La pubblicazione online di immagini manipolate e corredate da insulti sessisti, molte delle quali riguardanti parlamentari e la stessa Premier Giorgia Meloni, ha riacceso il dibattito sulla sicurezza digitale e sulla protezione della dignità personale in rete e della propria identità digitale .
La vicenda ha accelerato l’adozione di nuove iniziative legislative, anche trasversali, già avviate sia alla Camera che in Senato.
Alcuni Parlamentari propongono un’educazione affettiva e sessuale nelle scuole, oltre a divieti effettivi di accesso ai siti pornografici senza certificazione autentica.
Altri hanno depositato una PdL che introduce l’obbligo di identità digitale per navigare sul web con uno “Stop all’anonimato online, ma anche con una educazione digitale nelle scuole che costituisce una battaglia culturale e giuridica che ci riguarda tutti” come ormai si afferma da parte di molti commentatori. .
La convergenza appare ampia tra tutti i Gruppi Parlamentari che chiedono norme più severe per fermare un fenomeno che colpisce tanto i personaggi pubblici quanto i cittadini comuni per porre un freno efficace alla violenza attraverso il Web.
Sta di fatto che negli ultimi anni, con lo sviluppo delle nuove tecnologie ed, in particolare, delle nuove modalità di comunicazione online, si è assistito ad un considerevole incremento delle condotte di violenza online o “cyberviolenza”, tra le quali “cyberstalking”, “cyberbullismo”, “revenge porn”
In particolare l’attenzione degli Studiosi è rivolta al c.d.revenge porn, che consiste nell’invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione, da parte di chi li ha realizzati o sottratti, senza il consenso della Vittima, costituito da immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati.
Tale diffusione avviene di solito a scopo vendicativo (ad esempio per "punire" l’ex partner che ha deciso di porre fine ad un rapporto amoroso), per denigrare pubblicamente, ricattare, bullizzare o molestare il sesso debole.
Si tratta quindi di una pratica che può avere effetti drammatici a livello psicologico, sociale e anche materiale sulla vita delle persone che ne sono inconsapevoli destinatari. .
E’, dunque, molto importante riflettere su come prevenire e difendersi da questo tipo di fenomeni attraverso una corretta protezione e gestione dei nostri dati personali.
Vi sono, invero, alcune indicazioni da seguire per scongiurare il fenomeno.
La prima e più importante forma di difesa é sempre la consapevolezza e la prudenza nell’utilizzo dei sistemi informatici.
Spesso accade che i dati personali vengano immessi dagli stessi interessati nel circuito di messaggistica e social network, sfuggendo, in tal modo, adì ogni controllo rendendone impossibile la cancellazione una volta diffusi.
E’ il caso degli Artisti che pubblicano le proprie foto a scopo pubblicitario della propria attività ma anche di alcuni politici più in vista che vengono colpiti per ragioni di avversione alle loro attività.
Per proteggere i dati personali eventualmente presenti nei propri dispositivi come (smartphone, pc o tablet), occorre utilizzare sempre misure adeguate per la sicurezza come, ad es., usare password che proteggono i dispositivi e/o le cartelle in cui vengono conservati i file, oltre a sistemi di crittografia per rendere illeggibili i file agli altri, sistemi anti-virus e anti-intrusione per i dispositivi.
Nel caso in cui la Vittima inconsapevole riceva foto o immagini private a contenuto sessualmente esplicito, anche se riguardano altre persone, bisogna evitare di diffonderle, cancellale e segnalarle alla Polizia postale utilizzando il sito su cui la stessa fornisce ogni indicazioni in merito alla denuncia da presentare.
Sempre più spesso accadono fenomeni pericolosi che riguardano la diffusione di immagini esplicitamente sessuali che coinvolgono, purtroppo, anche i minori, come Vittime o come destinatari di contenuti illeciti.
