Giovedi 10 Dicembre 2015 |
Nella fattispecie sottoposta all'attenzione della Suprema Corte, un società propone avanti al GdP opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c notificatogli da una CTU, unitamente al decreto di liquidazione emesso dal Tribunale, con il quale era stato riconosciuto a quest'ultima, per l'attività di consulenza tecnica resa nel procedimento in cui era parte la società medesima, l'importo di Euro 1.200,00, oltre accessori di legge, posto provvisoriamente a carico solidale delle parti.
La società attrice esponeva che la Ctu aveva chiesto il pagamento del dovuto per la quota di 1/2 ad essa società; essa esponente aveva versato l'importo di 1/3, in quanto le parti coinvolte nel giudizio erano tre; in seguito la consulente aveva domandato ad essa opponente il pagamento dell'intero importo; la causa nell'ambito della quale la CTU aveva prestato la propria opera, era stata definita con sentenza che aveva posto in via definitiva le spese di consulenza per 4/5 a carico della parte soccombente, e per la restante parte, in misura eguale, a carico delle altre parti.
Pertanto, la successiva sentenza aveva privato di efficacia il primo decreto di liquidazione, sostituendolo con un differente riparto delle spese di Ctu fra le parti.
Il Giudice di Pace in primo grado accoglie l'opposizione e in grado di appello il Tribunale respinge l'impugnazione della CTU, e conferma la pronuncia del Giudice di Pace, sul presupposto che il riparto delle spese di Ctu in questione fosse ormai regolato dalla successiva sentenza del Tribunale.
La Corte di Cassazione, con la decisione in commento, su ricorso della CTU ribalta la pronuncia della Corte territoriale, osservando che:
la consulenza tecnica d'ufficio rappresenta non un mezzo di prova in senso proprio, ma un ausilio per il giudice e, quindi, un atto necessario del processo che l'ausiliare pone in essere nell'interesse generale della giustizia e comune delle parti in virtù di un mandato neutrale;
il criterio di pagamento delle spettanze al CTU prescinde dalla ripartizione dell'onere delle spese tra le parti contenuto in sentenza, che avviene sulla base del principio della soccombenza e, concernendo unicamente il rapporto fra dette parti, non è opponibile all'ausiliario;
Pertanto le parti sono solidalmente responsabili del pagamento delle relative competenze anche dopo che la controversia, durante la quale il consulente ha espletato il suo incarico, sia stata decisa con sentenza, definitiva o non ancora passata in giudicato, a prescindere dalla ripartizione di dette spese nella stessa stabilita e, quindi, altresì, ove tale ripartizione sia difforme da quella in precedenza adottata con il decreto di liquidazione emesso dal giudice;
In conclusione, in punto di diritto, la Corte di Cassazione enuncia il seguente principio: “qualora il consulente tecnico d'ufficio non abbia ricevuto il proprio compenso dalle parti a ciò obbligate a seguito dell'emissione di decreto provvisorio di liquidazione, ed abbia inutilmente chiesto il dovuto ai soggetti indicati nel decreto di liquidazione provvisoria delle sue spettanze, secondo le percentuali ivi stabilite, le parti sono solidalmente obbligate a corrisponderlo a prescindere dalla diversa ripartizione delle medesime spese stabilita nella sentenza che ha definito la controversia".
La parte vittoriosa, poi - osserva la Corte - qualora abbia corrisposto l'intero onorario del consulente, potrà rivalersi nei confronti del soccombente.
La Corte accoglie quindi il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale, in diversa composizione.