Premessa
“Il corto circuito mediatico giudiziario si ripete nonostante le Riforme, nonostante anni di dibattiti, campagne di sensibilizzazione e provvedimenti assunti dalle singole Procure per contenere le fughe di notizie”, come ha scritto, in maniera condivisibile, L.Bulian sul Giornale del 19 Luglio 2025,a proposito delle indagini milanesi avviate dalla Procura su presunti abusi edilizi commessi dagli Ammnistratori locali.
Mercoledi 6 Agosto 2025 |
Il punto dolente della questione, secondo l’articolista, è costituito dalla diffusione sui massmedia delle intercettazioni delle conversazioni intercorse tra gli indagati in aperta violazione della normativa vigente, proposta dal Ministro della Giustizia in carica ed approvata dal Parlamento.
Senza entrare nel merito dell’indagine ancora in corso, secondo il pensiero della Bulian, viene da chiedersi su chi incombe la responsabilità di tale pubblicazione laddove si tratti di atti di indagine istruttoria riservati all’Autorità Inquirente alla luce della attuale normativa regolatoria (di cui si dirà oltre).
A tanto si aggiunge l’indignazione degli Amministratori locali per aver appreso di essere indagati dai giornali e non dai Magistrati, che suona come una sorta di presa d’atto, con rassegnazione, di una dinamica che non può essere scaricata solo sui giornalisti sebbene agli stessi incomberebbe, in presenza di una notizia di interesse pubblico, valutare le implicazioni derrivanti dalla sua pubblicazione.
In proposito, occorre ricordare che la frequenza con cui accade non è più quella di un ventennio fa, alla luce delle modifiche apportate dalla recente normativa che ha introdotto una stretta alle intercettazioni non rilevanti, che, sia con la Riforma Orlando e, ancor più, con quella, più recente, del Ministro Nordio, non finiscano più sui giornali narrando dettagli personali di terze persone non indagate dalla A.G.
Invero, il cambiamento va attribuito all’ultima Riforma del Guardasigilli, costituita dall’introduzione di un filtro alle richieste di arresto, per cui, attualmente, gli indagati non vengono più arrestati tout cour ma vengono prima sentiti dal GIP che decide dopo averli interrogati e ascoltato le argomentazioni difensive.
Si tratta di un notevole passo in avanti nella direzione del rispetto del principio costituzionale della c.d.“presunzione di innocenza”un tempo letteralmente ignorato dagli inquirenti ma che può e deve trovare applicazioni in tutti casi in cui si indaga sui reati più disparati, a prescindere dalla loro gravità.
Anzi, l’osservanza del precetto costituzionale dovrebbe indurre gli Inquirenti ad una maggiore cautela anche nel caso di intercettazioni disposte per inchieste in cui la complessità delle stesse ed il numero elevato dei soggetti coinvolti, imporrebbe una maggiore cautela ma anche rigore nelle decisioni da assumere.
Tuttavia, nonostante i limiti imposti dalla Riforma, vengono ancora pubblicate le intercettazioni di conversazioni contenute nelle Ordinanze emanate, con evidente pregiudizio morale, personale ed economico derivante agli indagati dall’uso smodato della c.d.Giustizia Mediatica, sebbene la nuova normativa vieti alla Polizia giudiziaria la trascrizione dei dialoghi non rilevanti come pure vieta, addirittura, ai giornalisti di pubblicare in modo letterale quelli contenuti nelle Ordinanze ritenute, per tale ragione, ritenute decisive dagli Inquirenti.
Di qui “il corto circuito mediatico giudiziario”, di cui narra la Bulian, che si riflette sullo esito delle indagini in corso nella misura in cui le intercettazioni possano incidere sia sugli interrogatori da effettuare, ai fini della irrogazione delle misure cautelari che, com’è noto, vanno graduate secondo la gravità del reato contestato, sia sul “”principio di innocenza”, costituzionalmente protetto, che riguarda indistintamente tutti i soggetti coinvolti nelle indagini sino alla definitiva sentenza di condanna.
In particolare, utilizzare le intercettazioni pubblicate come veicolo di lotta politica, ne costituisce un odioso corollario che rende necessaria l’osservanza della normativa vigente sia da parte dei giornalisti ma, ancor più, da parte degli Inquirenti che hanno l’obbligo di applicarla, specie nei casi in cui l’informazione possa essere utilizzata a fini politici.
