Al di là delle consuete celebrazioni per l’annuale ricorrenza della Giornata Mondiale per le Vittime di Violenza Sessuale il prossimo 25 Novembre,vale la pena di fare il punto su quanto è stato fatto per evitare il ripetersi di un reato odioso come il c,d, Revenge Porn anche in base alle decisioni assunte dalla UE con riferimento all’uso distorto delle immagini intime delle Vittime,spesso all’origine di gravi episodi che spingono finanche al suicidio,come accaduto di recente ad Enna ad una giovane studentessa siciliana travolta dallo scandalo.
La nuova Direttiva Europea
L’Unione Europea ha approvato la nuova Direttiva 2024/1385 del 14/5/2024 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, volta a rafforzare e armonizzare il contrasto e la prevenzione della violenza di genere nelle legislazioni interne degli stati membri,perseguendo quegli obiettivi comuni già sanciti dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa del 2011 (v.su questa Rivista, M.Pavone La nuova Direttiva UE del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica,Maggio 2024).
Tale provvedimento è stato reso necessario dal fatto che la violenza di genere è divenuta un fenomeno transnazionale, come il terrorismo e la tratta di esseri umani,e,in quanto tale,necessita di essere combattuta perseguendo obiettivi comuni degli Stati Membri..
In particolare,la ratio della Direttiva è stata quella di sanzionare, per un più efficace intervento,la violenza connessa all’uso delle moderne tecnologie della informazione e della comunicazione (TIC),come afferma il Considerando n.17 in relazione ai nuovi strumenti individuarti che sono capaci di “amplificare in modo significativo la gravità dell’impatto dannoso dei reati”.
L’attenzione rivolta dal Legislatore Europeo ai reati di genere perpetrati attraverso i moderni strumenti informatici di comunicazione deriva dalla riscontrata pericolosità di queste tecnologie,ritenute potenziali “armi” in grado di rendere più agevole e rapida la commissione delle varie condotte criminose ed amplifi care l’offesa arrecata alle Vittime.
Infatti,alcuni dei reati presi in esame possono essere commessi con i metodi tradizionali,mentre altri vengono realizzati principalmente,ma non solo,con l’ausilio dei dispositivi informatici.
Invero,quattro dei sei reati sanzionati dalla Direttiva sono caratterizzati da una modalità Online del reato commesso tra cui:la condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato(art. 5),lo stalking Online(art.6),le molestie Online (art. 7),l‘istigazione alla violenza o all’odio Online (art. 8)
Tuttavia,fra le nuove forme di “criminalità” assume rilevanza la diffusione non consentita di immagini intime della Vittima attraverso lo schermo di un cellulare,di un tablet, di un computer, poiché gli strumenti informatici, ormai diffusi anche tra i più giovani,non solo agevolano la diffusione di queste immagini, ma anche la loro creazione e, quel che è peggio,la loro manipolazione attraverso la c.d.“Intelligenza Artificiale” che ne facilita la realizzazione.
Ne costituisce riprova il fatto che il Legislatore Europeo,nella stesura dell'art.5,che punisce la condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato,ha preso in esame questi nuovi fattori criminogeni affiancando, alle “immagini”e ai “video”,una più ampia definizione di “analogo materiale”, allo scopo di estendere tutte le tipologie di reato che riproducano immagini intime della malcapitata Vittima.
Tuttavia,la Direttiva esclude dalle sanzioni gli audio,come le registrazioni delle voci di persone impegnate in atti sessuali sebbene il Considerando n. 19 specifichi che il “reato dovrebbe riguardare tutti i tipi di tale materiale, ad esempio immagini, fotografie e video, comprese le immagini sessualizzate e i clip video e audio”,vincolando presumibilmente il materiale audio a quello video attraverso la congiunzione “e”.
Per contro,il materiale diffuso abusivamente e ritenuto sanzionabile sarebbe quello che deve ritrarre“atti sessualmente espliciti o le parti intime di una persona senza il consenso di tale persona” sebbene la terminologia adoperata estenda l’ambito di applicazione del reato alla diffusione di “immagini che ritraggono parti intime”.
