Nell'ordinanza n. 9682/2020 la Corte di Cassazione si pronuncia in merito ai criteri a cui si deve attenere il giudice nell'accertamento e quantificazione del danno patrimoniale da perdita o riduzione della capacità lavorativa patito da un soggetto adulto non percettore di reddito.
Lunedi 22 Giugno 2020 |
Il caso: Tizia e Caia convenivano dinanzi al Tribunale di Messina la societa' Zeta s.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza di un sinistro stradale causato da Mevio, assicurato con la suddetta societa'.
Il Tribunale accoglieva la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale; rigettava la domanda di risarcimento del danno patrimoniale; liquidava il danno in conformita' e, dal totale liquidato, sottraeva l'acconto pagato dalla compagnia di assicurazione.
La compagnia di assicurazione impugnava la sentenza di primo grado: la Corte distrettuale accoglieva l'appello principale e rigettava quello incidentale proposto dalle due ricorrenti, rilevando in particolare che le attrici non avevano diritto al risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacita' di guadagno e da distruzione del veicolo, perche' non l'avevano provato.
Una delle due attrici propone quindi ricorso per Cassazione, osservando, per quanto riguarda il danno patrimoniale, che:
a) il consulente tecnico d'ufficio aveva accertato essere residuati del sinistro postumi permanenti nella misura del 65%;
b) che al momento del sinistro stava per conseguire la laurea in architettura;
c) che anche a voler ritenere che non vi fosse la prova del presumibile futuro svolgimento della professione di architetto da parte della vittima se questa fosse rimasta sana, in ogni caso l'invalidita' sofferta le impediva finanche lo svolgimento del lavoro domestico, ed anche questo pregiudizio era comunque un danno suscettibile di valutazione patrimoniale.
Per gli Ermellini le censure sono fondate:
1) quando il danno alla capacita' di lavoro sia lamentato da un soggetto non percettore di redditi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, al giudice di merito e' richiesta una duplice valutazione: a) da un lato deve stabilire se la vittima, qualora fosse rimasta sana, avrebbe verosimilmente svolto un lavoro redditizio; b) dall'altro deve stabilire se i postumi precludono o no la possibilita' di svolgere in futuro un lavoro e ritrarne un reddito;
2) la Corte d'appello, quindi, avrebbe dovuto accertare se i postumi residuati all'infortunio erano compatibili con lo svolgimento delle attivita' lavorative, ivi compreso il lavoro domestico, confacenti alle abilita' ed al grado di istruzione della vittima.
Di conseguenza, la Corte di Cassazione enuncia il seguente principio di diritto_
“il danno da perdita o riduzione della capacita' lavorativa di un soggetto adulto che, al momento dell'infortunio, non svolgeva alcun lavoro remunerato, va liquidato stabilendo (con equo apprezzamento delle circostanze del caso, ex articolo 2056 c.c.): (a) in primo luogo, se possa ritenersi che la vittima, se fosse rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo professionale;
(b) in secondo luogo, se i postumi residuati all'infortunio consentano o meno lo svolgimento di un lavoro confacente al profilo professionale della vittima".
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