Nondimeno, suscita perplessità nei commenti, la notizia, che uno dei più eccellenti Indagati abbia appreso l’esistenza del procedimento dalle pagine dei quotidiani e non dalla Procura, in spregio all’obbligo di informazione, introdotto dalla recente Riforma Cartabia della Giustizia, in attuazione della Direttiva Europea 2012/29/UE a salvaguardia dei diritti difensivi, largamente ignorati nelle inadagini svolte in precedenza.
Come ricorda D.Paolini dalle pagine di Avvenire, a oltre trent’anni da Tangentopoli, occorre un invito alla prudenza in questi casi.
La giustizia spettacolarizzata, propria di quell’infausto periodo (che ha prodotto tante vittime altrettanto illustri- NdR) si è spesso fusa con una narrazione media tica che ha condannato gli indagati prima ancora di qualsiasi sentenza.
La buona notizia è che il tanto paventato “bavaglio” ai massmedia non c’è o che, se c’era, è caduto nell’inchiesta di Milano sul presunto giro di corruzione finalizzato al saccheggio edilizio della Città di cui ormai sappiamo tutto o, meglio, sappiamo tutto quello che la Procura ha ritenuto di allegare alle richieste di arresto per alcuni degli indagati.
Insomma, secondo il commento pubblicato, il divieto di pubblicare integralmente o con uno stralcio il contenuto delle Ordinanze di custodia cautelare, introdotto dalla c.d.“Legge Bavaglio”, approvata nel dicembre scorso e sempre criticata, appare scomparso proprio grazie a una norma voluta dallo stesso Guardasigilli Nordio per consentire agli indagati di difendersi dalle misure cautelari.
L’Ordinanza cautelare, ora preceduta dall’avviso di “interrogatorio preventivo”emesso a garanzia delle persone di cui gli Inquirenti chiedono l’arresto, favorisce, quindi, la pubblicazione delle informazioni che emergono dalle carte processuali finite sui giornali, ivi comprese le intercettazioni ed i virgolettati in barba al divieto di pubblicazione ed al diritto riconosciuto solo agli indagati, nella fase istruttoria, ad essere informati in maniera preventiva delle accuse a loro rivolte dalla Procura, quand’anche siano, in avvenire, ritenuti responsabili dei fatti ad essi contestati.
Secondo lo stesso commento, benché possa essere gusto e sacrosanto, che l’Opinione Pubblica sia informata su fatti ritenuti, dagli Inquirenti, potenzialmente di grave allarme sociale e morale, si sarebbe in presenza di informazioni diffuse senza alcuna garanzia di contraddittorio con gli interessati ed in violazione di precetti normativi precisi ma non osservati in primis dagli stessi Inquirenti.
Nonostante la ipotizzata gravità dei comportamenti illeciti che sarebbero avvenuti, tuttavia, le condotte delittuose vanno sempre argomentate davanti a un Giudice terzo rispetto alle parti, così come sancito dall’art 111 della Costituzione per il c.d. Giusto Processo, e verificate in giudizio, in attesa della sentenza che ne accerti cristallizzi i contenuti formali e sostanziali.
Colpisce, peraltro, che gli Inquirenti adoperino un linguaggio ricco di aggettivi anticipatori di un processo ancora tutto da affrontare, che si ravvisa negli atti istruttori compiuti, in cui si leggono espressioni come “spregiudicato faccendiere, incline alla corruzione”, che sembra più una valutazione etica che giudiziaria, e quello di una “corruzione vorticosa”, come il riferimento ad un Territorio“svilito a merce da saccheggiare”.(sic!!)
Tuttavia, attraverso gli interrogatori preventivi disposti, che costituiscono una anticipazione del dibattimento in ambito cautelare, si potrà comprendere meglio la versione di chi rischia la privazione preventiva della libertà personale.
