Riforma Cartabia: problematiche connesse al nuovo art. 171 bis terzo comma cpc

Avv. Alessandro Cori.
Riforma Cartabia: problematiche connesse al nuovo art. 171 bis terzo comma cpc

Già in diverse occasioni abbiamo avuto modo di revocare in dubbio la portata innovativa del nuovo rito c.d. Cartabia, celebrata per via del c.d. “spostamento a monte” delle verifiche sull’ammissibilità/ammissione dei mezzi istruttori dedotti dalle parti, rispetto al precedente assetto, per quanto concerne la fase introduttiva del giudizio di primo grado, intesa in senso ampio come comprensiva, quindi, della fase di trattazione.

Martedi 27 Giugno 2023

Va, infatti, osservato che il previgente art. 183 c.p.c. nella formulazione ricevuta dalla L. 80 del 2005, già adombrava la possibilità che, in assenza di questioni preliminari tali da imporre la fissazione di una nuova udienza (seconda di trattazione), le memorie cadenzate nei termini di cui al sesto comma, il relativo scambio tra le parti e il provvedimento ammissivo, precedessero la stessa udienza ex art. 184 c.p.c., in modo da fare luogo, senza ulteriori rinvii, alla fase istruttoria propriamente intesa, e, dunque, all’udienza di assunzione delle prove.

Il processo telematico e, dunque, la possibilità di visualizzare immediatamente gli atti depositati dalle controparti al fine di replicarvi, avrebbe dovuto agevolare, ad avviso di chi scrive, la “trasformazione” dell’udienza ex art. 183 in udienza di trattazione in senso stretto con un thema decidendum già cristallizato, assecondando lo spirito della riforma.

Senonchè, come spesso accade, questo spirito innovatore si è arrestato difronte alla prassi di celebrare in presenza la c.d. “udienza di articolazione dei mezzi istruttori” (locuzione ardita quanto evanescente) nel solco del vecchio schema comparizione/trattazione appuntato sulle due differenti udienze degli artt. 183 e 184 c.p.c. del codice ante-riforma del 2005, udienza in molte occasioni destinata (guarda caso) a concludersi con l’assunzione di una semplice riserva sui mezzi di prova dedotti dalle parti ad evidente discapito delle esigenze di speditezza e celerità dell’istruzione.

Per vero, una interpretazione dello schema comparizione-trattazione contenuto nell’art. 183 c.p.c. post L. n. 80/2005 attenta al dato testuale: “Salva l'applicazione dell'articolo 187, il giudice si riserva di provvedere sulle richieste istruttorie con ordinanza pronunziata fuori dell'udienza entro un termine non superiore a trenta giorni, fissando l'udienza di cui all'articolo 184 per l'assunzione dei mezzi di prova ritenuti ammissibili e rilevanti, avrebbe consentito al giudice di pronunciarsi con ordinanza istruttoria assunta fuori udienza sulle richieste delle parti e di rinviare la causa direttamente per l’assunzione delle prove: ciò, si ripete, al netto di eventuali questioni preliminari da trattare in contraddittorio con la fissazione di una nuova udienza di trattazione.

A rigore, infatti, l’art. 183 c.p.c., con i commi I e II, riservava una seconda udienza di trattazione in senso proprio, alle ipotesi riconducibili alle dette verifiche preliminari (integrazione del contraddittorio, chiamata di terzo etc…).

Il rito Cartabia introdotto col D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 non pare aver innovato tale assetto: il nuovo art. 171 bis c.p.c. prevede infatti che il giudice fissi una nuova udienza per la comparizione delle parti quante volte ciò risulti necessario dalle verifiche preliminari “Quando pronuncia i provvedimenti di cui al primo comma…”, vale a dire quelle sulla integrità del contraddittorio, regolarità delle notifiche, nonché indicazione di eventuali questioni preliminari. A parte la considerazione, condivisa in dottrina, che tali verifiche possono compiersi anche in prima udienza (art. 183 c.p.c.), va osservato che, nel nuovo rito, il giudice, all’udienza ex art. 183 c.p.c. provvede sulle istanze istruttorie rassegnate dalle parti (art. 183, comma quarto) rinviando a successiva udienza per la relativa assunzione: ciò in via del tutto analoga quanto accadeva con il vecchio rito.

L’assetto, dunque, impresso dal rito c.d. Cartabia alla fase di comparizione-trattazione è quasi del tutto riproduttivo del vecchio rito.

E, sempre con riguardo alla fase introduttiva, la pretesa “scomparsa” del quinto comma dal testo dell’art. 168 bis c.p.c. è anch’essa una novità soltanto simulata: un dato esperienziale ha indotto le riflessioni che seguono.

