basato sulla percentualizzazione dell’incapacità lavorativa specifica. La Corte ha enunciato principi di diritto di fondamentale importanza, evidenziando (ancora una volta) che tale metodologia è “giuridicamente, concettualmente e medicolegalmente erronea per quattro ragioni”:

-) prima ragione: il criterio comporta uno spostamento improprio del centro decisionale dal giudice al medico legale, il quale può indicare i postumi permanenti ma non può formulare giudizi giuridici sull’esistenza del danno patrimoniale;

-) seconda ragione: la riduzione della capacità lavorativa non può misurarsi in punti percentuali per mancanza di scientificità, essendo la capacità di lavoro soggettiva e variabile secondo il tipo di attività svolta;

-) terza ragione: non esiste alcun barème medico-legale o diversa “unità di misura” (né tale barème potrebbe concepirsi) per ricavare percentuali di riduzione della capacità lavorativa, diversamente dal danno biologico che può essere “tabulato”;

-) quarta ragione: l’accertamento di postumi permanenti esprime solo la possibilità del danno, non la sua certezza, e non comporta automatico obbligo risarcitorio.

3. Metodologia corretta di accertamento La Suprema Corte delinea quindi il procedimento corretto per l’accertamento del danno patrimoniale che viene articolato in tre passaggi fondamentali: i) accertamento dei postumi permanenti; ii) verifica della compatibilità tra i postumi e l’impegno fisico o psichico richiesto dalle mansioni specificamente svolte dalla vittima iii) valutazione dell’esistenza in atto o in potenza di una presumibile riduzione patrimoniale.

4. Distinzione tra danno passato e futuro La Corte ribadisce l’importanza della distinzione tra danno patrimoniale passato (da rivalutare) e futuro (da capitalizzare), principio già affermato nella precedente sentenza di cassazione e nuovamente violato dal giudice di rinvio.

5. Compensatio lucri cum damno Particolare attenzione è stata dedicata alla corretta applicazione della compensatio lucri cum damno relativamente agli indennizzi INAIL. La Corte ha chiarito che, per invalidità del 12%, l’INAIL eroga esclusivamente il risarcimento del danno biologico e non quello patrimoniale; per tale motivo gli importi versati dovevano essere detratti dal credito per danno biologico permanente e non da quello patrimoniale.

I principi di diritto enunciati La Suprema Corte ha formulato due principi di diritto di particolare rilevanza:

-) primo principio: “L’accertamento del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno, conseguente a lesioni personali, patito da un soggetto già percettore di reddito, deve avvenire: a) accertando l’entità dei postumi permanenti; b) accertando la compatibilità tra i postumi e l’impegno fisico o psichico richiesto dalle mansioni svolte dalla vittima; c) valutando se l’eventuale incompatibilità tra postumi e mansioni comporti, in atto od in potenza, una presumibile riduzione patrimoniale. Deve invece escludersi che gli accertamenti suddetti possano compiersi in abstracto, chiedendo al medico-legale di quantificare in punti percentuali la c.d. ‘incapacità lavorativa specifica’ e moltiplicando il reddito perduto per la suddetta percentuale”;

-) secondo principio: “Sebbene il danno da lucro cessante causato dall’incapacità di lavoro possa dimostrarsi anche col ricorso alle presunzioni semplici, deve escludersi ogni automatismo tra il grado percentuale di invalidità permanente e l’esistenza del suddetto danno”.

Gli aspetti processuali rilevanti Motivazione della sentenza. La Corte ha censurato la motivazione della sentenza impugnata per essere caduta al di sotto del “minimo costituzionale” indicato dalle Sezioni Unite. La motivazione basata esclusivamente sulla valutazione INAIL del 12% di invalidità biologica per determinare l’entità del danno patrimoniale è stata giudicata logicamente incoerente, trattandosi di materie diverse e non correlate.

Onere probatorio e allegazioni tardive Significativo è il principio secondo cui le istanze istruttorie volte a dimostrare circostanze di fatto mai tempestivamente dedotte sono inammissibili. La AMTAB non aveva contestato nelle forme del codice di rito né l’entità del reddito della vittima né l’esistenza di circostanze giustificatrici della compensatio lucri cum damno, rendendo tardive le relative eccezioni in sede di rinvio.

Rilevanza sistematica L’ordinanza si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale che mira a superare automatismi liquidativi privi di fondamento scientifico. La critica al criterio della percentualizzazione dell’incapacità lavorativa specifica rappresenta un (ulteriore) importante contributo al dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla corretta metodologia di quantificazione del danno patrimoniale. La sentenza conferma l’orientamento già espresso in Cass. Civ. Sez. III, Ord. n. 5703/2025 e in Cass. Civ. Sez. III, Ord. n. 15451/2025, che richiedono la prova del nesso causale tra lesioni e impossibilità di svolgere il lavoro precedente, da un lato, e tra quest’ultima e l’effettiva contrazione del reddito, dall’altro.

Massima. In tema di liquidazione del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno conseguente a lesioni personali, deve escludersi ogni automatismo tra grado percentuale di invalidità permanente e sussistenza del danno economico.

L’accertamento deve avvenire mediante un procedimento articolato che prevede: a) l’accertamento dell’entità dei postumi permanenti; b) la verifica della compatibilità tra i postumi e l’impegno fisico o psichico richiesto dalle mansioni specificamente svolte dalla vittima; c) la valutazione se l’eventuale incompatibilità comporti, in atto o in potenza, una presumibile riduzione patrimoniale concreta.

È erroneo il criterio di liquidazione basato sulla quantificazione in punti percentuali della cosiddetta “incapacità lavorativa specifica” da parte del medico-legale e la successiva moltiplicazione del reddito per tale percentuale, in quanto comporta uno spostamento improprio del centro decisionale dal giudice al consulente tecnico, manca di scientificità non esistendo barème medico-legali per la capacità lavorativa, e confonde la mera possibilità del danno con la sua effettiva sussistenza.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 22584 2025

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