Separazioni/divorzi: lavoro in nero e onere della prova

Avv. Daniela Giuliani.
Separazioni/divorzi: lavoro in nero e onere della prova
Venerdi 12 Giugno 2020

In caso di separazione o divorzio tra i coniugi il tema dell’assegno di mantenimento o – nel caso del divorzio – dell’assegno divorzile a favore della moglie, è uno dei punti di maggior attrito tra le parti.   Ci riferiamo genericamente alla moglie, per semplicità di esposizione,  volendoci in realtà riferire a quel coniuge che, tra i due, è il meno abbiente ed è, quindi, potenzialmente interessato dalla possibilità di percepire il mantenimento a carico dell’altro.   Il caso diviene ancora più controverso quando la moglie, percepisca sì dei redditi, ma (secondo l’espressione comunemente utilizzata) li percepisca “in nero”, ovvero senza un regolare contratto.  

Cosa accade dunque se la moglie che svolge un’attività lavorativa in nero chiede il mantenimento a proprio favore in sede di separazione o divorzio?  

Ebbene, secondo la giurisprudenza, anche uno stipendio da lavoro in nero contribuisce a costituire la capacità reddituale della moglie (Cass.21047/2004). In buona sostanza La Corte ha stabilito che il lavoro del coniuge, seppur irregolare, costituisce un elemento della capacità lavorativa e, quindi, della capacità di guadagno della moglie.  La retribuzione percepita in nero viene, quindi, presa a tutti gli effetti in considerazione ai fini della valutazione e della quantificazione del diritto all’assegno di mantenimento. Ciò significa che il Giudice ben potrà negare (o ridurre proporzionalmente) il mantenimento richiesto dalla moglie anche nel caso in cui quest’ultima svolga un’attività lavorativa ” irregolare” (Cass. 19042 /2003).  

Non solo la Cassazione, ma anche la più recente giurisprudenza di merito si è pronunciata nel negare l’assegno di mantenimento in presenza di un lavoro irregolare (nonostante la precarietà del rapporto lavorativo stesso) in quanto tale attività rappresenta evidentemente una reale capacità economica di cui occorre tener conto (Tribunale Catania sent. 290/2019). Con particolare riferimento all’ipotesi di lavoro “in nero”, che qui ci interessa, vediamo quindi quali sono gli strumenti a disposizione per effettuare una corretta indagine in tal senso.  

Come dimostrare che il coniuge lavora in nero? L’esistenza di un rapporto lavorativo irregolare è chiaramente più difficile da dimostrare, ma non impossibile.

Per offrire prova del rapporto, il coniuge interessato (ovvero colui che ha interesse a sottrarsi dall’obbligo) potrà avvalersi di tutti gli strumenti propri dell’istruttoria processuale. Uno strumento tipicamente utilizzato in questi casi è rappresentato da indagini e investigazioni private, commissionate a professionisti del settore.

In tali evenienze, in particolare, l’investigatore privato non dovrà limitarsi a redigere la relazione, ma dovrà anche testimoniare in giudizio: la sola relazione, infatti, avrà valore solo indiziario e dovrà essere seguita dall’esame dell’investigatore in qualità di testimone.   L’attività investigativa sarà finalizzata a dimostrare la reale situazione economico/finanziaria dell’ex coniuge per la determinazione (o la revisione) dell’assegno di mantenimento e/o divorzile e potrà essere estesa non solo alla sussistenza del rapporto lavorativo, ma anche alle ulteriori cause che potrebbero portare ad escludere il diritto a percepire il mantenimento.

Per dirla in altri termini, l’investigatore potrebbe verificare non solo l’esistenza di rapporti lavorativi, ma anche l’eventuale esistenza di un rapporto di convivenza stabile e duratura con un nuovo partner. Ove ciò non bastasse, potrà essere lo stesso Giudice a valutare l’opportunità di disporre indagini di polizia tributaria, d’ufficio o su richiesta del coniuge interessato.   Le indagini di polizia tributaria sono generalmente disposte in quei casi in cui, malgrado diversi indici lascino intuire l’esistenza di fonti alternative di reddito, la parte interessata non sia concretamente riuscita ad ottemperare al proprio onere probatorio per  rappresentare un quadro esatto della capacità reddituale del coniuge destinatario del beneficio: in tali casi il Giudice sarà tenuto a disporre tale accertamento e l’eventuale diniego dovrà essere motivato in modo specifico e dettagliato.  

Di fronte alla richiesta del coniuge di disporre indagini patrimoniali per mezzo della polizia tributaria, infatti, il Giudice potrà esprimere un diniego solo motivandolo espressamente (Cass. ord. n. 4292/2017 ). Tale opportunità va ad aggiungersi poi ad altri tipi di accertamento che il Giudice può effettuare sempre anche attraverso “presunzioni” desumibili da una serie di circostanze come ad esempio il tenore di vita della moglie, il possesso di un’automobile, il pregio dell’abitazione in cui vive, le vacanze, la frequentazione di palestre etc…  

In conclusione, dunque, – secondo l’interpretazione dominante – la risposta alla nostra domanda è si': lo svolgimento di un lavoro in nero va considerato come prova di una reale capacità economica e può di conseguenza comportare la negazione (o perdita e/o riduzione) dell’assegno di mantenimento o dell’assegno divorzile. 

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