Orbene, se é giusto che la Giustizia faccia il suo corso e, se ci siano dei colpevoli, che essi paghino per gli errori commessi, nell’adempimento del mandato conferito dagli Elettori, a oltre trent’anni di distanza da Tangentopoli, sarebbe sempre il caso di tenere a mente le insidie di una narrazione troppo orientata sulle tesi dell’accusa in base al sano principio che tutta l’indagine va sottoposta al segreto per evitare fughe di notizie in violazione delle norme poste a salvaguardia dei diritti difensivi degli indagati.
Il segreto istruttorio, nel diritto processuale penale italiano, è il divieto di divulgare le informazioni relative a un'indagine penale in corso.
Esso, nel vecchio Codice di procedura penale, aveva lo scopo di impedire la divulgazione di notizie sulle indagini, garantendo la riservatezza e l'efficacia delle attività investigative e mirava a proteggere le indagini, è stato sostituito nel 1989 dal “segreto investigativo”.
Inoltre, nel vecchio codice, era più ampio del segreto investigativo che ha una durata limitata alla chiusura delle indagini preliminari mentre, in precedenza, si applicava per tutta la durata dell'istruttoria, che era la fase precedente al dibatti mento.
La violazione di esso poteva comportare sanzioni penali, a seconda della gravità e del contesto, atteso che copriva un'ampia gamma di documenti e atti processuali, mentre il segreto investigativo si riferisce a singoli atti o una sequenza di atti.
L'indagato poteva accedere agli atti d'indagine solo dopo la chiusura dell'istruttoria, nel caso del segreto istruttorio, mentre con il segreto investigativo, l'indagato (ma non i terzi estranei all’indagine) può accedere agli atti una volta informato del deposito degli stessi ex art.415-bis del CPP.
In sostanza, il segreto istruttorio era un segreto più rigido e assoluto, mentre l’attuale segreto investigativo ammette una maggiore trasparenza e accesso agli atti una volta che l'indagine ha raggiunto la fase della chiusura delle indagini.
Tuittavia,,è sempre stata, comunque, assicurata dal Codice di Rito una necessaria riservatezza per gli atti e documenti posti a base delle indagini svolte dagli Inqui renti delle Procure.
La legge n. 114 del 9 agosto 2024
La Legge Nordio è intervenuta per una Riforma della materia, recando“Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”, è entrata in vigore dal 25 agosto 2024.
Tra le modifiche più significative, la Legge ha introdotto:
l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio;
la modifica del reato di traffico di influenze illecite;
interventi sulla disciplina delle intercettazioni.
Tralasciando, per brevità, gli altri contenuti, l’art. 2 della Legge ha apportato alcune alcune modifiche al CPP in relazione al contenuto delle intercettazioni, alla loro utilizzabilità e alla prassi della pubblicazione per pubblico interesse.
È stato anche rafforzato il principio della segretezza delle conversazioni tra clienti e avvocato, prevedendo:
il divieto di acquisire qualsiasi forma di comunicazione intercorsa tra l’imputato e il proprio difensore, a meno che l’Autorità giudiziaria non ritenga che si tratti di corpo del reato;
che le intercettazioni dell’Autorità giudiziaria o degli organi ausiliari delegati debbano essere immediatamente interrotte se risulta che la conversazione rientri tra quelle vietate.
In particolare, la Legge ha introdotto il divieto di pubblicazione degli atti del processo sia da parte della stampa, sia dei privati, riformulando l’art. 114 bis, comma 2.
Inoltre, all’art. 116 cpp, comma 1, è stato aggiunto il seguente capoverso:
“Non può comunque essere rilasciata copia delle intercettazioni di cui è vietata la pubblicazione ai sensi dell’articolo 114,comma 2-bis, quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori, salvo che la richiesta sia motivata dall’esigenza di utilizzare i risultati delle intercettazioni in altro procedimento specificamente indicato.”
Vengono, inoltre, vietati le trascrizioni delle intercettazioni da parte della P.G.al fine di prevenire lesioni irreparabili alla dignità della persona, le espressioni lesive della reputazione e dati sensibili che possano permettere di identificare soggetti diversi dalle parti, che dovranno essere eliminati anche dalla richiesta di misura cautelare.
L’obiettivo del Legislatore è stato quello di evitare che la fuoriuscita di notizie possa diventare incontrollata, rendendo impossibile l’applicazione del c.d. “diritto all’oblio” assicurando un corretto equilibrio insito tra diritto e dovere di cronaca, da un lato, e dignità della persona dall’altro.