D’altra parte la norma sembra collegare l’incriminazione,più in generale,a con dotte illecite che “possano arrecare un grave danno”alla persona offesa” (!!).
In tale direzione,sempre nel Considerando n. 19,la Direttiva precisa che “Tale reato dovrebbe comprendere anche la produzione, la manipolazione o l'alterazione non consensuale (ad esempio l'editing di immagini), anche mediante l'uso dell'intelligenza artificiale, di materiale in modo da far credere che una persona partecipa ad atti sessuali, purché detto materiale sia successivamente reso accessibile al pubblico tramite TIC, senza il consenso dell'interessato.
Nel concetto di produzione, manipolazione o alterazione dovrebbe rientrare anche la fabbricazione di video fasulli ma realistici («deepfake») con persone, oggetti, luoghi o altre entità o eventi molto simili a quelli realmente esistenti, che ritraggono una persona mentre compie atti sessuali, risultando falsamente autentici o veritieri agli occhi altrui”.
In una tale prospettiva la Direttiva si preoccupa di sanzionare,anche,la “minaccia di diffondere tali immagini al fine di costringere una persona a compiere un determinato atto, acconsentirvi o astenersi dallo stesso”.
Tuttavia,in ossequio ai diritti di libertà,nel Considerando n. 20,si aggiunge che la non punibilità dei reati compiuti dovrebbe concernere unicamente “il tratta mento del materiale da parte delle Autorità pubbliche,in particolare al fine di condurre procedimenti penali o di prevenire reati, individuarli e indagare su di essi,e gli Stati membri dovrebbero poter esentare una persona dalla responsa bilità in determinate circostanze, come nel caso ad es.di linee di assistenza telefonica o su internet utilizzate per segnalare un reato alle Autorità”.
In tale contesto,una parte importante della Direttiva è riservata alle forme di Assistenza alle vittime ed alla predisposizione di misure efficaci ed efficienti di protezione che spesso costituiscono il vero vulnus del sistema-giustizia chiamato a tutelare le donne che denunciano chiedendo aiuto alle Autorità.
Ne consegue che fondamentale diviene la semplificazione e la sicurezza delle segnalazioni e delle denuncia dei reati subiti dalle Vittime come pure la Formazione e la specialzzazione del personale di Polizia, quello giudiziario, psicologico e dei Centri di Assistenza,chiamati ad operare in questi contesti, come abbiamo sempre sostenuto nelle pagine di questa Rivista,che vanno istituiti rapidamente sul territorio nazionale,come previsto dalla Direttiva 2012/29/UE.
Sempre nella prospettiva della tutela delle vittime,occorre anche predisporre misure efficaci e tempestive per la rimozione del materiale diffuso Online e di disabilitazione dell’accesso al medesimo,di cui si è già occupaato il Garante della Privacy,di cui si dirà infra.
Una sentenza storica della Cassazione
In questo contesto non sono mancate le prese di posizione della Giurisprudenza.
In particolar,la Corte di Cassazione,con la sentenza 7/9/2023 n. 34567 definita storica,in materia di “violazione della privacy e trattamento illecito di dati personali” ha confermato la condanna a un anno e mezzo di reclusione per l’imputato, condannato in primo ed in secondo grado per i reati di diffamazione aggravata a mezzo della stampa e trattamento illecito di dati personali,come previsti dagli articoli 595, comma 3 codice penale e 167 del Codice della privacy.
In particolare, la Corte d’Appello di Milano aveva riconosciuto la responsabilità penale dell’imputato, rilevando che:
il catalogo delle donne single estrapolato da Facebook costituiva una lesione della dignità, dell’onore e della riservatezza delle donne coinvolte;
l’aver illecitamente prelevato e utilizzato i dati presenti sul social per tutt’altro motivo rispetto al fine ultimo posto in essere dall’imputato costituiva una violazione del principio del consenso informato al trattamento dei dati personali, previsto dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) e dal Codice della privacy;
la fattispecie costituiva una diffamazione aggravata a mezzo della stampa, in quanto comportamento idoneo a ledere la reputazione delle donne coinvolte mediante un mezzo idoneo a diffondere la notizia al pubblico.