In tali casi, per i genitori occorre evitare di far utilizzare dispositivi digitali ai propri figli, monitorando il loro comportamento online e spiegando con chiarezza perché è bene evitare di interagire con sconosciuti e diffondere informazioni personali, soprattutto foto personali e filmati, tramite messaggi e social network che affollano i siti dei Pedofili, che si sono moltiplicati in questi ultimi anni.
Occorrerebbe evitare anche la pubblicazione delle foto dei minori a scopo celebrativo delle ricorrenze familiari che potrebbero divenire, se manipolate, merce di scambio dei Pedofili, come è accaduto anche di recente.
Nel caso in cui si abbia il fondato timore che immagini a contenuto sessualmente esplicito possano essere diffuse senza consenso è possibile presentare una segnalazione al Garante per la Protezione dei dati personali - GPDP, ai sensi degli art. 144-bis del Codice in materia di protezione dei dati personali e 33-bis del regolamento n.1/2019 del Garante, utilizzando apposito formulari sul sito, in cui dovranno essere indicate le piattaforme di condivisione di contenuti come social network, messaggistica, ecc. attraverso le quali avviene la diffusione, nonché le ragioni che fondano il timore che la condotta pregiudizievole possa essere posta in essere.
Inoltre, dovranno poi essere trasmesse al Garante, tramite un link che sarà comunicato dopo la presentazione della segnalazione, le immagini o i contenuti sessualmente espliciti dalla cui divulgazione ci si intenda tutelare.
Il Garante, in presenza dei presupposti indicati dalle norme di riferimento, adotterà un provvedimento che sarà notificato alle piattaforme coinvolte, nel tentativo di contrastare la temuta diffusione.
Come innanzi ricordato, alla tutela del Garante si può sempre aggiungere quella della Polizia Postale (https://www.commissariatodips.it/), alla quale è possibile rivolgersi per denunciare condotte penalmente rilevanti, come nel caso in cui si subiscano minacce o richieste estorsive, come hanno dichiarato alla Stampa alcune Vittime.
Tuttavia, il più importante accorgimento resta quello di tenere alto il livello di prudenza nel condividere materiale a contenuto sessualmente esplicito, in quanto l’intervento del Garante non è in grado di assicurare, in termini assoluti quanto rapidi, che l’evento temuto non si verificherà.
Inutile aggiungere che la manipolazione delle immagini è stata accresciuta dai nuovi sistemi di Intelligenza Artificiale sui quali è possibile intervenire solo a posteriori, così aggravando il danno per la Vittima di turno.
Va ricordato che la norma che tutela le Vittime di abusi è quella dell’art Art. 144-bis (Revenge porn) che recita testualmente
1. Chiunque, compresi i minori ultraquattordicenni, abbia fondato motivo di ritenere che registrazioni audio, immagini o video o altri documenti informatici a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione attraverso piattaforme digitali senza il suo consenso ha facolta' di segnalare il pericolo al Garante, il quale, nelle quarantotto ore dal ricevimento della segnalazione, decide ai sensi degli articoli 143 e 144 del presente codice.
2. Quando le registrazioni audio, le immagini o i video o gli altri documenti informatici riguardano minori, la segnalazione al Garante puo' essere effettuata anche dai genitori o dagli esercenti la responsabilita' genitoriale o la tutela.
3. Per le finalita' di cui al comma 1, l'invio al Garante di registrazioni audio, immagini o video o altri documenti informatici a contenuto sessualmente esplicito riguardanti soggetti terzi, effettuato dall'interessato, non integra il reato di cui all'articolo 612-ter del codice penale.
4. I gestori delle piattaforme digitali destinatari dei provvedimenti di cui al comma 1 conservano il materiale oggetto della segnalazione, a soli fini probatori e con misure indicate dal Garante, anche nell'ambito dei medesimi provvedimenti, idonee a impedire la diretta identificabilita' degli interessati, per dodici mesi a decorrere dal ricevimento del provvedimento stesso.