Secondo la Dottrina, la normativa della Legge Nordio sarebbe pervasa dalla preoccupazione che tutto ciò che viene trascritto nei verbali delle attività di intercettazione, acquisite al procedimento, confluendo nel fascicolo del Pubblico Ministero possano finire, presto o tardi, sulle scrivanie dei giornalisti, come afferma il Legislatore, avendo le modifiche introdotte lo scopo esplicito di <circolazione [corsivo nostro] delle comunicazioni intercettate>>.
Ne costituisce riprova la modifica del co.2-bis dell'art. 114 che così recita:
<<È sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni se non è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento>>, sostituendo l'ultima parte che si riferiva al contenuto delle intercettazioni <>
Con quest'ultima formula, viene sancito il principio per cui, in materia di intercettazioni, vige il divieto assoluto di pubblicazione di qualsiasi atto della polizia giudiziaria (che opera sotto il controllo del pubblico ministero) e dello stesso Pubblico ministero (quale ad es., la richiesta di misura cautelare), se non viene ripreso dal Giudicante e fatto proprio nel suo provvedimento.
Esso costituisce un atto di acquisizione del dato delle intercettazioni da parte del Giudice che rende legittimo lo stesso e che il controllo effettuato dal P.M. conserva un mero valore residuale, perché lo legittima soltanto a presentare quel dato al Giudice a sostegno delle sue richieste.
Pertanto il divieto, che adesso copre ogni atto del P.M., passando da una distinzione tra fasi del procedimento ad una distinzione tra i soggetti del procedimento comporta che solo il Giudice può valutare la rilevanza delle conversazioni captate ai fini di una eventuale e successiva utilizzazione.
In conseguenza, sebbene il verbale di intercettazione sia legittimamente confluito nel fascicolo del PM e benché non sia più tale verbale o il suo contenuto, coperto da segreto istruttorio (co. 1) ma anche quando sia stata superata la fase dell'udienza preliminare (co. 2), quegli atti di iindagine rimangono coperti da un divieto di pubblicazione assoluto, tranne nel caso in cui siano stati riportati in un provvedimento del Giudice ed, in particolare, nell'Ordinanza che dispone la custodia cautelare.
Per quanto riguarda le misure cautelari, è stata introdotta l’obbligatorietà dello “interrogatorio preventivo”, che dovrà essere documentato per intero tramite registrazioni audiovisive o fonografiche, mentre la decisione dell’applicazione della custodia in carcere o di una misura di sicurezza detentiva, nel corso delle indagini preliminari, dovrà essere assunta dal Tribunale in composizione collegiale.
Tuttavia, va riilevato che, in tal caso, gli atti delle indagini o dell'udienza preliminare non sono più coperti dal segreto investigativo, ma restano sottoposti ad un divieto di pubblicità immediata, nel senso che è vietata la pubblicazione del loro contenuto integrale, ma solo di una sintesi come notizia.
La ratio di un tale divieto deve essere colto sul piano procedurale, perché è teso a garantire una <> in virtù del principio di separazione delle fasi che esige che al Giudice del dibattimento sia, di regola, interdetta la preventiva conoscenza degli atti delle indagini preliminari.
Va specificato che la violazione dei divieti di cui all'art. 114 comporta, oltre alla responsabilità penale, ex art. 684 c.p., e, in caso di violazione del segreto delle indagini, ex art. 326 o art. 379-bis c.p., a condizione che il divieto sia previsto dalla legge e non da un provvedimento dell'A.G., come pure esso comporta una responsabilità disciplinare per i funzionari pubblici e per gli esercenti professioni per le quali è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, come nel caso dei giornalisti (art. 115).
La successiva Legge 31 marzo 2025,n. 47 riguardante "Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione" entrata in vigore il 24 Aprile 2025,ha modificato l'art. 267,co.3 c.p.p. stabilendo che «Le intercetta zioni non possono avere una durata complessiva superiore a 45 giorni, salvo che l'assoluta indispensabilita' delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall'emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione».