La sentenza citata ha,inoltre, confermato il risarcimento del danno alle parti civili, costituite da alcune delle donne coinvolte nel catalogo.
Il danno è stato quantificato in 10 mila euro per ciascuna parte civile,tenendo conto del danno patrimoniale e non patrimoniale (morale, biologico, esistenziale) subito.
Sul punto, la decisione ha tenuto conto anche del recente orientamento della Corte di Giustizia europea che,ella causa C-300/21,ha precisato che,sebbene il GDPR non contenga parametri per quantificare il danno subito dalle Vittime che siano applicabili a tutti gli Stati membri,tuttavia,ciascun Ordinamento nazionale puù stabilire di fissare ed applicare propri parametri.
Secondo la decisione della Corte Europea citata,“l’articolo 82 del GDPR deve essere interpretato nel senso che, ai fini della determinazione dell’importo del risarcimento dovuto in base al diritto al risarcimento sancito da tale articolo, i Giudici nazionali devono applicare le norme interne di ciascuno Stato membro relative all’entità del risarcimento pecuniario, purché siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività del diritto dell’Unione.”.
Pertanto,il tentativo dell’imputato di difendersi adducendo di aver utilizzato dati e particolari intimi che le interessate stesse avevano reso pubblici sul social network,non è servito ad ottenere l’assoluzione poiché,secondo la stessa decisione,”il diritto alla protezione dei dati personali è un diritto inviolabile e indisponibile, che non può essere sacrificato per fini commerciali o ludici”..
Pertanto tale sentenza rafforza la giurisprudenza italiana in materia di violazione della privacy compiuto attraverso l’utilizzo illecito di dati personali e si inserisce in un filone di decisioni che hanno affrontato diversi casi analoghi, riconoscendo la responsabilità civile e penale dei responsabili,come nei casi del c.d “Revenge Porn”.che occorre approfondire.
La definizione degli ambiti del c.d. “revenge porn”
Lo spazio del web richiede un’attenzione particolare alle nuove figure criminose apparse negli ultimi anni tra i quali; l’hate speech, il sexting, il revenge porn, il cyberterrorismo e il cyberlaundering, poiché,secondo la Suprema Corte,devono ritenersi illegittime,nell’ambito della tutela delle immagini intime,persino per la raccolta e la diffusione di fotografie ritraenti una coppia che si bacia all’interno della abitazione privata di uno dei due .
Più in generale,con il termine“revenge porn” (dall’inglese revenge, vendetta) viene definita la condivisione di materiale pornografico,in immagini o video, attraverso la Rete,utilizzando sistemi di messaggistica istantanea oppure i social network,“senza alcun consenso della persona ritratta ed allo scopo di nuocerle, umiliarla o ricattarla” mentre viene ritenuta non consensuale,non la realizzazione del materiale pornografico ma la sua successiva diffusione sulle pagine web.
La vendetta sanzionabile,per quanto possa essere in astratto discutibile, presuppone,perché si verifichi. che essa consegua ad un torto o uno sgarbo di cui vendicarsi e tale fenomeno trova la sua massima diffusione all’interno di coppie che si lasciano e gli episodi che ne conseguono,spesso sono saliti agli onori della cronaca,vengono denominati “Revenge Porn”,perché uno dei due ex fidanzati o coniugi si vendica per il fatto di essere stato lasciato/a diffondendo le immagini e video espliciti dell’altro/a,come emerge dalla cronaca quotidiana-
Alcuni episodi di “Revenge Porn” hanno avuto,di recente,conseguenze drammatiche,giungendo alla morte per suicidio delle vittime ovvero all’omicidio del partner,sempre derivanti dalla diffusione di immagini senza il consenso, al solo scopo di umiliare e nuocere della Vittima del grave quanto odioso reato che è il soggetto ritratto e le cui immagini vengono diffuse illecitamente con l’utuilizzo dei social.
In molti episodi,peraltro,i protagonisti sono stati e sono giovani minorenni e sempre più spesso avvengono nel contesto scolastico.
