Con la sentenza del 9 aprile 2020 n. 11717/20, la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte di Appello di Torino che ha riconosciuto la penale responsabilità per il reato di stalking per un uomo che inviava messaggi e chiamate anonime al cellulare del nuovo compagno dell’ex fidanzata.
I motivi del ricorso riguardavano l’attendibilità della personalità dell’offeso e la circostanza che non fosse stato provato che le quattro telefonate anonime provenissero effettivamente dall’imputato. Il ricorso si basava essenzialmente su una attenta analisi sullo stato emotivo della vittima durante il periodo in cui si erano verificati gli asseriti atti persecutori.
Si osservava infatti che la parte lesa non aveva sentito durante il predetto periodo la necessità di rivolgersi ad un medico per un supporto psicologico, ma si era riservato di farlo, riconoscendo tra l’altro un pregresso stato di stress correlato all’ambiente di lavoro.
La Suprema Corte rigettando il ricorso aveva ritenuto privo di fondamento proprio il punto del ricorso relativo alla mancata richiesta di supporto psicologico nell’immediatezza delle condotte persecutorie, rilevando comunque come la stessa persona offesa avesse riferito di assumere quotidianamente lo Xanax.
Gli Ermellini aggiungevano infatti che non era necessario ai fini della configurazione del reato di stalking avere contezza dello stato d’animo della vittima; il turbamento della persona offesa può essere accertato attraverso la condotta tenuta conseguente alla realizzazione degli atti persecutori.