5. Il Garante, con proprio provvedimento, puo' disciplinare specifiche modalita' di svolgimento dei procedimenti di cui al comma 1 e le misure per impedire la diretta identificabilita' degli interessati di cui al medesimo comma.
6. I fornitori di servizi di condivisione di contenuti audiovisivi, ovunque stabiliti, che erogano servizi accessibili in Italia, indicano senza ritardo al Garante o pubblicano nel proprio sito internet un recapito al quale possono essere comunicati i provvedimenti adottati ai sensi del comma 1. In caso di inadempimento dell'obbligo di cui al periodo precedente, il Garante diffida il fornitore del servizio ad adempiere entro trenta giorni. In caso di inottemperanza alla diffida si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all'articolo 83, paragrafo 4, del Regolamento.
7. Quando il Garante, a seguito della segnalazione di cui al comma 1, acquisisce notizia della consumazione del reato di cui all'articolo 612-ter del codice penale, anche in forma tentata, nel caso di procedibilita' d'ufficio trasmette al pubblico ministero la segnalazione ricevuta e la documentazione acquisita.
Dalla lettura dela norma, contenuta nel D-Lgs 30 giugno 2003, n.196,recante il "Codice in materia di protezione dei dati personali" traspare tutta la inadeguatezza della stessa alle nuove forme di violenza che si sono diffuse nel Web e su cui il Parlamento è chiamato a legiferare, come emerge dall’analisi degli studiosi della delicata materia.
Violenza digitale.
Con violenza digitale, o cyberviolenza, si intendono tutte quelle forme di violenza rese possibili dalle tecnologie digitali come le piattaforme social, le app di messaggistica, i forum online e gli ambienti di gioco virtuali.
Le ricerche mostrano come il fenomeno colpisca in maniera particolare donne e ragazze, per questo la violenza digitale può essere considerata una declinazione della violenza di genere.
La violenza digitale può infatti iniziare online e proseguire offline, o viceversa, ed essere messa in atto da persone o gruppi di persone sia anonime o sconosciute alla vittima, sia conosciute.
Essa si manifesta sotto forma di diversi comportamenti, fra cui cyberstalking, doxing, revenge porn e sextortion.
Cyberstalking o Stalking digitale, è la versione online del reato di stalking, che consiste nel mettere in atto attraverso i mezzi di comunicazione digitali (email, social network, app di messaggistica) comportamenti molesti e ossessivi per minacciare, spiare, perseguitare o stabilire contatti indesiderati con la vittima, provocando angoscia e insicurezza. Secondo l'Istituto europeo per la parità di genere, per essere considerati manifestazioni di cyberstalking, i comportamenti devono "avvenire ripetutamente ed ssere perpetrati dalla stessa persona".
Doxing, un, neologismo nato negli anni Novanta nell'ambito dell'hacking, derivato dalla contrazione dall'espressione inglese "to drop documents" (abbreviato in docs), "lasciare, abbandonare documenti"; indica la ricerca online, l'appropriazione e la pubblicazione non consensuale di informazioni private o personali riguardanti una persona, che possono includere dati sensibili come indirizzo IP o di residenza, numero di telefono, informazioni sul posto di lavoro o su conti bancari e carte di credito, codice fiscale, foto personali o dettagli imbarazzanti.
Il principale obiettivo di questo tipo di attacchi è quello di violare la privacy e, conseguentemente, di umiliare, punire o intimidire la vittima. Il doxing può spesso sfociare in minacce, insulti e molestie di stampo sessista.