Non appare condivisibile,peraltro,l’opinione di chi ritiene che se le immagini non fossero state girate,non avrebbero nemmeno potuto essere diffuse e per tale ragione anche le Vittime potrebbero aver cagionato il reato,in quanto poiché essa risulta essere pericolosa alla luce di molti fatti di cronaca violenta aventi ad oggetto reati ai sfondo sessuale,di cui si arricchiscono ogni giorno i quotidiani, alimentando una spiacevole curiosità morbosa per quanto accaduto..
Invero l’art. 612-ter del Codice penale, che viene ormai definito come vetusto ed inadeguato rispetto ai nuovi reati,sanziona la “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” ed è così che può essere definito tale reato dal punto di vista giuridico.
La complessità del fenomeno e la necessità di una rivisitazione della disciplina vigente stante l’inadeguatezza sotto molteplici profili della nostra legislazione e di come, ad esempio, il nostro art. 612-ter c.p., introdotto solo cinque anni fa, risulti già “vecchio”,non attuale rispetto all’evoluzione del fenomeno, alle plurime modalità di offesa all’autodeterminazione sessuale che si manifesta in immagine.
Un fenomeno che peraltro si intreccia e si sovrappone sempre più con le condotte di violenza sessuale perpetrate attraverso gli strumenti digitali come afferma la Dottrina (v.M.Bianchi, L’Abuso dell’immagine intima, in Riv.Sistema Penale).
Tale reato contempla,tuttavia,,plurime condotte: non solo la diffusione non consensuale di immagini intime, ma anche diverse forme di voyeurismo come, ad es. le aggressioni sessuali in diretta streaming;le immagini (spesso focalizzate sui glutei, sulle gambe,le immagini di scollatura) scattate a donne ignare in luoghi pubblici e diffuse senza il loro consenso;immagini o video realizzati attraverso telecamere nascoste nelle stanze degli hotel,nei bagni pubblici,nelle camere da letto;rappresentazioni,tecnologicamente modificate, di donne ignare delle riprese realizzate in modo da farle apparire intente a compiere atti sessuali con partners occasionali, etc.
La fantasia sessuale digitale si spinge anche oltre l’immagine della persona, fino ad arrivare allo stupro perpetrato sull’avatar realizzato nel Metaverso, come pure realizzando su alcune piattaforme di realtà virtuale casi di “palpeg- giamenti virtuali e stupri di gruppo,nonché contenuti sessuali omofobi e razzisti senza alcun limite alle immagini trasmesse..
Si tratta,peraltro,di luoghi virtuali in cui si riproducono le medesime logiche sessiste di colpevolizzazione e di vittimizzazione secondaria presenti nelle vicende di violenza sessuale reale,come testimoniato da una fruitrice di tali contenuti che aveva lamentato che il suo “avatar era stato palpeggiato da un estraneo”, e così ritenuta responsabile di non aver utilizzato le “adeguate funzioni di sicurezza personale” per evitare tali aggressioni.
La norma,introdotta nel nostro Ordinamento dall’art.10 della legge 19 luglio 2019,n.69,presenta una disciplina complessa e articolata in due differenti ipotesi: il comma 1 punisce (salvo che il fatto costituisca più grave reato) chiunque, dopo averle realizzate o sottratte, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito,destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate,è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.
Il comma 2 prevede che alla stessa pena soggiace chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini e i video di cui al primo comma, li invia, consegna,cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.
La previsione di cui al comma 1 rappresenta un reato comune, che può essere commesso da chiunque, per cui l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico; diversa è invece la previsione del comma 2, che può essere realizzata solo da chi ha in precedenza ricevuto le immagini e deve essere sorretta dal dolo specifico. La normaminfatti,prevede che i soggetti che diffondono successivamente le imma gini o i video debbano,per essere puniti, farlo con il fine di recare loro nocumento. I commi 3 e 4 disciplinano una serie di circostanze aggravanti della pena se i fatti sono commessi dal coniuge,anche se separato o divorziato o da una persona con cui si è avuta una relazione affettiva, prescindendo dal matrimonio.
