Venerdi 11 Dicembre 2015 |
Un avvocato propone ricorso ex art. 702 bis c.p.c. nei confronti del cliente per sentirlo condannare al pagamento in proprio favore della somma di € 8.400,74, a titolo di compenso per due distinte attività di assistenza stragiudiziale, una in una procedura di mediazione e l'altra nel corso di un procedimento di ATP.
Il convenuto si costituisce, non contesta l'effettivo svolgimento delle predette attività da parte del legale, ma contesta il quantum richiesto da controparte, sostenendo di aver raggiunto con il legale l'accordo di versare la somma di € 800,00 oltre accessori per l'attività svolta nella mediazione e di € 1.100,00 oltre accessori, per quella espletata nel procedimento di ATP.
Il Tribunale, per quanto attiene alle prestazioni professionali svolte nella procedura di mediazione, accertato che il valore dell'affare è pari a € 10.000,00, ritiene di liquidare in favore del legale la somma di € 1.800,00, oltre € 30,00 per indennità di trasferta, applicando quindi alla fattispecie gli importi indicati, per quella fascia di valore, nella tabella allegata al d.m. 55/2014 relativa alle prestazioni di assistenza stragiudiziale (a tale categoria, infatti, devono ricondursi quella in esame).
Per l'attività svolta nella procedura di ATP, il Tribunale non accoglie le argomentazioni di parte resistente, che sostiene che il relativo compenso dovrebbe essere determinato sulla base dell'importo oggetto della transazione raggiunta all'esito di essa, e liquida in favore del legale la somma di € 2.250,00, oltre 120,00 per indennità di trasferta, determinato ex art. 5 comma 2 del d.m. 55/2014, in base al quale ai fini della liquidazione del compenso a carico del cliente occorre far riferimento al valore della domanda.
Inoltre, il giudice d'ufficio ritiene di aumentare di un quarto il compenso dovuto al ricorrente per l'assistenza nel giudizio di accertamento tecnico preventivo, essendosi concluso con una transazione, ai sensi dell'art. 4 comma 6 d.m. 55/2014.
A questo punto il tribunale passa a valutare il comportamento tenuto dalla resistente nella fase stragiudiziale, anche ai fini dell'applicazione delle conseguenze sanzionatorie previste dall'art. 4 D.L. 132/2014.
Il legale, tramite PEC, inviava alla controparte l'invito alla stipula di una convenzione di negoziazione assistita, al quale il difensore della resistente dava riscontro, comunicando l'adesione della propria assistita alla procedura, ma oltre il termine di trenta giorni stabilito dall'art. 4 comma 1.
A giudizio del tribunale veneto, non si è però in presenza di un semplice ritardo nel riscontrare l'invito a concludere l'accordo di negoziazione, che non avrebbe le conseguenze sanzionatorie di cui all'art. 4, ma di un vero e proprio silenzio, che, come tale può giustificare la condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c.: infatti la risposta è stata redatta e sottoscritta non dal legale rappresentante della società resistente, ma dal suo difensore privo di procura al compimento di quel preciso atto negoziale.
Però il silenzio a fronte dell'invito non sarebbe di per sé sufficiente a giustificare la condanna ex art. 96 cpc, essendo necessari comunque la mala fede o la colpa grave nel resistere in giudizio.
E per il tribunale la mala fede è ravvisabile nella condotta tenuta dalla società resistente, la quale, pur essendosi dichiarata disponibile a trovare una soluzione conciliativa, non ha assunto in concreto alcuna iniziativa in tal senso, come avrebbe potuto formulando ex art. 91 I° comma cpc una proposta di pagamento di una somma determinata.
Di fatto la società resistente ha solo formalmente aderito alla procedura, senza però avere la effettiva volontà di addivenire ad un accordo conciliativo.
Pertanto, alla stregua di tali motivazioni, il tribunale condanna la resistente ex art. 4 comma 1 D.L. 132/2014 e art. 96 III° comma c.p.c. al pagamento in favore dell'avvocato della ulteriore somma di € 1.000,00.