Revenge porn. Definito in italiano anche come "pornografia non consensuale" o, secondo una proposta dell'Accademia della Crusca del 2019, "pornovendetta", consiste nella diffusione – e talvolta nella creazione vera e propria, attraverso falsi digitali (i cosiddetti deepfake) – di materiale a esplicito contenuto sessuale (foto, video) senza il consenso della persona coinvolta, allo scopo di screditarne l'immagine pubblica. La diffusione del materiale può avvenire in diverse modalità – ad esempio attraverso link pubblicati sui profili social della vittima o l'invio del materiale pornografico a persone della sua cerchia familiare, lavorativa o delle amicizie –, così come l'appropriazione – girando video o scattando immagini senza il consenso della vittima oppure hackerandone i dispositivi elettronici o lo spazio cloud. In ogni caso, ciò che accomuna questo tipo di fenomeni è l'atto di rendere pubblico qualcosa destinato a rimanere privato, per umiliare e, spesso, vendicarsi della persona oggetto del revenge porn, che, infatti, in molti casi viene messo in atto da ex partner, con gravi conseguenze dal punto di vista psicologico, sociale e anche materiale su chi lo subisce.
«Il revenge porn ha raggiunto, negli ultimi anni, proporzioni allarmanti, secondo il Prof. Roberto De Vita, Presidente dell’Osservatorio Cyber Security dello Eurispes.
I casi di cronaca e gli studi che hanno analizzato il fenomeno della diffusione non consensuale di immagini private a sfondo sessuale a scopo di vendetta evidenziano il rischio di una esposizione generalizzata:nessuno è escluso, dagli adolescenti fino ai rappresentanti delle Istituzioni, passando per personalità pubbliche e per cittadini comuni».
Un fenomeno globale che, ancora una volta, dimostra quanto possa essere fragile l’identità nell’ecosistema digitale.
Un recentissimo studio statunitense (American Psicological Association , 2019) evidenzia come le persone colpite siano quasi 1 su 10, con percentuali ancora più elevate nel caso dei minori.
Se a questo aggiungiamo che il 51% delle vittime contempla la possibilità del suicidio, ci rendiamo conto della gravità del problema
Spiega De Vita:«Il revenge porn è parte di un più ampio fenomeno, la pornografia non consensuale (NCP), non necessariamente connesso a “vendette di relazione” e che attiene alla condivisione/diffusione digitale, senza il consenso della persona ritratta, di immagini di carattere sessuale: immagini riprese consensualmente o volontariamente nel corso di un rapporto sessuale o di un atto sessuale ma destinate a rimanere private o ad essere condivise privatamente; immagini carpite da telecamere nascoste; immagini sottratte da dispositivi elettronici; immagini riprese nel corso di una violenza sessuale».
Esistono numerosi siti che diffondono la NCP e incoraggiano i propri utenti a caricare, per vendetta, foto e video intimi dei loro ex-partner.
È anche frequente che offrano il servizio nell’ambito di forum, dove gli altri utenti hanno la possibilità di postare commenti dispregiativi o volgari nei confronti delle persone ritratte nelle immagini, che nel 90% dei casi sono donne.
Secondo uno studio statunitense del 2014, il 50% delle foto intime sono corredate da nome, cognome e link ai profili social personali, il 20% da indirizzi e-mail o numeri di telefono.
Di conseguenza, questo fenomeno può avere pesanti ripercussioni sul piano lavorativo. Infatti, secondo studi di Microsoft e di CareerBuilder, circa l’80% dei datori di lavoro utilizza i motori di ricerca e i social media per raccogliere informazioni sui candidati per i posti di lavoro e, circa il 70% delle volte, ne consegue un’esclusione dovuta ad una cattiva web reputation.
Un altro studio del 2019,pubblicato da Cyber Civil Rights Initiative, ha evidenziato come l’8,02% degli adulti intervistati abbia riportato di essere stato vittima di NCP.
La maggior parte delle vittime (circa il 70%), ha subìto la condotta dell’attuale partner (31,15%) o di un precedente partner (39,75%).
«I dati riguardanti i minori – dichiara il Presidente De Vita – sono ancora più preoccupanti, anche a causa del crescente uso del sexting. Uno studio condotto nel 2018 in seno alla American Medical Association ha stimato che su 110.380 partecipanti minorenni, rispettivamente il 14,8% e il 27,4% di questi aveva inviato o ricevuto sexts.