Costituisce, inoltre, un’aggravante l’utilizzo di strumenti informatici o telematici ed infine,costituisce un’aggravante il fatto che la vittima sia una persona in condizione di infermità fisica o psichica o una donna in stato di gravidanza.
Il reato è punibile a querela della persona offesa, condizione che genera molti problemi tra le donne coinvolte perché,spesso,la persona offesa si vergogna di andare a querelare un fatto che la vede protagonista in maniera tanto intima e scabrosa sebbene il delitto nelle sue forme aggravate,sia procedibile d’ufficio.
Le conseguenze per le Vittime e la prevenzione dei reati
Un aspetto non secondario da prendere in considerazione nei casi di “Revenge Porn” o di pubblicazione non consensuale di immagini intime, è l’impatto emotivo che ha effetti devastanti sulle Vittime.
Infatti,la diffusione non autorizzata di contenuti intimi può causare danni psicologici gravi, tra cui depressione, ansia,vergogna e isolamento sociale, fino ad arrivare,nei casi più gravi.ad atti di autolesionismo come nei casi di cyberbull-ismo,in cui le Vittime sono,sempre più spesso,sottoposte ad una violazione profonda della loro privacy e dignità,con conseguenze a lungo termine sulla loro salute mentale e benessere psico-fisico.
Un problema significativo correlato a questo reato è la diffusione dei contenuti Online di cui si è occupata la Direttiva Europea innanzi citata poiché,una volta condivisi suo social,diventano virali in pochissimo tempo, rendendo difficile la loro rimozione completa,sebbene renda essenziale un intervento rapido e coordinato per prevenire ulteriori danni alle vittime coinvolte..
Altro tema rilevante è quello legato alla responsabilità delle Piattaforme Online, soprattutto alla luce dell’approvazione del Digital Services Act e del Digital Markets Act, i due nuovi Regolamenti Europei che sanciscono la responsabilità delle piattaforme sui contenuti che gli utenti pubblicano Online.
Tuttavia, nei reati commessi Online, la miglior strategia è,come sempre,la prevenzione atteso che la Rete Internet,per sua natura,non ha un ruolo reale, ma immateriale,ed è,quindi,molto arduo se non impossibile individuare i colpevoli, che potrebbero essere ovunque e cancellare tutti i contenuti diffusi così impedendo la loro individuazione.
Le valutazioni del Garante della privacy
Su questo argomento,si è pronunciato anche il Garante della privacy che ha ritenuto che, se le fotografie ritraggono momenti intimi di vita privata avvenuti all’interno del proprio appartamento,l’acquisizione delle fotografie configura una raccolta di dati personali,anche strettamente privati,in violazione dei principi generali di correttezza e trasparenza rispetto ai trattamenti effettuati per finalità giornalistiche.
Inoltre,quand’anche la persona lesa avesse in passato permesso la divulgazione di informazioni di tal genere,tanto non legittima qualsiasi forma di raccolta e di utilizzo di dati e immagini che la riguardano.
Infatti, il titolare del trattamento deve valutare caso per caso se sussistono i presupposti di legge che rendono lecita la diffusione di ogni fotografia acquisita e diffusa,tenuto conto della finalità del trattamento quella dell’ipotesi di una relazione sentimentale.
Anche per detta finalità, il Garante ha ritenuto che la stessa non è comunque idonea a giustificare la compressione del diritto al rispetto della vita privata dell’interessata,anche se si tratta di un personaggio pubblico che determina un sacrificio della sfera privata dell’interessata non proporzionato e non giustificato.
In considerazione di tutto quanto sopra,quindi, il Garante ha ritenuto che la condotta posta in essere con la pubblicazione delle immagin fosse da ritenersi illecita e conseguentemente ha deciso di disporre il divieto di ulteriore diffusione, anche Online,dei dati raccolti nonché di adottare a suo carico una sanzione amministrativa pecuniaria.
La segnalazione al Garante della Privacy
Da quanto innanzi esposto emerge, tuttavia, che,oltre alla denuncia,un rimedio concreto ed effiace per l’eliminazione del materiale diffuso sullla Rete può essere la segnalazione al Garante della privacy,ai sensi degli art. 144-bis del Codice in materia di protezione dei dati personali e 33-bis del Regolamento n. 1/2019 del Garante.