Quanto al computo del limite complessivo dei 45 giorni, esso deve esssere riferito all'intera fase delle indagini o alle intercettazioni in corso.mentre se emergano specifici elementi che consentano le intercettazioni oltre il limite complessivo innanzi indicato, ma anche al di fuori delle operazioni di intercettazione svolte, occorre una motivazione che autorizzi le operazioni oltre tale termine che individui la natura degli elementi valorizzabili a tal fine, specie in caso di pluralità di reati contestati e/o di concorso di persone nel reato, anche in relazione a/per effetto di eventuali aggiornamenti delle iscrizioni nel corso delle indagini svolte dal P.M.
Conclusioni
Come afferma la Dottrina (v.Apollone, il D.D.L.Nordio in materia di intercettazioni)é pensabile che forse sono altrove i veri problemi della Giustizia italiana.
Non è il materiale audio-video captato, in quanto tale, né, ovviamente, i verbali che ne riportano il contenuto, a costituire il problema, che, peraltro, sono sottoposti ad una particolare cautela nella conservazione nel c.d. "archivio del procuratore" (art. 89-bis disp. att. c.p.p.), istituito dalla riforma Orlando.
Non sono.qundi, le intercettazioni, in quanto tali, il vero problema ma quello che esse sono, ossia il principale e, in molti casi, l’unico mezzo di prova di cui l'organo investigativo dispone per il perseguimento di reati che minano alla base il patto sociale su cui si fonda la nostra democrazia.
Forse il problema è anche a valle, e sta in chi, legittimamente, dispone di questi atti e potrebbe avere l'interesse a farli pubblicare per ragioni distorte dalla Giustizia che mal si conciliano con l’accertamento giudiziale delle responsabilità, .
Il Legislatore, consapevole dei rischi delle fughe di notizie sugli atti del procedimento, ha introdotto l'art. 116,che disciplina il rilascio di copie degli atti del procedimento, integrandolo con la previsione per cui<>.
Va, comunque, sottolineato che gli atti, che riguardano le intercettazioni effettuate nel procedimento, sono nella piena e totale disponibilità dei magistrati titolari di quel procedimento, della polizia giudiziaria operante, sebbene solo temporaneamente (come in caso di notifica dell'Ordinanza di custodia cautelare), ma anche delle parti del procedimento e dei loro difensori.
Se così é, il problema andrebbe, più correttamente, ricondotto nell'alveo dei doveri di ciascun soggetto della procedura, che dovrebbe essere responsabile ma anche consapevole, dei propri doveri di riservatezza, in maniera tale da tenere al riparo il procedimento giudiziario da influenze esterne quali quelle mediatiche, che, nei casi più eclatanti rischiano di trasformarlo in un vero e proprio coacervo di opiniioni diverse.
Pertanto, in questo riparto di responsabilità e doveri, assume un ruolo centrale la leale collaborazione tra magistratura e avvocatura, nelle aule giudiziarie e fuori di esse, volta a definire il perimetro di un'etica condivisa dentro cui l'informazione giudiziaria può esplicare il proprio fisiologico compito.
Sul punto basta ricordare che la legge 21 febbraio 2024,n. 15,Legge di delegazione europea 2022/2023,impone al Governo di <>.
Si tratterebbe di spingere ancora più avanti le limitazioni di pubblicità, sia pure innescando ulteriori tensioni con il diritto/dovere di cronaca giudiziaria nell’ambito di una <>.
Di recente la stessa Corte Costituzionale ha ritenuto che dall'ennesima modifica all'art. 114,<>.
Si tratta, in definitiva, di una nuova regola che deve, tuttavia, fare i conti con un bilanciamento di valori costituzionali di cui la Corte Edu di Strasburgo si è occupata, a più riprese, affermando che non vi è alcuna preclusione, almeno in linea di principio, che ”Il giornalista divulghi informazioni di natura confidenziale, purché vi siano tutti i presupposti normativo-costituzionali che sorreggono il diritto di cronaca, e, per contro.escludendo che il diritto alla riservatezza delle comunicazioni prevalga in ogni caso anche ai fini dell’accertamento delle responsabilità ove emergano dal giudizio”(!!).
Eviteremmo così erronee interpretazioni di parte dei provvedimenti emanati e pure “l’uso strumentale” delle notizie pubblicate.