La responsabilità della PA nei sinistri stradali causati da animali randagi

La responsabilità della PA nei sinistri stradali causati da animali randagi

Con l’ordinanza n. 30616/2025, pubblicata il 20 novembre 2025, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sull’importante e complessa questione della responsabilità della Pubblica Amministrazione per i danni derivanti da sinistri stradali causati da animali randagi.

Martedi 2 Dicembre 2025

IL CASO: La vicenda esaminata trae origine da un incidente stradale tra un autoveicolo e un cane randagio. L’impatto con l’animale aveva determinato un improvviso sbandamento dell’autoveicolo con il conseguente capovolgimento dello stesso e il decesso del conducente.

I familiari della vittima (genitori e fratelli) agivano in giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni iure proprio. L’azione veniva intrapresa contro il Comune del luogo dell’incidente e l'Azienda Sanitaria Locale, territorialmente competente.

A fondamento della domanda, gli attori sostenevano la presunta inosservanza, da parte degli enti convenuti, degli obblighi imposti dalla legge quadro sul randagismo (L. n. 281/1991) e dalla relativa legge regionale.

Entrambi i giudizi di merito si concludevano con il rigetto della domanda degli attori.

La Corte di Appello, pronunciandosi sul gravame proposto da questi ultimi avverso la sentenza del Tribunale lo rigettava sul presupposto della mancata prova di una specifica condotta omissiva colposa degli enti convenuti, attribuendo la responsabilità esclusiva del conducente nella causazione del sinistro, desumibile dal materiale probatorio in atti.

Pertanto, gli originari attori, rimasti soccombenti, si rivolgevano alla Corte di Cassazione, fondando il ricorso su due motivi. In particolare, con il secondo motivo, denunciavano la violazione dell'art. 2697 del Codice Civile in materia di onere della prova, asserendo che la Corte d'Appello avesse illegittimamente esonerato gli enti convenuti dal dimostrare di aver adempiuto ai propri obblighi di legge in materia di prevenzione del randagismo.

LA DECISIONE: La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, evidenziando che la responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati da cani randagi resta soggetta al regime probatorio di cui all'art.2043 del Codice Civile. Di conseguenza la persona danneggiata da un cane randagio che intenda agire per il risarcimento ha l'onere di provare la colpa della pubblica amministrazione ed il nesso di causa tra questa e il danno patito.

Inoltre, hanno osservato i giudici di legittimità, la colpa della pubblica amministrazione non può essere desunta dal mero fatto che un cane randagio abbia causato il danno, ma esige la dimostrazione della insufficiente organizzazione del servizio di prevenzione del randagismo.

Solo una volta fornita questa prova, il nesso di causa tra condotta omissiva e danno potrà ammettersi anche ricorrendo al criterio c.d. della concretizzazione del rischio (il quale è criterio di spiegazione causale, e non di accertamento della colpa), in virtù del quale il fatto stesso dell'avverarsi del rischio che la norma violata mirava a prevenire è sufficiente a dimostrare che una condotta alternativa corretta avrebbe evitato il danno.

L'ordinanza della Cassazione si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato che inquadra la responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati da animali randagi nell'alveo della responsabilità extracontrattuale per fatto illecito, ai sensi dell'art. 2043 del Codice Civile e non della responsabilità oggettiva per danno da animali ex art. 2052 dello stesso codice.

Pertanto, incombe sull’attore che chiede il risarcimento dei danni dimostrare tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano: il danno ingiusto, la condotta colposa (commissiva od omissiva) della pubblica amministrazione, il nesso di causalità tra tale condotta e il danno subito. La colpa della pubblica amministrazione non può essere presunta dalla mera presenza di un cane randagio sul territorio o dal verificarsi del danno.

Il danneggiato ha l'onere di allegare e provare una concreta condotta colposa, che consiste tipicamente in un'omissione qualificata. Deve dimostrare, ad esempio, che l'ente preposto non ha organizzato in modo adeguato il servizio di prevenzione e controllo del randagismo, che non ha dato seguito a specifiche segnalazioni sulla presenza di animali pericolosi in una determinata zona, o che il servizio era del tutto inefficiente o solo fittizio

Una volta che il danneggiato abbia fornito la prova della condotta colposa della P.A. (es. l'inadeguatezza del servizio di cattura), può avvalersi di un criterio presuntivo per dimostrare il nesso causale.

La teoria della "concretizzazione del rischio" stabilisce che, se si verifica proprio l'evento dannoso che la norma violata mirava a prevenire, si presume che una condotta alternativa corretta da parte della P.A. avrebbe evitato il danno.

In conclusione, l'ordinanza in commento riafferma con chiarezza il rigore probatorio richiesto al cittadino che agisce contro la pubblica amministrazione per danni da randagismo. La decisione sottolinea come la responsabilità non possa derivare da un automatismo, ma richieda una rigorosa dimostrazione di una specifica negligenza dell'ente e del suo ruolo causale nella produzione del danno, ruolo che può essere neutralizzato e interrotto dalla condotta imprudente dello stesso danneggiato.

Allegato:

Cassazione civile ordinanza 30616 2025

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