A tal fine occorre ricordare che è presente sul sito istituzionale dell’Autorità un apposito form,in cui dovranno essere indicate le piattaforme di condivisione di contenuti (social network,messaggistica, ecc.) attraverso le quali si teme la diffusione, nonché le ragioni che fondano il timore che la condotta pregiudizievole possa essere perpetrata.
Punto dolente, della procedura, perché di nuovo si scontra con vergogna e timore di giudizio,è che dovranno essere trasmesse all’Autorità – tramite un link che sarà comunicato dopo la presentazione della segnalazione – le immagini o i contenuti sessualmente espliciti dalla cui divulgazione ci si intenda tutelare.
Il Garante, in presenza dei presupposti indicati dalle norme di riferimento, adotterà un provvedimento, che sarà notificato alle piattaforme coinvolte nel tentativo di contrastare la temuta diffusione.
Si tratta di uno strumento utilizzabile da adulti e minori, che in modo rapido ed efficiente dovrebbe contribuire a tutelare maggiormente le vittime del reato, che in questo modo dovrebbero veder cancellati con più celerità i materiali pornogra fici, mentre la Giustizia ordinaria fa il suo corso nei tempi che consciamo.
Conclusioni
Come innanzi ricordato è essenziale in questi casi la prevenzione molto più della sanzione penale.
Prevenzione, quindi, vuol dire educazione digitale, consapevolezza, consenso alla diffusione e condivisione dei contenuti sensibili, aumento della cultura della privacy e protezione dei nostri dati che dovrebbero diventare parte del nostro bagaglio culturale e dei programmi di insegnamento scolastico, per educare tutti a tutelarsi e proteggersi in questi casi.
Per combattere queste forme di violenza su basi comuni,il Legislatore Europeo sottolinea come il ricorso al diritto penale non sia sufficiente,perché “esse trovano le proprie radici in stereotipi di genere, pregiudizi, espressioni “culturali” di discriminazione che travalicano i confini nazionali e che non possono che essere affrontate partendo dall’educazione delle nuove genera zioni” per cui appaiono necessarie “campagne di sensibilizzazione per contra stare la violenza contro le donne e la violenza domestica, potenziando nelle scuole l'educazione alla sessualità, alle competenze socio-emotive e all'emp atia e promuovendo lo sviluppo di relazioni sane e rispettose”-
Oggi e più che mai,con l’introduzione della nuova Direttiva Europea,il Legisla tore nazionale è chiamato a rivalutare le norme vigenti, selezionan do,all’inter no di un fenomeno così ampio ed eterogeneo,le fattispecie che richiedano l’intervento del diritto penale.
Dai nuovi dati pubblicati,in un recente Rapporto,da ActionAid,l’attenzione sul tema della violenza maschile sulle donne da parte della politica italiana è intermittente e i picchi si registrano in occasione di giornate simboliche o durante momenti chiave dei processi legislativi.
La violenza di genere viene, per esempio, ricondotta a un problema di sicurezza pubblica, per le strade o nei luoghi di lavoro. Altre opinioni espresse,invece, contengono “elementi di sessismo benevolo,che interpretano la relazione tra donne e uomini come una forma di protezione maschile nei confronti delle donne, contribuendo così a rafforzare la cultura patriarcale alla base della violenza in questione”-
Come evidenzia il Rapporto,il risultato è che “Mogli, madri, sorelle, figlie uccise spesso da chi avrebbe dovuto proteggerle, tra le mura di casa”.e questa lettura – sottolinea l’Associazione - è frutto della cultura patriarcale, la stessa “in cui affonda le radici la violenza contro le donne”.
È,quindi,necessario,“che coloro che legiferano,superando le differenze ideolo giche,raggiungano una convergenza per approvare una legge che introduca l’educazione sessuale,affettiva e di genere nelle scuole, in linea con le Direttive internazionali” anche se nella realtà é molto diverso poiché “La violenza contro le donne viene raramente inserita in una cornice di senso più ampia, come - ad esempio - quella dei diritti delle donne o delle politiche per le pari opportunità”,