Inoltre, il 12% aveva inoltrato almeno uno di questi sext senza consenso».
In molti casi, i minori che hanno inviato le loro foto sono stati costretti o hanno ricevuto forti pressioni in tal senso. In base ad un’indagine condotta dal Massachusetts Aggression Reduction Center, al 58% degli intervistati è capitato di ricevere pressioni per inviare sexts. La maggior parte delle volte questi episodi sono avvenuti nell’ambito di rapporti stretti.
Sul piano normativo, le Filippine sono state tra i primi Stati ad emanare una legge contro il revenge porn, con l’“Anti-Photo and Video Voyeurism Act of 2009”. A seguire, numerosi Stati, in Europa e nel mondo, hanno disciplinato il fenomeno: tra questi figurano Israele (2014), Giappone (2014), Inghilterra e Galles (2015), Scozia (2016), Francia (2016) e 46 Stati Usa (a cui si aggiungono il District of Columbia e Guam).
In Italia solo di recente è stata introdotta una disciplina specifica sul revenge porn all’interno del cosiddetto Codice Rosso, in vigore dal 9 agosto 2019, in cui è stato inserito il nuovo art. 612– ter del CP che sanziona la “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” con la pena della reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5.000 a euro 15.000.
Quando si verificano in concreto questi episodi, i minori hanno inoltre maggiore difficoltà a cercare e trovare aiuto. Molto spesso, come nei casi di cyberbullismo, tendono ad isolarsi e a nascondere il problema, ritardando l’attivazione del sostegno e il contenimento tecnico della diffusione, che è invece sempre possibile. Non è un caso che in molti paesi siano attive campagne nelle scuole finalizzate ad una effettiva educazione dei minori al comportamento digitale responsabile e per informare su come difendersi, reagire e fermare la sextortion (diffusa anche tra minori stessi) e che in buona parte dei paesi a democrazia avanzata siano attive linee di emergenza dedicate ai minori riguardanti specificatamente il fenomeno del revenge porn.
«Da un punto di vista tecnico – spiega De Vita –, è possibile avere protezione nei confronti dei fenomeni esposti con una denuncia immediata, che attivi l’assistenza di public e private enforcement, rappresentati rispettivamente da reparti specializzati delle Forze dell’ordine, come la Polizia Postale e delle Comunicazioni, e dai consulenti privati che con questi collaborano. Ad esempio, in caso di sextortion, se si è in possesso delle immagini con le quali si sta venendo ricattati, è possibile rintracciarle ed eliminarle.
Per concludere, resta da chiedersi quale tutela sia attualmente garantita alle vittime che abbiano fornito i contenuti espliciti poi divulgati, laddove la pubblicazione avvenuta in assenza di volontà di arrecare nocumento alle persone rappresentate nelle immagini o nei video.
Un aspetto che, con il mutare delle consuetudini e dei costumi, va preso in considerazione è quello delle caratteristiche dei materiali diffusi, che devono essere “destinati a rimanere privati”, come emerge dall’art. 612-ter c.p.
La proliferazione di nuove pratiche attinenti alla sfera sessuale, quali il c.d. “sexting”, ossia lo scambio di messaggi e, talora, immagini “spinti” con un partner (occasionale o meno) rende più probabile l’invio, non sicuro, di contenuti espliciti e, di conseguenza, il rischio di una loro successiva e incontrollata diffusione, in quanto, talvolta, il partner è occasionale, mai incontrato dal vivo e individuato su siti o piattaforme di incontri online.
Oltre a chiedersi come ridurre il rischio di successiva diffusione di immagini senza consenso, pare opportuno interrogarsi sulla reale possibilità di considerare non “destinati a rimanere privati” immagini o video sessualmente espliciti scambiati nell’intimità con una persona con cui si ha (o si ritiene di avere) un elevato grado di confidenza e, certamente, senza l’intenzione di mostrarli ad una indistinta collettività.