Nell’ambito di un giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di …….accadeva che, in conseguenza della trasferimento in altra sede del G.I. designato, il nuovo Giudice differisse l’udienza di comparizione ex art. 183 c.p.c. ad una data successiva rispetto a quella fissata in origine.

Il fatto che i) il provvedimento indicato non conteneva alcun riferimento normativo, unitamente alla ii) mancata costituzione, entro i termini di rito, di parte convenuta (che pur aveva ottenuto la visibilità del fascicolo telematico) in procedimento, peraltro, di non trascurabile valore, alimentava il dubbio che il differimento della data di prima comparizione potesse essere inteso come assunto ai sensi dell’abrogato art. 168 bis V comma c.p.c., alla cui stregua la controparte avrebbe ritenuto di costituirsi ritualmente a ridosso dell’udienza differita.

Malgrado l’abrogazione espressa dell’art. 168 bis V comma c.p.c. ad opera del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, l’art. 171 bis, III comma c.p.c. riproduce norma di formulazione sostanzialmente analoga: “Se non provvede ai sensi del secondo comma, conferma o differisce, fino ad un massimo di quarantacinque giorni, la data della prima udienza rispetto alla quale decorrono i termini indicati all’art. 171 ter”: analogo slittamento, per interpretazione analogica con il vecchio art. 168 bis V comma c.p.c, potrebbe avere anche il termine per la costituzione del convenuto? Difatti l’udienza fissata ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c. quinto comma, a differenza di quella disposta ai sensi dell’art. 168 bis quarto comma, pur senza integrare un termine a comparire insufficiente, costituiva il nuovo dies a quo per la costituzione del convenuto e, dunque, per la verifica di eventuali decadenze ex art. 167 c.p.c.

Dubbio di non poco conto posto che, quale che fosse stata l’interpretazione del suddetto rinvio, ne sarebbe comunque risultata altamente pregiudicata, se non irrimediabilmente incisa, la possibilità di difesa in contraddittorio.

Ed Invero, se si assume che il rinvio sia stato disposto ai sensi dell’art. 168 bis quarto comma c.p.c. attesa la sostituzione del Giudice e conseguente sopravvenuta nuova calendarizzazione delle udienze, il deposito tempestivo (e, quindi, a ritroso dall’udienza originaria e non da quella differita) delle memorie integrative da parte dell’attore, soprattutto di quelle previste dal secondo e terzo termine dell’art. 171 ter c.p.c. sarebbe stato inutile esercizio di scrittura, posta l’inutilità di replicare o di chiedere di essere ammessi a prova contraria sulla prova inesistente di una controparte non costituita in giudizio (rectius: non ancora costituita).

Se, invece, si ritiene che il rinvio sia stato disposto ai sensi dell’art. 171 bis, III comma, c.p.c. al di fuori delle ipotesi in cui lo stesso si imporrebbe dalle verifiche preliminari di cui all’art. 171 bis, detto rinvio avrebbe comportato lo “slittamento” differenziale dei termini per le memorie integrative ex art. 171 ter c.p.c. a ridosso dell’udienza differita al novembre 2023, con il rischio che, sulla base di una diversa interpretazione del giudicante, il relativo deposito fosse dichiarato tardivo.

Peraltro, con riguardo a tale seconda opzione, va osservato che, ferma la possibilità di una costituzione tardiva (scontando, ove non pregiudizievoli, le note decadenze dell’art. 167 c.p.c.), la controparte, interpretando il differimento come disposto ai sensi dell’art. 171 bis c.p.c. III comma, avrebbe potuto comunque depositare le memorie ex art. 171 ter c.p.c. nell’imminenza della data di udienza differita, fissata nel Novembre 2023, avvantaggiandosi della disclosure della linea difensiva dell’attore, già pienamente dispiegata nelle memorie ex 171 ter depositate a ridosso dell’udienza originaria (Settembre 2023) e con le segnalate limitazioni dovute all’assenza del contraddittore.

Si tratta quindi di verificare la soluzione più coerente col nuovo sistema posto che se il legislatore ha ritenuto di dover replicare, nell’art. 171 bis III comma, la norma dell’abrogato art. 168 bis V comma c.p.c., detta “replica” un qualche significato deve assumerlo.

La tesi prevalente ritiene che, per effetto dell’abrogazione dell’art. 168 bis V comma c.p.c. nel nuovo assetto sia precluso ai G.I. di disporre il differimento dell’udienza di prima comparizione-trattazione di cui all’art. 183 c.p.c. al di fuori delle esigenze di stretto calendario richiamate dall’art. 168 bis quarto comma c.p.c. rimasto i piedi invariato e che, pertanto, la tipologia di rinvio ex art. 168 bis V comma c.p.c. non sia stata affatto riprodotta nel nuovo art. 171 bis c.p.c. il quale, in realtà, disciplinerebbe il rinvio dell’udienza necessitato dalle verifiche preliminari in punto, ad es. di regolare costituzione delle parti, di integrità del contraddittorio, condizioni dell’azione, chiamata del terzo, rinnovazione della citazione, vale a dire da tutte quelle verifiche che, nel vecchio rito, si compivano in sede di udienza ex art. 183 (prima di trattazione).

