Con la nota sentenza nr. 4485 del 2018, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che tutte le controversie relative alla liquidazione dei compensi spettanti agli avvocati, a prescindere se riguardano l’an o il quantum debeatur, devono essere introdotte con il procedimento previsto dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 150/2011 e non con l’articolo 702 bis c.p.c., seguendo il rito sommario codicistico.
Pertanto avverso le decisioni emesse all’esito del procedimento speciale previsto dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 150/2001 deve essere proposto ricorso per Cassazione.
Quale rimedio può essere esperito, invece, nel caso in cui il legale introduca il procedimento per il riconoscimento dei propri compensi professionali con l’articolo 702 bis c.p.c e non con il procedimento speciale ex art. 14 del decreto legislativo n. 150/2011 e il giudice emette il provvedimento di rigetto della domanda provvedendo nel merito?
La risposta a questa domanda è stata fornita dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 210/2019.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, in questi casi il provvedimento deve essere impugnato con l’appello ex art. 702 quarter c.p.c, in virtù dei principi di ultrattività del rito e di apparenza.
IL CASO: Nella vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione due avvocati al fine di vedersi riconoscere il diritto a percepire i propri compensi professionali nei confronti di una società loro ex cliente depositavano ricorso ex art. 702 bis c.p.c.
La domanda era stata proposta nei confronti della società che era stata posta in concordato preventivo. Il Tribunale rigettava il ricorso osservando che i crediti vantati dai legali erano sorti dopo che la società cliente era stata ammessa alla suddetta procedura concorsuale e, pertanto, la richiesta andava formulata nei confronti della società e non nei confronti della procedura. L’ordinanza di rigetto emessa dal Tribunale veniva impugnata dai legali con ricorso per Cassazione.
LA DECISIONE: Con la decisione in commento, i Giudici di legittimità dopo aver dato atto che alla stregua della più recente giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione le controversie relative ai compensi professionali degli avvocati, anche in presenza di contestazioni sull’esistenza del rapporto professionale dedotto o, in genere, all’an debeatur vanno introdotte con il rito sommario speciale di cui all’articolo 14 del decreto legislativo n. 150/2011 e preso atto che nessuna eccezione era stata sollevata innanzi al Tribunale in merito al rito prescelto e quindi che nessuna erroneità del rito poteva essere sollevata in sede di legittimità, ha dichiarato il ricorso inammissibile evidenziando che una volta che il giudizio venga trattato come procedimento ai sensi degli artt. 702-bis c.p.c. e segg., la decisione emessa all’esito del suddetto giudizio deve essere impugnata con i mezzi di impugnazione previsti dal suddetto articolo e, quindi, con l’appello e non con il ricorso per Cassazione.
Nel caso in cui una controversia venga erroneamente trattata in primo grado con un determinato rito, hanno continuato gli Ermellini, anzichè con quello specificamente per essa previsto, le forme del rito concretamente adottato devono essere seguite anche per la proposizione dell'impugnazione avverso il provvedimento che l'ha decisa.
Ciò in ossequio del principio della ultrattività del rito, che - quale specificazione del più generale principio per cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell'apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice - trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (cfr., ex aliis, Cass. n. 20705 del 2018; Cass. n. 23052 del 2017; Cass. n. 25553 del 2016; Cass. n. 15897 del 2014; Cass. n. 15272 del 2014; Cass. 12290 del 2011; Cass. n. 682 del 2005.
Cassazione civile Sez. I 08/01/2019 n. 210