La norma indicata potrebbe, pertanto, apparire superflua e comportare, in alcune circostanze, effetti lesivi di quella stessa sfera che si mira a tutelare, mostrando un atteggiamento forse eccessivamente contorto a livello concettuale e non comprendendo a fondo la delicatezza della sfera dell’intimità.
In particolare, il terzo comma della norma regolatrice, prevede una circostanza aggravante ad effetto comune che opera se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
Al quarto comma è prevista una circostanza aggravante ad effetto speciale, con aumento della pena da un terzo alla metà, se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
Analogamente a quanto previsto per il delitto di “Atti persecutori” (art. 612-bis c.p.), il reato è, generalmente, procedibile a querela della persona offesa, che ha sei mesi di tempo dall’ultima condotta delittuosa per chiedere la punizione del colpevole, invece dei consueti tre mesi.
Si procede, tuttavia, d'ufficio quando il fatto è connesso con altro delitto procedibile d’ufficio.
La remissione della querela può essere soltanto processuale, ossia avvenire davanti al Giudice oppure davanti a Ufficiali delle Forze dell’Ordine che serve a verificare che la rinuncia al perseguimento dell’illecito non sia dettata da pressioni esercitate dall’autore del reato, talvolta legato alla sua vittima da precedenti relazioni e in grado, molte volte, di esercitare influenza su questa, anche alla luce del terrore e dell’angoscia in essa ingenerati dalla diffusione dei materiali e capaci di ridurre le sue capacità di difesa.
A tanto si aggiunga che, relativamente agli autori del reato in questione, gli stessi sono perlopiù uomini, in danno delle vittime, per la maggior parte donne, spesso colpite da tali forme di violenza in seguito alla scelta di interrompere il rapporto di coppia in essere e, per questo, “punite” dall’ex partner.
In merito alla formula con la quale è comunemente denominato il delitto di cui all’art. 612-ter c.p., “revenge porn”, si sottolinea l’inadeguatezza di quest’ultima, in quanto il termine “revenge”, come ha sottolineato di recente Vittorina Maestroni del Centro Documentazione Donna di Modena, richiama il concetto di “vendetta”, ossia di inflizione di un male per restituire un torto subito; non si comprende quale possa essere stato il torto compiuto dalle vittime di tale reato, se non quello, spesso, di aver lasciato il partner.
Nemmeno l’espressione “porn” sembra idonea, in quanto la “pornografia” risulta essere diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito finalizzate alla eccitazione sessuale; nel caso di specie, invece, la finalità della diffusione è, nella maggior parte dei casi, una ritorsione nei confronti della vittima.
Riflettendo, invece, sul fatto che le vittime, non solo di questa tipologia di reato, ma di molti degli illeciti espressione, perlopiù, di una violenza di genere come il cyberstalking, raramente chiedano, in sede giudiziaria, il risarcimento dei danni subiti, occorre procedere con cautela e attenzione.
Infatti, va respinta decisamente una visione superficiale della questione, che ponga al centro della discussione unicamente la scarsa consapevolezza della vittima di avere diritto anche al risarcimento del danno, oltre alla riparazione morale derivante dalla condanna penale del carnefice.
Sembra, invece, da preferire una risposta che tenga in considerazione la vergogna provata dal soggetto vulnerato che, spesso, come si è detto, è una donna, e il rilievo mediatico, con conseguente sovraesposizione, che viene dato a casi di tal natura.
Inoltre, occorrerebbe sensibilizzare l’opinione pubblica, ancora troppo incline, talvolta, a considerare la donna perseguitata alla stregua di una “focosa amante” che, a causa di concezioni e convenzioni di una Società di stampo patriarcale quando la stessa, in verità, non è che la vittima di un’aberrante forma di violenza.
In questo contesto, il problema principale è quello degli autori della violenza, non certo dalle vittime della stessa, ed é a loro che va rivolta tutta l’attenzione del Legislatore.