La tesi, a sommesso avviso di chi scrive non appare condivisibile poiché trascura il fatto che, al fine di soddisfare le esigenze sorte dalle verifiche preliminari (comprese quelle oggetto di eccezione preliminare in merito la cui verifica confluiva anch’essa, post riforma del 2005, nella prima di trattazione di cui all’art. 183 c.p.c.) il rito c.d. Cartabia introduce il secondo comma dell’art. 171 bis: “Quando pronuncia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice, se necessario, fissa la nuova udienza per la comparizione delle parti, rispetto alla quale decorrono i termini indicati dall’art. 171 ter”, disposizione che riproduce, appunto, il vecchio art. 183 c.p.c. secondo comma c.p.c nella parte in cui disponeva: “Quando pronuncia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice fissa una nuova udienza di trattazione”: si conferma, peraltro, anche a questi effetti, la sostanziale analogia con il vecchio assetto.

Se dobbiamo infatti supporre, per costante insegnamento, ragionevole il legislatore i) la disposizione di cui all’art. 171 bis III comma c.p.c. non può avere i medesimi presupposti del precedente secondo comma, altrimenti ne sarebbe un inutile “doppione”, ii) non possiamo considerare la disposizione dell’art. 171 bis III comma c.p.c. tamquam non esset.

Pertanto, a meno di non voler ritenere irragionevole il legislatore, il presupposto applicativo del terzo comma dell’art. 171 bis c.p.c. deve ravvisarsi proprio nell’ipotesi di sostituzione del giudice istruttore.

In tal caso, infatti, si sostituisce al ruolo del giudice originario il ruolo di udienza del tutto nuovo del giudice succeduto, con una nuova calendarizzazione delle udienze anche in funzione dell’attività da svolgere e come tale del tutto non sovrapponibile a quello del G.I. designato in origine.

In tale ipotesi non è infatti applicabile l’art. 168 bis quarto comma c.p.c. poiché ci sono giudici che celebrano udienze in giorni completamente diversi entro la settimana lavorativa e, pertanto, può accadere che nella data di udienza fissata ex art. 168 bis quarto comma dal primo giudice, il nuovo giudice non celebri udienza.

La sostituzione del G.I. può comportare, quindi, la “rimozione” dell’impalcatura comparizione/trattazione costruita dal primo giudice e la conseguente possibilità di un rinvio ai sensi dell’art. 171 bis III comma c.p.c. che riproduce il quinto comma dell’art. 168 bis c.p.c. limitatamente a tale ipotesi: l’art. 168 bis quinto comma ora abrogato aveva, infatti, portata più ampia e generalizzata.

Resta da chiedersi, da ultimo, se il rinvio regolato dall’ 171 bis c.p.c. III comma comporti anch’esso (come il quinto comma dell’art. 168 bis c.p.c.) differimento del termine per la costituzione del convenuto: il nuovo art. 166 c.p.c. deporrebbe per soluzione negativa, ma limitatamente all’ipotesi predetta di sostituzione del G.I., riterrei che il differimento del termine di costituzione del convenuto possa ammettersi.

Per queste ragioni in assenza di una interpretazione consolidata sul punto, il decreto di differimento udienza deve indicare in modo preciso il riferimento normativo assunto, non risultando sufficiente che lo stesso sia rubricato semplicemente come “decreto ai sensi dell’art. 171 bis c.p.c.”, espressione che potrebbe prestarsi, come nel caso in esame, ad una duplice interpretazione che di sicuro non agevola lo svolgimento delle difese.

Vista la regola dell’assorbimento dei vizi di nullità in motivi di gravame, difficilmente ipotizzabile sarebbe un intervento sul punto del Giudice della Nomofilachia ma non dovrebbe escludersi, in radice, una qualche “rilevanza” della questione in giudizio di merito, suscettibile di innervare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 171 bis, III c.p.c. in riferimento all’art. 24 Cost., a quel principio di “parità delle armi” tra azione e difesa, tra chi agisce e chi resiste, che costituisce la garanzia costituzionale di un contraddittorio effettivo e pienamente dispiegato, e che sagoma il processo, specie quello “sul rapporto” quale il processo civile come esercizio faticoso, ma fecondo, di democrazia.

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