Corte Costituzionale: viola la Costituzione il pagamento differito del trattamento di fine servizio

Corte Costituzionale: viola la Costituzione il pagamento differito del trattamento di fine servizio

Con la sentenza n. 130 del 19/06/2023 la Corte Costituzionale, pur dichiarando inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, e dell’art. 12, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 evidenzia come sia in contrasto con il principio di proporzionalità della retribuzione, espresso dall’art. 36 Cost., e, al contempo, attesa la sua natura previdenziale, con il principio di adeguatezza dei mezzi per la vecchiaia dettato dall’art. 38 Cost., la corresponsione differita e rateale dell’indennità di fine servizio ai dipendenti pubblici, sollecitando quindi un intervento riformatore del legislatore

Lunedi 26 Giugno 2023

Il caso: Il TAR Lazio, sezione terza quater, sollevava la legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, come convertito, e dell’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, in riferimento all’art. 36 Cost.: in merito il remittente rilevava che:

- sulla scorta della giurisprudenza costituzionale che riconduce i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti ai dipendenti pubblici nel paradigma della retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, le disposizioni censurate, nel prevedere rispettivamente il differimento e la rateizzazione del versamento di tali prestazioni, si pongono in contrasto con la garanzia costituzionale della giusta retribuzione;

- la corresponsione differita e rateale dell’indennità di fine servizio arrecherebbe al beneficiario un’utilità inferiore rispetto a quella derivante da una liquidazione tempestiva, posto che «proprio attraverso l’integrale e immediata percezione» di tali spettanze il lavoratore si propone «di recuperare una somma già spesa o in via di erogazione per le principali necessità di vita, ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni finanziari già assunti»;

- in linea con le enunciazioni espresse da questa Corte nella sentenza n. 159 del 2019, le disposizioni in scrutinio ledono in modo irragionevole e sproporzionato i diritti dei lavoratori pubblici, in violazione dell’art. 36 Cost., in quanto, pur essendo state introdotte per far fronte ad una situazione di crisi contingente, hanno ormai assunto carattere strutturale.

La Corte Costituzionale, dopo ampia e articolata argomentazione, da un lato dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale delle due norme in esame, ma dall'altra evidenzia quanto segue:

a) non v'è dubbio che il trattamento di fine servizio costituisce un rilevante aggregato della spesa di parte corrente e, per tale ragione, incide significativamente sull’equilibrio del bilancio statale: non è da escludersi, pertanto, in assoluto che, in situazioni di grave difficoltà finanziaria, il legislatore possa eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla tempestiva corresponsione del trattamento di fine servizio;

b) tuttavia, un siffatto intervento è, anzitutto, vincolato al rispetto del criterio della ragionevolezza della misura prescelta e della sua proporzionalità rispetto allo scopo perseguito;

c) inoltre la legittimità costituzionale delle norme dalle quali possa scaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore è, infatti, condizionata alla rigorosa delimitazione temporale dei sacrifici imposti, i quali devono essere «eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso»;

c) ebbene, il termine dilatorio di dodici mesi, quale risultante dall’art. 3, comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, oggi non rispetta più né il requisito della temporaneità, né i limiti posti dai principi di ragionevolezza e di proporzionalità: al contrario, la previsione ora richiamata ha «smarrito un orizzonte temporale definito», trasformandosi da intervento urgente di riequilibrio finanziario in misura a carattere strutturale, che ha gradualmente perso la sua originaria ragionevolezza;

d) a ciò deve aggiungersi che la perdurante dilatazione dei tempi di corresponsione delle indennità di fine servizio rischia di vanificare anche la funzione previdenziale propria di tali prestazioni, in quanto contrasta con la particolare esigenza di tutela avvertita dal dipendente al termine dell’attività lavorativa: non è, infatti, infrequente che l’emolumento in esame venga utilizzato per sopperire ad esigenze non ordinarie del beneficiario o dei suoi familiari, e la possibilità che tali necessità insorgano nelle more della liquidazione del trattamento espone l’avente diritto ad un pregiudizio che la immediata disponibilità dell’importo eviterebbe;

e) peraltro – si legge nella sentenza- al vulnus costituzionale riscontrato con riferimento all’art. 3, comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, come convertito, questa Corte non può, allo stato, porre rimedio, posto che il quomodo delle soluzioni attinge alla discrezionalità del legislatore: tuttavia la discrezionalità di cui gode il legislatore nel determinare i mezzi e le modalità di attuazione di una riforma siffatta deve ritenersi, temporalmente limitata;

Pertanto la lesione delle garanzie costituzionali determinata dal differimento della corresponsione delle prestazioni in esame esige un intervento riformatore prioritario.

Allegato:

Corte Costituzionale sentenza 130 2023

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